Cos’è l’Agro pontino
La pianura bonificata in provincia di Latina è una delle aree italiane a maggior concentrazione di imprese agricole, nelle quali vengono spesso sfruttati migliaia di indiani di religione sikh
Oltrepassato il cartello con scritto “Latina”, quando si iniziano a notare squadre di operai chinati nei campi a raccogliere frutta e verdura, significa che si è entrati nell’Agro pontino: la zona agricola a sudest di Roma dove lavorava Satnam Singh, il lavoratore indiano morto mercoledì pomeriggio, due giorni dopo aver perso un braccio in un grave infortunio sul lavoro. Singh aveva 31 anni ed era arrivato in Italia dopo la pandemia insieme alla moglie. Lavoravano in un’azienda tra Borgo Santa Maria e Borgo Montello, due frazioni di Latina. Entrambi non avevano un permesso di soggiorno né un contratto regolare. Lavoravano per molte ore al giorno, fino a 14, per pochi euro all’ora e in condizioni durissime.
Nell’Agro pontino migliaia di persone straniere vengono sfruttate allo stesso modo, sottomesse a intermediari – i “caporali” – che assicurano un posto di lavoro e un affitto in cambio di una cospicua parte dello stipendio. Negli ultimi anni sono state fatte diverse denunce e inchieste, che tuttavia non sono riuscite a smantellare questo sistema fondato quasi totalmente sull’illegalità e sul mancato rispetto dei diritti minimi dei lavoratori.
Le persone, per la maggior parte straniere, vengono sfruttate così come viene sfruttata la terra di quest’area, che non ha veri confini. L’Agro pontino inizia a ovest dal canale “acque alte”, noto anche come canale Mussolini, tra i comuni di Cisterna e Latina, mentre il limite a est è segnato dai monti Lepini e Ausoni. È un territorio prevalentemente pianeggiante, diviso tra le zone interne più fertili, di origine vulcanica, e quelle meno produttive, più vicine alla costa tirrenica, che fino agli anni Trenta del Novecento erano paludi.
La sua conformazione, la fertilità del suo terreno e le bonifiche hanno contribuito a far diventare l’Agro pontino una delle aree italiane a maggior concentrazione di imprese agricole. A nord, nella pianura tra i comuni di Aprilia, Cisterna e Cori, si coltivano soprattutto cocomeri, uva e kiwi, di cui la provincia di Latina è il primo produttore europeo. Tra Latina, Sezze, Pontinia e Sabaudia ci sono campi di carciofi, zucchine, agrumi e spinaci. A Latina e Fondi si trovano due tra i centri di smistamento di ortofrutta più importanti d’Europa dove ogni giorno vengono stoccate, lavorate e vendute tonnellate di frutta e verdura.
In questa zona lo sviluppo intensivo dell’agricoltura è iniziato durante il Ventennio fascista, in seguito alla bonifica delle terre che fino ad allora erano prevalentemente paludi. Nel 1927 il geografo Roberto Almagià la definì «palude pestifera, pel cui risanamento da secoli e secoli tante energie si consumarono, tante iniziative sorsero e caddero infrante […], oppur si spensero a poco a poco come esauste da una lotta impari contro un nemico gigantesco».
L’idea di bonificare le pianure pontine venne messa in pratica con il progetto che il regime chiamò “guerra alle acque”, cioè la legge del 1928 che finanziò bonifiche di paludi in molte regioni italiane. L’obiettivo di Benito Mussolini era di bonificare 8 milioni di ettari di terreni paludosi, circa un terzo di quelli presenti nel paese, ma a metà degli anni Trenta il governo si disse soddisfatto di aver raggiunto la metà dell’obiettivo iniziale.
In realtà, come racconta lo storico Francesco Filippi nel suo libro Mussolini ha fatto anche cose buone, la metà dei 40mila chilometri quadrati di bonifiche annunciati dal governo era da ricondurre a progetti avviati dai governi liberali dei primi due decenni del Novecento, prima dell’ascesa al potere di Mussolini. Nell’Agro pontino furono bonificati circa 770 chilometri quadrati, un processo che era stato avviato in epoca medievale e portato avanti nei secoli successivi, con ritmi e successi alterni.
Dopo la bonifica fu costruita una fitta rete di canali per raccogliere le acque dei torrenti e dei fossi, e soprattutto si progettò una nuova organizzazione del territorio, diviso in appezzamenti agricoli tra i 9 e i 30 ettari da affidare ad agricoltori. Ogni cento famiglie corrispondeva una cosiddetta borgata di servizio che aveva il compito di amministrare i terreni. Intorno alle borgate si sviluppavano i servizi come le scuole, il forno e i negozi, la cisterna per la raccolta delle acque, la chiesa, i magazzini e gli uffici. Furono costruiti 743 chilometri di strade pubbliche e una rete dell’alta tensione lunga 640 chilometri.
