Cosa si sa della morte di Satnam Singh
Il lavoratore indiano morto dopo aver perso il braccio in un macchinario non aveva un contratto, come molti altri lavoratori nell'agro pontino, dove l'agricoltura si regge sullo sfruttamento delle persone
La procura di Latina ha aperto un’inchiesta sulla morte di Satnam Singh, il lavoratore indiano 31enne che lunedì pomeriggio aveva perso un braccio mentre stava lavorando nei campi intorno a Latina, nell’area agricola dell’agro pontino, nel Lazio. Singh è morto mercoledì pomeriggio all’ospedale San Camillo di Roma dopo diversi tentativi fatti dai chirurghi per salvargli la vita. Per ora l’unica persona indagata è il suo datore di lavoro, Antonello Lovato, 37 anni, accusato di omicidio colposo, omissione di soccorso e violazione delle norme sulla sicurezza.
Singh, conosciuto da amici e colleghi come Navi, era in Italia da tre anni insieme alla moglie, che lavorava nella stessa azienda agricola tra Borgo Santa Maria e Borgo Montello, due frazioni di Latina. Entrambi non avevano un contratto regolare. Lunedì pomeriggio Singh stava preparando le serre per la coltivazione dei meloni quando all’improvviso è rimasto incastrato in un macchinario utilizzato per avvolgere la plastica. La forte pressione gli ha causato la mutilazione del braccio e la frattura delle gambe.
Nessuno – né il datore di lavoro né i colleghi – ha chiamato i soccorsi. Antonello Lovato ha caricato Singh su un furgone insieme alla moglie e lo ha portato a casa. Il lavoratore è stato lasciato di fronte al cancello, mentre il braccio è stato messo in una cassetta della frutta. Infine è stato portato all’ospedale San Camillo con l’elisoccorso. Dal momento dell’incidente ai primi soccorsi è passata circa un’ora e mezza, un ritardo che secondo i medici sarebbe stato fatale. La procura ha disposto l’autopsia.
Lovato ha detto di aver agito in questo modo per via del panico, e di avere assecondato le richieste della moglie di Singh che lo implorava di portarli a casa. I suoi avvocati sostengono che Lovato abbia chiamato i soccorsi, ma solo dopo essersi allontanato dalla casa del lavoratore, e di essere andato subito in questura a spiegare cosa fosse successo. Intervistato dal Tg1, il padre di Lovato ha detto che il figlio aveva avvisato Singh di non avvicinarsi al macchinario: «Ma ha fatto di testa sua. Una leggerezza che è costata cara a tutti».
Il segretario della CGIL di Latina e Frosinone, Giuseppe Massafra, ha detto che i mancati soccorsi dopo gli infortuni sul lavoro sono una prassi, soprattutto se si tratta di persone senza permesso di soggiorno. Nella zona dell’agro pontino ci sono centinaia tra piccole, medie e grandi aziende agricole dove vengono coltivate verdure sia in campo che in serra: da qui provengono molte delle verdure che riforniscono le grandi aziende dell’agroalimentare italiano.
Come in altre zone d’Italia, anche nell’agro pontino questa economia si basa sullo sfruttamento dei lavoratori, quasi esclusivamente immigrati. In provincia di Latina lavorano soprattutto indiani arrivati in Italia fin dagli anni Ottanta dal Punjab, una regione nordoccidentale dell’India. Sono tutti di religione sikh. Alcuni paesi dell’agro pontino sono abitati per la maggior parte da indiani che lavorano nei campi. I dati ufficiali dell’INPS dicono che i lavoratori indiani sono circa 9mila, ma molti lavorano senza contratto e senza avere il permesso di soggiorno, perciò si stima che siano almeno il doppio. I lavoratori vengono reclutati dai cosiddetti “caporali”, cioè persone che fanno da intermediari tra i titolari delle aziende e la comunità sikh. Oltre a procurare il lavoro, i caporali si occupano di trovare una casa ai lavoratori e di portarli al lavoro: sono servizi che vengono pagati con una cospicua parte dello stipendio. Il reclutamento spesso avviene attraverso i social network.
Le persone sono costrette a lavorare per circa 14 ore al giorno, in qualsiasi condizione meteorologica, con poche pause e senza dispositivi di protezione. La paga va da 3 a 4,5 euro all’ora. A volte capita che ai braccianti vengano fatti contratti irregolari, nei quali risultano 3 o 4 giornate lavorate in un mese quando in realtà sono 26 o 28. In altri casi, com’è accaduto a Singh e alla moglie, le persone lavorano senza un contratto. Fino all’inizio degli anni Duemila le condizioni erano persino peggiori: la paga era tra 1,5 e 2 euro all’ora e i braccianti erano costretti a lavorare tutti i giorni, senza riposi. Il contratto provinciale dei lavoratori agricoli prevede una paga base di 9 euro lordi all’ora.
Il primo sciopero dei lavoratori di origine sikh fu organizzato nell’aprile del 2016. In un anno furono presentate circa 150 denunce contro lo sfruttamento. Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, le condizioni di lavoro non sono migliorate. Molti dei braccianti che hanno fatto denuncia sono stati minacciati e in alcuni casi picchiati dai caporali, che usano la violenza e le intimidazioni per soggiogare le persone che hanno bisogno di lavoro.
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