La “diplomazia del bambù” del Vietnam
Come la pianta, il paese sta cercando di mantenere rapporti flessibili con altri stati in conflitto tra loro: lo dimostrano le recenti visite di Joe Biden e Xi Jinping, e quella attuale di Vladimir Putin
Giovedì il presidente russo Vladimir Putin è arrivato in Vietnam, dove si tratterrà per una visita di stato di due giorni, dopo che mercoledì era stato per la prima volta in 24 anni in Corea del Nord (dove ha firmato con il dittatore Kim Jong Un un accordo che include fra le altre cose un patto di reciproca difesa). La visita di Putin in Vietnam è notevole soprattutto dal punto di vista vietnamita, dato che il paese negli ultimi mesi ha ospitato anche i capi di stato degli Stati Uniti e della Cina: a settembre era andato in visita il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, e a dicembre il presidente della Cina Xi Jinping.
A differenza della Corea del Nord, la varietà delle relazioni estere del Vietnam è il risultato di una politica precisa, in cui il paese – che è guidato in maniera autoritaria dal Partito Comunista del Vietnam – negli ultimi anni ha cercato di ampliare le proprie relazioni con i paesi occidentali, e ha cercato di mantenere neutralità ed equidistanza su due grosse questioni: la guerra russa in Ucraina e i difficili rapporti tra l’Occidente e la Cina. È la cosiddetta “diplomazia del bambù”, come l’aveva definita nel 2021 Nguyen Phu Trong, dal 2011 segretario generale del Partito Comunista, la carica più importante nel sistema istituzionale del paese.
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Per descrivere la politica estera vietnamita Trong l’aveva paragonata alla pianta del bambù, tipica del sud-est asiatico, che ha «radici forti, un tronco robusto e rami flessibili». Trong voleva intendere che, pur mantenendo solida la natura comunista della politica interna del paese, il Vietnam non voleva irrigidirsi nei rapporti con l’estero, mostrandosi disponibile a dialogare anche con paesi che hanno rapporti conflittuali tra loro, come Stati Uniti, Cina e Russia.
I rapporti con gli Stati Uniti sono stati ovviamente, per ragioni storiche, quelli più complicati da ristabilire per il Vietnam, data la lunga e sanguinosa guerra combattuta prima della riunificazione tra il Vietnam del Nord, guidato dalla dittatura comunista di Ho Chi Minh, e quello del Sud, anticomunista e sostenuto dagli Stati Uniti. Da anni però ormai gli Stati Uniti hanno avviato buone relazioni diplomatiche con il Vietnam, soprattutto dopo il progressivo deterioramento di quelle con la Cina, e di conseguenza il paese è diventato uno dei partner commerciali statunitensi più importanti in Asia.
Ad esempio Apple, una delle più importanti aziende statunitensi, negli ultimi anni ha spostato sempre più i propri poli produttivi dalla Cina verso altri paesi, in particolare India e Vietnam. Questo dopo che per molto tempo si era affidata quasi esclusivamente ai fornitori cinesi per la produzione di molti dei suoi prodotti: il cambiamento è avvenuto soprattutto dopo che nel 2018 il presidente statunitense Donald Trump iniziò una controversa guerra commerciale con la Cina, minacciando anche di imporre una tariffa doganale del 15 per cento su tutti i prodotti di aziende statunitensi realizzati in Cina. La situazione è peggiorata con la pandemia e la sua cattiva gestione da parte del governo cinese, che ha imposto lunghi e severi lockdown, causando anche grossi ritardi alla produzione industriale.
Con la sua politica di equidistanza, il Vietnam è riuscito allo stesso tempo ad attrarre gli investimenti economici statunitensi e a mantenere solidi rapporti con la Cina, che comunque rimane il suo principale partner commerciale. Contemporaneamente, come dimostra la visita di Putin, ha però anche saputo assicurarsi il sostegno della Russia, che è il suo più importante fornitore di armi ed equipaggiamenti militari, e con cui collabora a importanti progetti di esplorazione di giacimenti di petrolio e gas nel mar Cinese Meridionale.
Al momento non si sa se nella visita di Putin saranno annunciati nuovi accordi tra Russia e Vietnam, e anzi è probabile che quest’ultimo cercherà ancora una volta di mantenersi cauto e disponibile a rapporti “flessibili” per non inimicarsi altri paesi. Le Hong Hiep, ricercatore e coordinatore del programma di studi sul Vietnam presso l’Iseas-Yusof Ishak Institute, centro studi di Singapore, ha detto al Financial Times di credere che «il Vietnam sarà abbastanza saggio da assicurarsi che la visita non danneggi le sue relazioni con gli Stati Uniti e con i partner occidentali: ha saputo mantenere buoni legami con tutte le maggiori potenze, e questo gioca un ruolo importante nell’aiutare il Vietnam ad attrarre investimenti da diversi partner».
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