Perché alcuni avanzi sono più buoni dopo qualche giorno

Succede spesso con lasagne, zuppe, creme e altre preparazioni: c'entra il modo in cui il cibo continua a modificarsi, dopo che abbiamo finito di cucinarlo

(Stranger Things)
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C’è chi non fa complimenti e non concepisce che possano avanzare porzioni di lasagne e chi è felice di lasciarne un po’ per il giorno dopo “perché diventano più buone”. Migliora la loro consistenza e i sapori hanno tempo di amalgamarsi e fondersi insieme, dicono i conservatori di lasagne. È una teoria condivisa anche da appassionati di altre pietanze, dalle zuppe alla parmigiana, e ha effettivamente una qualche base scientifica legata al modo in cui le sostanze presenti negli ingredienti interagiscono tra loro. Ci sono insomma casi in cui il cibo mangiato il giorno dopo è più buono, e non solo perché non si deve fare la fatica di prepararlo.

In Italia più del 99 per cento delle famiglie possiede un frigorifero: è l’elettrodomestico più diffuso nelle case, seguito a poca distanza dalla lavatrice (98 per cento) e dalla televisione (97 per cento). Il frigorifero divenne via via più diffuso nelle abitazioni a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale e, come in altri paesi, cambiò profondamente il nostro rapporto con il cibo e il suo consumo. La sua introduzione rese più semplice la conservazione degli alimenti, contribuì a ridurre i rischi di intossicazioni dovute al consumo di cibo avariato e rese più comune il consumo degli avanzi dei pasti precedenti.

Proprio grazie alla refrigerazione, tendiamo a pensare che la trasformazione degli alimenti si concluda nel momento in cui abbiamo finito di cucinarli, e che quindi le loro caratteristiche non cambino più di tanto nei giorni in cui li lasciamo in frigorifero. In realtà, anche dopo la cottura e il raffreddamento, i processi fisici e chimici continuano ad avvenire con l’interazione di una enorme quantità di sostanze.

I costituenti di carboidrati, grassi e proteine si modificano, perdono o assorbono acqua e si verificano reazioni con la produzione di gas, che a lungo andare contribuiranno al deperimento degli alimenti. Il processo è rallentato dalla bassa temperatura del frigorifero, che lascia qualche margine in più alla possibilità che alcune preparazioni migliorino, per lo meno per le sensazioni che lasciano a chi le consuma.

Accade spesso che zuppe, ragù e preparazioni simili risultino più buone e gradevoli dopo qualche giorno dalla loro preparazione, se conservate nel modo giusto in frigorifero. Non è solo un modo di dire: c’entrano soprattutto i grassi (lipidi) e le spezie utilizzate più comunemente in cucina come il pepe, la noce moscata o le miscele impiegate per preparare il curry. Le molecole che danno profumo e sapore a queste spezie sono “liposolubili”, cioè si sciolgono facilmente nei grassi. Più tempo trascorrono lipidi e spezie insieme, più aumenta la diffusione dei loro aromi all’interno delle molecole di grasso, che a loro volta si distribuiranno nel resto della preparazione.

Questo processo di fusione è favorito dal calore utilizzato per cucinare una zuppa o un ragù, ma avviene comunque anche nelle fasi successive quando la pietanza si raffredda e viene poi riposta in frigorifero. L’olio aggiunto a una minestra, la pancetta a una zuppa di legumi o ancora la panna a una crema di verdure costituiscono la base grassa nella quale si distribuiscono più facilmente i composti aromatici e contribuiscono a migliorare la consistenza della preparazione.

Qualche tempo fa la rivista Cook’s Illustrated fece un esperimento offrendo a un gruppo di persone del chili di carne, una crema di pomodoro e cipolle e una zuppa di fagioli nelle loro versioni fresche e conservate in frigorifero per un paio di giorni. I partecipanti scelsero nella maggior parte dei casi la versione del frigorifero, segnalando di aver trovato le pietanze più saporite e ben amalgamate.

