I leader europei non hanno trovato un accordo su un secondo mandato di Ursula von der Leyen
Si erano visti lunedì sera per discutere di chi nominare alle più alte cariche europee, tra cui quella di presidente della Commissione Europea: al contrario delle aspettative non ci sono però ancora riusciti
Lunedì sera i 27 capi di stato e di governo dei paesi membri dell’Unione Europea non sono riusciti ad accordarsi sulle principali nomine interne all’Unione, prima fra tutte quella di un secondo mandato di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione Europea. Si erano riuniti a cena a Bruxelles, in Belgio, in un primo incontro del Consiglio Europeo dopo le elezioni europee di inizio giugno per parlare proprio di questo: benché si trattasse di un incontro informale era ritenuto estremamente importante a livello politico e tutti si aspettavano che almeno un accordo sulla nomina di von der Leyen sarebbe stato raggiunto.
Invece nella notte fra lunedì e martedì il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha detto ai giornalisti che si trovavano sul posto che «non c’è alcun accordo stasera». Un diplomatico rimasto anonimo ha detto a Politico che i negoziatori avevano trovato un accordo sulle nomine, ma che i leader continueranno invece a discuterne nei prossimi giorni: in particolare quando si rivedranno tutti il 27 e il 28 giugno, durante il primo incontro formale del Consiglio Europeo, in cui queste nomine dovrebbero essere votate.
Secondo il sito di news Politico, lo stallo si sarebbe verificato quando i leader che appartengono al gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), il più grande al Parlamento Europeo, avrebbero chiesto non solo di poter eleggere nuovamente Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione e Roberta Metsola a quella del Parlamento Europeo (entrambe sono esponenti del PPE), ma anche di dividere con il gruppo dei Socialisti (S&D) la presidenza del Consiglio Europeo: secondo le indiscrezioni degli scorsi giorni, questo incarico sarebbe dovuto andare per cinque anni (ossia per due mandati) all’ex primo ministro portoghese António Costa, ma il PPE avrebbe chiesto che uno dei due mandati, di 2,5 anni, fosse assegnato a un politico o una politica del loro gruppo. I leader e i negoziatori dell’S&D non sarebbero stati contenti della proposta, dato che era il loro turno di eleggere la presidenza del Consiglio, e avrebbero quindi bloccato la discussione.
È abbastanza normale che i principali gruppi del Parlamento Europeo influenzino le nomine ai principali incarichi: il presidente della Commissione Europea per esempio viene sempre scelto dal gruppo che ha preso più voti alle elezioni europee, che da diversi anni è il PPE, ma di solito gli incarichi vengono divisi anche con gli altri gruppi con cui poi il PPE si allea, specialmente l’S&D.
Un altro problema sarebbe stato poi rappresentato proprio dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che non sarebbe stata soddisfatta del modo in cui si è svolta la serata. Secondo diversi diplomatici che hanno parlato con Politico, Meloni si aspettava di essere più coinvolta nei negoziati dopo il suo ottimo risultato alle elezioni europee e non è stata contenta dei tentativi di alcuni leader di escluderla.
Nonostante il mancato raggiungimento di un accordo sembra però che si sia consolidato un consenso attorno ai nomi di von der Leyen, Metsola e Costa, oltre che a quello della prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas come Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ossia il capo diplomatico dell’Unione.
Nonostante la percepita generale volontà di raggiungere un accordo il più velocemente possibile, questo incontro si è svolto in un contesto molto diverso da quello di cinque anni fa. Sempre più stati membri dell’Unione Europea sono guidati da capi di stato appartenenti a partiti di estrema destra non europeisti e nel 2019 i negoziati erano stati principalmente guidati da quella che allora era la cancelliera tedesca Angela Merkel, una dei leader più importanti della storia recente dell’Unione Europea, con Emmanuel Macron. Entrambi al tempo avevano un’influenza politica che ora non ha nessuno al momento.
Nel 2021 Merkel ha smesso di fare politica e ora la Germania è guidata dal cancelliere Socialista Scholz, il cui partito è arrivato terzo alle elezioni europee con appena il 13,9 per cento dei voti. Anche la posizione di Macron non è più quella di un tempo: alle elezioni di giugno il principale partito di estrema destra francese Rassemblement National ha preso più del doppio dei voti del suo partito: questo risultato ha convinto Macron a indire elezioni anticipate in Francia, che si terranno il 30 giugno e il 7 luglio, proprio durante i lavori di composizione dei nuovi organismi dell’Unione Europea.