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  • Martedì 18 giugno 2024

La moda non sta tanto bene

I problemi del settore sono noti da tempo ma negli ultimi tempi si sono visti tutti insieme: il sito di moda BoF prova a capire perché

Una passerella vuota ai Spring Studios di New York, durante la Settimana della moda di New York, 7 febbraio 2019
(Roy Rochlin/Getty Images)
Una passerella vuota ai Spring Studios di New York, durante la Settimana della moda di New York, 7 febbraio 2019 (Roy Rochlin/Getty Images)
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La crisi della moda di lusso è un argomento ricorrente ma negli ultimi mesi la situazione è particolarmente difficile, come ha raccontato il fondatore dell’autorevole sito di moda Business of Fashion (BoF), Imran Amed, provando a dare delle spiegazioni. Amed ha preso spunto dalle difficoltà del marchio francese Chanel (che nel 2023 aveva fatturato 19,7 miliardi di euro) e dei grandi gruppi francesi del lusso LVMH (che controlla 14 marchi, tra cui Louis Vuitton, Christian Dior e Celine) e Kering (che possiede, tra gli altri, Gucci, Balenciaga, Saint Laurent e Bottega Veneta), che «sembrano in modalità di gestione della crisi».

Nel 2023 i ricavi di Kering sono infatti diminuiti del 4 per cento rispetto al 2022 ed è andato particolarmente male l’ultimo trimestre, quello in cui si comprano i regali di Natale e in cui di solito si spende di più. Il calo è legato soprattutto ai ricavi annuali di Gucci, scesi del 6% e pari a 9,87 miliardi di euro. Uno dei motivi è stato il cambio di direttore creativo: nel novembre del 2022 Alessandro Michele se ne andò e a gennaio venne sostituito da Sabato De Sarno che, scrive Amed, «non ha ancora acceso l’interesse del settore». Gucci è rimasto senza direttore creativo e senza una proposta chiara per molto tempo: la prima collezione di De Sarno è arrivata nei negozi soltanto a febbraio 2024.

La foto di modello alla sfilata di Gucci con la collezione uomo per la primavera/estate 2025(Gucci)

Un modello alla sfilata di Gucci con la collezione uomo per la primavera/estate 2025 (Gucci)

Secondo alcuni critici è per questo motivo che Valentino ha mostrato ieri, a sorpresa, la prima collezione disegnata dal suo nuovo direttore creativo, che da marzo è proprio Alessandro Michele: la sua prima collezione doveva essere presentata a settembre, ma non sarebbe arrivata nei negozi prima di febbraio. Così, invece, i nuovi vestiti di Michele si potranno comprare da novembre.

La foto di un modello con un look della collezione Resort 2025, la prima disegnata da Alessandro Michele per Valentino(Valentino)

Un modello indossa look della collezione Resort 2025, la prima disegnata da Alessandro Michele per Valentino (Valentino)

Anche LVMH, aggiunge Amed, è in difficoltà, nonostante i buoni ricavi del 2023. Cita fonti per cui le vendite di Dior sarebbero in calo, e probabilmente è per questo che è stata rimandata la sfilata di moda maschile prevista per marzo a Hong Kong. Fendi e Givenchy – altri due brand che controlla – sono in stallo e da mesi circolano voci sulla possibilità che il direttore creativo di Celine, Hedi Slimane, se ne vada a breve. Il continuo ricambio di direttori creativi nelle grandi aziende di moda è un altro problema di cui si discute da almeno dieci anni e che si è visto anche negli ultimi mesi.

– Leggi anche: Il lusso sarà sempre più un lusso

Dal 6 giugno la francese Virginie Viard non è più direttrice creativa di Chanel, un ruolo che ricopriva da cinque anni avendo preso il posto di Karl Lagerfeld; l’annuncio, improvviso e a 20 giorni dalla presentazione della prossima sfilata, suggerisce che il rapporto lavorativo sia stato interrotto bruscamente da una delle due parti. Chanel non si trovava senza direttore creativo da 41 anni, quando nel 1983 venne nominato Lagerfeld.