Gli esperti consultati dalla rivista spiegarono che nel tempo trascorso in frigorifero il lattosio nei prodotti a base di latte impiegati per la zuppa e per la crema si era trasformato in glucosio, così come avevano fatto alcuni carboidrati delle cipolle, dando un sapore più dolce e uniforme alle due preparazioni. Nel caso del chili, oltre ai grassi presenti nella carne che avevano favorito il diffondersi delle spezie, le proteine si erano probabilmente separate negli aminoacidi – i loro componenti di base – come il glutammato, un sapore cui siamo particolarmente sensibili.

Altre ricerche hanno inoltre segnalato come il collagene, la principale proteina che negli animali fa da impalcatura per gli altri tessuti molli, viene rilasciato in parte dalla carne durante la cottura e fa da collante per gli altri ingredienti. Questo è uno dei motivi per cui le lasagne diventano più compatte e morbide dopo un certo periodo in frigorifero: c’entrano il collagene che torna a solidificarsi producendo una sostanza gelatinosa e i grassi presenti nella carne e negli altri ingredienti, che a loro volta si solidificano.

(Michael Loccisano/Getty Images for NYCWFF)

La variazione della consistenza di alcuni avanzi nei giorni dopo la preparazione dipende inoltre da un’altra sostanza, un carboidrato che ha un ruolo centrale nella cucina: l’amido. È presente in alimenti come pasta, riso, pane e patate e forma molecole molto lunghe che contribuiscono a tenere insieme i composti, per questo motivo viene utilizzato come addensante per esempio per regolare la consistenza di una zuppa venuta troppo liquida. A differenza dei grassi e delle proteine, l’amido non sempre favorisce il miglioramento degli avanzi.

Lo strato d’acqua torbida, non proprio attraente, che talvolta si osserva sopra a del purè conservato per qualche giorno in frigorifero è dovuto alla retrogradazione dell’amido, un processo che porta l’amido a tornare alla propria struttura originaria dopo che questa era stata modificata con la cottura portando alla gelatinizzazione.

Nelle patate, così come nel riso o nei cereali (usati per produrre pane e pasta) l’amido è presente in una forma simile a granuli che derivano dal modo in cui crescono le piante e producono il glucosio attraverso la fotosintesi. Quando vengono riscaldati in acqua, i granuli si gonfiano e rilasciano l’amido contenuto al loro interno. Al termine della cottura, quando il cibo inizia a raffreddarsi, si attiva la retrogradazione e l’amido cerca di tornare alla struttura originaria cambiando la distribuzione delle molecole d’acqua, che quindi riaffiorano causando la formazione dello strato di liquido torbido sopra al purè. La presenza dello strato in superficie non indica che l’avanzo sia andato a male e l’acqua può essere mischiata nuovamente al resto, anche se non tornerà più a disperdersi allo stesso modo a livello molecolare come aveva fatto durante la cottura. È soprattutto per questo motivo che difficilmente il purè vecchio di qualche giorno è soffice e cremoso come quello appena fatto.

Anche in questo caso i grassi possono venire in aiuto, perché come abbiamo visto contribuiscono a dare omogeneità alle preparazioni e ad arricchirne il sapore. Le molecole di grasso possono rendere più morbida la struttura che forma l’amido quando si riorganizza, come sa chi prepara purè particolarmente burrosi o con l’aggiunta di formaggi.

La retrogradazione dell’amido è del resto il processo alla base della formazione del pane raffermo, che tende a seccare più velocemente rispetto ad altri prodotti da forno che contengono più grassi. Se conservati da cotti e senza condimento, riso e pasta tendono a tornare duri e non sempre si riesce a farli rinvenire con l’aggiunta di un po’ di acqua calda. Nel caso delle lasagne la presenza del condimento, dei grassi e delle altre sostanze (nel ragù e nella besciamella) prevengono questo effetto. Le sostanze grasse hanno inoltre un maggiore tempo di permanenza nel palato e ciò fa sì che si percepiscano meglio gli aromi delle sostanze finite al loro interno.