Molti terreni furono affidati a ex combattenti emigrati da altre regioni, in particolare dal Friuli Venezia Giulia, dal Veneto e dall’Emilia-Romagna: tra il 1932 e il 1943 arrivarono nell’Agro pontino circa 34mila persone. Tra gli anni Sessanta e Ottanta la costruzione di molte seconde case, favorita per lo più da operazioni di speculazione edilizia, contribuì a un breve periodo di sviluppo turistico della zona. Si tornò alle coltivazioni intensive dalla fine degli anni Ottanta, grazie all’arrivo in Italia di migliaia di persone straniere, in particolare indiani di religione sikh.
I primi nuclei sikh arrivarono nelle regioni del Sud. Si trattava di giovani maschi con visto turistico in cerca di un lavoro temporaneo, in attesa di migrare altrove o tornare in patria. Solo negli anni Novanta i flussi iniziarono a essere più consistenti e interessarono anche le regioni del Centro e del Nord, dove arrivavano persone e famiglie in cerca di lavori più stabili. Quelle stesse famiglie divennero un tramite per l’immigrazione di altre persone, amici e parenti. Cominciarono a formarsi piccole comunità che negli anni sono arrivate a comprendere migliaia di persone.
I sikh sono concentrati nelle province di Brescia, Cremona e Bergamo in Lombardia; Reggio Emilia, Parma, Modena in Emilia-Romagna; Vicenza in Veneto; Latina nel Lazio. Quasi tutti hanno lo stesso cognome – Singh, come il lavoratore morto mercoledì – che vuol dire «leone», mentre le donne prendono l’appellativo Kaur, «principessa».
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I dati ufficiali dicono che in provincia di Latina ci sono poco più di 10mila aziende agricole, dove lavorano 10.800 lavoratori a tempo determinato e poco meno di mille lavoratori a tempo indeterminato. Secondo le stime dei sindacati, il numero effettivo di lavoratori sarebbe molto più alto: tra i 25mila e i 30mila. La prevalenza di lavoro irregolare è dovuta al fenomeno del caporalato. Nella regione indiana del Punjab, da dove proviene la maggior parte dei lavoratori sikh, sono presenti diversi intermediari in contatto con caporali in Italia o direttamente con le aziende agricole che hanno bisogno di manodopera.
Il percorso per arrivare in Italia è più o meno sempre lo stesso: gli intermediari vendono un biglietto aereo e il permesso di lavoro stagionale, spesso a prezzi così alti che i lavoratori si indebitano per acquistarlo, e sono costretti a riservare parte dello stipendio, già basso, a saldare i conti con i caporali. Esistono poi i cosiddetti “caporali dei servizi”, cioè intermediari che in cambio di soldi aiutano le persone senza permesso di soggiorno a trovare un affitto oppure le portano tutti i giorni nei campi. Il reclutamento viene fatto anche attraverso i social network e i gruppi WhatsApp.
Spesso capita che ai braccianti vengano fatti contratti irregolari, nei quali risultano 3 o 4 giornate lavorate in un mese quando in realtà sono 26 o 28. In questo caso si parla di lavoro “grigio”. In altri casi, com’è accaduto a Singh e alla moglie, le persone lavorano senza un contratto. Fino all’inizio degli anni Duemila le condizioni erano persino peggiori: la paga era tra 1,5 e 2 euro all’ora e i braccianti erano costretti a lavorare tutti i giorni, senza riposi. Il contratto provinciale dei lavoratori agricoli prevede una paga base di 9 euro lordi all’ora.
Come hanno dimostrato alcune inchieste giornalistiche, molti lavoratori per reggere ritmi massacranti sono costretti a doparsi con sostanze stupefacenti e antidolorifici, che inibiscono la sensazione di fatica.
Dal 2008 Marco Omizzolo, sociologo e giornalista, ha iniziato una lunga ricerca sul campo che è in corso tuttora. Grazie al suo lavoro sono emersi aspetti nascosti della filiera agroalimentare italiana, in particolare nell’Agro pontino, dove ha lavorato per tre mesi nei campi per vivere in prima persona lo sfruttamento. Nel 2016 ha incoraggiato e organizzato scioperi e manifestazioni a cui parteciparono migliaia di braccianti. In un’intervista al sito Confronti, Omizzolo ha spiegato che «l’interesse dei padroni non è solo economico, ma anche antropologico: la trasformazione del bracciante in un dipendente assoluto. Lo sfruttamento non ha solo a che fare con il lavorare tante ore e essere pagati poco, ma si tratta di un modello sociale complesso che, all’aspetto economico, aggiunge la subordinazione di tutta la persona alla volontà dominante dei padroni e al loro network fatto di liberi professionisti, commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro e, a volte, anche esponenti politici».
Anche grazie agli scioperi, dal 2016 aumentò la consapevolezza dei lavoratori stranieri. Ci fu una risposta collettiva a un problema ormai molto radicato e difficile da risolvere, anche a causa della violenza e delle minacce di cui si servono i caporali per controllare i lavoratori. In un anno furono presentate circa 150 denunce contro lo sfruttamento. Ma negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, le condizioni di lavoro non sono migliorate.
Sabato 22 giugno ci sarà uno sciopero del settore agricolo «contro il caporalato, contro lo sfruttamento e il lavoro nero» proclamato dalla CGIL di Latina, di Roma e di Frosinone dopo la morte di Satnam Singh. Alle 17 ci sarà una manifestazione a Latina, in piazza Libertà.