Alle elezioni presidenziali in Iran i candidati conservatori stanno pensando di coalizzarsi
Il 28 giugno ci sono le elezioni, dopo la morte del presidente Raisi, e a sorpresa l'unico candidato moderato sta ottenendo buoni consensi
Venerdì 28 giugno si terrà in Iran il primo turno delle elezioni presidenziali dopo la morte del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero a metà maggio. Degli 80 candidati che si erano inizialmente presentati il Consiglio dei Guardiani, ossia l’organo che definisce le candidature ufficiali, ne ha accettati solo sei: cinque conservatori e, piuttosto a sorpresa, l’ex ministro della Sanità Masoud Pezeshkian, con opinioni più moderate e che, nel contesto del regime iraniano, è considerato un riformista.
Benché ci siano poche possibilità che vinca, le sue posizioni più moderate e la morte improvvisa di Raisi potrebbero spingere la parte meno conservatrice della popolazione iraniana ad andare a votare sperando in un cambiamento, dopo anni in cui l’affluenza al voto è stata in diminuzione e il malcontento della popolazione in aumento. Anche per questo la parte più conservatrice del regime, che è sostenuta dalla Guida Suprema Ali Khamenei, la principale autorità politica e religiosa del paese, secondo molte analisi starebbe valutando la possibilità di coalizzarsi contro Pezeshkian, per scongiurare un risultato troppo buono del candidato riformista.
Qualche giorno fa il segretario del Consiglio di Giustizia Mohsen Rezaei ha detto che presto verrà nominato un candidato unico a sostegno del «fronte della rivoluzione», ossia quello ultraconservatore, cosa già accaduta in altre elezioni presidenziali. Al momento però sembra improbabile che questo possa accadere: come ha detto al Financial Times il direttore del quotidiano conservatore Khorasan, Ali Alavi, è improbabile che uno dei due principali candidati conservatori accetterà di ritirarsi per sostenere l’altro, e questo potrebbe finire per danneggiarli.
Benché Raisi fosse una delle figure più note del regime iraniano e fosse considerato il successore della Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, giorni dopo la sua morte gli analisti avevano concordato sul fatto che questo non avrebbe probabilmente provocato grossi sconvolgimenti nel sistema iraniano, dove la carica del presidente è sottoposta a quella della Guida Suprema. Allo stesso tempo però il regime iraniano sta attraversando un momento di bassissima popolarità fra la popolazione, che è scontenta della situazione economica del paese e in parte sempre più insofferente alle dure restrizioni politiche e sociali, specialmente dopo le grandi proteste del 2022 dopo la morte di Mahsa Amini.
L’accettazione a sorpresa della candidatura di Masoud Pezeshkian potrebbe rappresentare un’opportunità per alcune parti della popolazione di mostrare il loro scontento, dopo anni in cui hanno volontariamente deciso di non votare per la mancanza di candidati riformisti: l’affluenza registrata alle elezioni presidenziali del 2021 e quella alle elezioni parlamentari di marzo del 2024 era stata per questo motivo ai minimi storici.
In questo contesto Masoud Pezeshkian, cardiochirurgo e deputato da cinque anni, pur rimanendo fedele ai princìpi fondamentali della Repubblica islamica dell’Iran, sostiene alcune riforme che secondo lui renderebbero il sistema più efficiente, ma che sono comunque considerate impensabili da una buona parte della classe politica iraniana.
Pezeshkian sostiene per esempio che l’Iran debba lavorare per migliorare le sue relazioni con l’Occidente, inclusi gli Stati Uniti, ed è favorevole a un’apertura del paese agli investimenti stranieri per migliorare la situazione economica. Lunedì, durante un dibattito televisivo su questo tema, Pezeshkian aveva collegato esplicitamente la crisi economica iraniana all’isolamento politico del paese, dicendo che la Cina non sta investendo in Iran perché il paese è incluso nella lista nera della Financial Action Task Force, un’organizzazione intergovernativa che si occupa di osservare i paesi che ritiene non facciano abbastanza per contrastare il traffico illecito di denaro e il finanziamento del terrorismo.
Pezeshkian non si è opposto all’obbligo di indossare negli spazi pubblici l’hijab, il velo utilizzato dalle donne musulmane per coprire la testa e il collo, ma ne ha criticato l’applicazione. Sulla questione ha infatti detto «non si può attuare un pensiero con la forza. […] Questo metodo non andrà da nessuna parte e non dobbiamo odiarci a vicenda. Per quanto possibile, fermerò le pattuglie di controllo». Le sue parole si riferiscono all’operato della polizia religiosa iraniana che pattuglia piazze e centri commerciali e può arrestare le donne che giudica non vestite correttamente: nel 2022 Mahsa Amini era morta in custodia proprio dopo essere arrestata perché non indossava correttamente il velo, e nel 2023 la polizia era stata accusata di aver mandato in coma una sedicenne che non indossava correttamente l’hijab.
La campagna di Pezeshkian è stata anche criticata per aver utilizzato la canzone “Baraye”, considerata l’inno delle proteste per la morte di Mahsa Amini e composta dall’artista Shervin Hajipour, a causa della quale è stato arrestato e condannato a quasi quattro anni di carcere.
Ali Yousefi, professore di sociologia all’Università Ferdowsi della città di Mashhad che sta facendo campagna elettorale per Pezeshkian, ha detto al Financial Times che il suo candidato «non cerca cambiamenti strutturali», ma vuole solo riformare alcune parti della politica iraniana.
– Leggi anche: Cos’è la polizia religiosa iraniana
Benché la vittoria di Pezeshkian sia per il momento poco probabile, un’alta affluenza al voto venerdì potrebbe portarlo al ballottaggio e rappresentare un segnale forte per la politica iraniana. Per questo motivo la parte ultraconservatrice del regime starebbe spingendo per presentare un solo candidato di punta, sperando di vincere al primo turno. Sembra però che nessuno dei due principali candidati conservatori, il presidente del parlamento iraniano Mohammad Bagher Ghalibaf e l’ex segretario del consiglio di Sicurezza nazionale Saeed Jalili, voglia ritirarsi.
Al momento Ghalibaf è visto come il più probabile vincitore: è un conservatore che ha fatto parte delle Guardie rivoluzionarie (il principale corpo armato iraniano), è stato sindaco della capitale Teheran e in passato partecipò ad azioni di repressione del dissenso e dei movimenti democratici. Una sua eventuale elezione sarebbe probabilmente in continuità con la passata presidenza di Raisi, e ci sono già alcuni segnali che Ghalibaf, esattamente come Raisi nel 2021, sia il candidato favorito di Khamenei, che dopo la morte di Raisi deve trovare un nuovo successore.
Jalili si posiziona invece ancora più a destra di Ghalibaf e rappresenta le opinioni più radicali e isolazioniste dello spettro politico iraniano. Alcuni sondaggi lo danno come probabile secondo più votato dopo Ghalibaf, mentre altri ipotizzano che un’alta affluenza potrebbe fargli avere addirittura meno voti di Pezeshkian.