Da marzo l’italiano Pierpaolo Piccioli non è più direttore creativo del marchio Valentino, dove lavorava dal 1999; in questo caso la decisione era presa da tempo visto che il successore, il già citato Michele, è stato annunciato pochi giorni dopo. Sempre a marzo lo stilista belga Dries Van Noten è andato in pensione, lasciando l’azienda che aveva fondato 40 anni prima. Citando anche Sarah Burton, che da ottobre 2023, dopo 20 anni, non è più alla guida del marchio britannico Alexander McQueen, la giornalista di moda del New York Times Vanessa Friedman si era chiesta se nella moda «ci fosse ancora umanità». Al momento né Piccioli né Burton hanno trovato un nuovo lavoro, così come gli apprezzati stilisti Riccardo Tisci e Clare Waight Keller, che hanno diretto rispettivamente la britannica Burberry (che si trova in grande difficoltà) e la francese Givenchy.

Capita anche che direttori creativi appena nominati se ne vadano dopo poche stagioni perché non raggiungono i risultati di vendite aspettati, senza avere il tempo di assestarsi e trovare un compromesso tra creatività e prodotti in grado di vendere. Avere idee originali in queste condizioni è difficile, vista la quantità di collezioni che devono presentare, spesso otto all’anno, a volte anche di più.

Secondo Amed, la crisi è causata soprattutto dalla «graduale rottura del contratto sociale tra i creativi e i loro capi aziendali, che non stanno spingendo la creatività nel modo in cui facevano un tempo», quando Bernard Arnault, fondatore di LVMH, e Francois-Henri Pinault, fondatore di Kering, «si prendevano rischi creativi per aumentare le fortune di piccoli marchi». Negli anni Novanta affidavano i marchi a stilisti giovani e di rottura, che disegnavano vestiti mai visti per sfilate stupefacenti. L’obiettivo non era più proporre l’intera collezione alla clientela ricca e selezionata, ma attirare le masse e vendere profumi, borsette, occhiali da sole, cinture e magliette: i capi e gli accessori che costavano meno. Ora i marchi di lusso devono mantenere dei ritmi di vendita molto alti e preferiscono «la strada sicura», dice Amed.

Ovviamente ci sono delle eccezioni, come le aziende del gruppo del lusso italiano Only The Brave che, sotto la guida del fondatore Renzo Rosso, puntano molto sull’originalità: Marni, Diesel, Jil Sander e Maison Margiela, che a gennaio ha presentato la collezione più apprezzata dell’anno, disegnata dal britannico John Galliano. E anche l’azienda spagnola Loewe, disegnata dall’eccentrico JW Anderson che ha anche una propria linea, le italiane Prada e Miu Miu e, più in piccolo, i marchi indipendenti Sunnei e Magliano, che riescono a trovare un equilibrio tra creatività e commerciabilità.

Un look della collezione di JW Anderson, presentata il 16 giugno 2024 alla Settimana della moda di Milano

Anche la creatività tipica dei marchi indipendenti è a rischio, perché tanti negli ultimi mesi hanno chiuso: aprire una nuova attività richiede investimenti continui e poi si dipende molto dalle decisioni dei rivenditori. Infatti sono stati danneggiati dal crollo dei principali e-commerce di lusso al mondo: Matches (che è in amministrazione controllata), Farfetch (acquistato, dopo una grave crisi, dal gruppo sudcoreano Coupang) e Yoox Net-a-Porter. Secondo Amed, erano guidati da persone che «non capivano davvero la creatività e non avevano il gusto necessario» per costruire dei rivenditori di qualità: l’offerta era identica e si facevano concorrenza solo con gli sconti.

Il risultato, conclude Amed, è «un’industria della moda che non riesce a ispirare i clienti e nemmeno noi che ne facciamo parte»: la moda di oggi è «stereotipata, corporativa e senza carattere» e chiaramente non sta funzionando.