Una scena dal film All of Us Strangers di Andrew Haigh (Searchlight Pictures)

Che siano gli ingredienti di partenza o il piatto finale, molti alimenti subiscono l’effetto dell’ossigeno presente nell’aria e si ossidano velocemente. È l’effetto per cui dopo qualche minuto una fetta di mela inizia ad annerire, così come può avvenire con una banana, una carota o diversi altri alimenti comprese le carni. Soprattutto con queste ultime l’effetto dell’ossidazione è poco gradevole, perché si producono molecole volatili – quindi percepibili dal nostro olfatto e in parte dal gusto – che modificano la resa di una fetta di carne o di un trancio di pesce.

I processi di ossidazione sono tra i principali responsabili del “sapore di riscaldato” che assume spesso la carne già cotta, quando viene scaldata nuovamente per consumarla come avanzo. Accade soprattutto nel caso di tagli particolarmente grassi, perché lo sviluppo di quelle sostanze volatili avviene con l’ossidazione dei grassi. Quel particolare sapore non implica che la carne sia avariata, ma rende il suo consumo poco gradevole. L’aggiunta di sostanze antiossidanti alla ricetta può ridurre il problema: si possono per esempio utilizzare alcune erbe come rosmarino e timo, non a caso impiegati spesso nella preparazione delle carni compresi alcuni tipi di insaccati (a livello industriale si usa spesso l’acido ascorbico, cioè la vitamina C).

In generale è comunque importante ricordare che gli avanzi dovrebbero essere consumati entro 3-4 giorni dal momento in cui sono stati messi in frigorifero, o entro 3-4 mesi nel caso in cui siano messi nel freezer. Il congelamento domestico non è però molto efficace nel mantenere le caratteristiche dei piatti, perché avviene lentamente e porta alla formazione di cristalli di ghiaccio di dimensioni tali da danneggiare la struttura di molti alimenti. Il surgelamento a livello industriale avviene a temperature più basse e permette di ridurre la formazione di cristalli di grandi dimensioni, preservando meglio i prodotti.

Gli avanzi tendono a mantenere una qualità migliore se vengono conservati il prima possibile in frigorifero, evitando di lasciarli per troppo tempo a temperatura ambiente. Il periodo massimo di conservazione su un ripiano della cucina varia molto, ma in media è consigliabile non superare le due ore per la maggior parte delle preparazioni. Se la zuppa appena preparata e avanzata è troppo calda per trasferirla nel frigorifero, la si può distribuire in più contenitori larghi e bassi, in modo che si raffreddi più velocemente e possa essere inserita in frigorifero in tempi rapidi. Questa soluzione permette inoltre di raffreddare più uniformemente una preparazione, rispetto a quanto avverrebbe con un unico contenitore profondo.

Ogni avanzo dovrebbe essere inoltre conservato separato da tutto il resto, quindi in contenitori ermetici, ed è importante che i prodotti cotti non siano a contatto con quelli ancora crudi, sia che si tratti di verdure sia di carne e pesce. C’è infatti il rischio di contaminare i cibi già preparati con batteri e altri microrganismi provenienti dagli alimenti crudi, e molto interessati a colonizzare le lasagne avanzate appena messe nel frigorifero.

L’impiego di contenitori ermetici e un consumo entro pochi giorni riducono inoltre il rischio di trovare spiacevoli sorprese, come uno strato di muffa bianca, grigia o verdastra. Anche se comporta un certo sacrificio, in questo caso è inutile e pericoloso resistere: le muffe in superficie producono lunghi e sottilissimi filamenti in profondità negli alimenti, quindi non è sufficiente rimuovere lo strato superficiale ammuffito per non correre rischi. Non c’è modo di capire a occhio se una muffa sia “buona” o “cattiva”, per precauzione quindi: se c’è la muffa, si butta.