“È il Quirinale che non vuole”
Più o meno così Fratelli d'Italia si giustifica quando limita alcune iniziative dei suoi alleati, in particolare sui balneari, tirando in mezzo il presidente della Repubblica anche quando c'entra poco
Da giorni i partiti della coalizione di governo bisticciano sull’approvazione di un provvedimento importante: un decreto-legge sulle politiche di coesione, approvato dal Consiglio dei ministri il 30 aprile scorso su proposta del ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto.
Il decreto-legge serve a migliorare l’attuazione del programma di sostegni economici che l’Unione Europea ha messo a disposizione per il periodo 2021-2027 in favore delle regioni più arretrate, quelle del Sud Italia. Deve essere convertito in legge dal parlamento entro il 6 luglio, e ora lo sta esaminando la commissione Bilancio del Senato. Come spesso succede nella fase di discussione alle camere, il decreto-legge è stato utilizzato da esponenti di maggioranza per inserirvi proposte che poco hanno a che fare con lo scopo iniziale del provvedimento. In particolare, la Lega ha presentato un emendamento che riguarda l’annosa questione delle concessioni balneari, cioè dell’affidamento in gestione delle spiagge italiane a imprenditori del settore: prevede da un lato incentivi per i gestori attuali nel caso di messa a gara delle spiagge su cui hanno avviato da tempo attività commerciali, riconoscendo loro una sorta di corsia preferenziale per aggiudicarsi quelle gare; dall’altro di dare piena attuazione alla mappatura avviata nel dicembre 2022 dal governo, per stabilire in maniera definitiva lo stato delle spiagge italiane e l’effettiva presenza di tratti di costa balneabili ancora non assegnati ad alcun gestore privato.
Il ministro Fitto, un po’ sorpreso di fronte a questa mossa della Lega, ha fatto in modo che l’emendamento venisse dichiarato in parte inammissibile dal presidente della commissione Bilancio Nicola Calandrini, anche lui di Fratelli d’Italia: di fronte alle proteste dei leghisti, ha spiegato che è soprattutto il presidente della Repubblica a considerare inopportuno l’emendamento, dal momento che questo è estraneo rispetto alla materia del decreto. La motivazione però è stata considerata pretestuosa dal capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, primo firmatario dell’emendamento in questione. In una riunione tra esponenti di maggioranza che si è svolta al Senato giovedì scorso, Romeo ha anzi replicato molto irritato a Fitto: «Da quando l’ammissibilità di un emendamento la stabilisce il Quirinale? E dove sarebbero le prove di questa contrarietà? Io sapevo che a stabilire se un emendamento sia ammissibile oppure no è il presidente della commissione, o al massimo il presidente del Senato. Non certo il presidente della Repubblica».
In sostanza, Romeo ha accusato Fitto e il collega ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani, pure lui di Fratelli d’Italia e pure lui presente alla riunione, di utilizzare strumentalmente i dubbi veri o presunti di Mattarella per bocciare gli emendamenti senza assumersene la responsabilità politica. Raccontando l’esito della riunione ai senatori della Lega, Romeo ha condiviso i dubbi espressi da alcuni dei suoi colleghi di partito, secondo cui troppo spesso si ha l’impressione che quando una qualche iniziativa politica non piace ai sottosegretari alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, i due principali collaboratori di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, questi finiscano col tirare in ballo più o meno direttamente il Quirinale.
In realtà è un fatto noto che Mattarella sia molto contrario all’approccio che il governo ha in materia di concessioni balneari, e la sua contrarietà ha a che vedere innanzitutto con le ripercussioni europee di questo stesso approccio.
Nel 2006 la Commissione Europea emanò una direttiva – la cosiddetta direttiva Bolkestein, dal nome del commissario che la propose, l’olandese Fritz Bolkestein – che di fatto imponeva di mettere a gara tra le altre cose le concessioni balneari, cioè le autorizzazioni a occupare tratti di spiaggia per costruirci stabilimenti e altre attività commerciali e turistiche. Si tratta in molti casi di concessioni che i gestori si tramandano di generazione in generazione da decenni, in sostanziale violazione dei principi della concorrenza e delle norme europee che la tutelano. Per non inimicarsi questa piccola ma influente lobby dei balneari, nessun governo dal 2006 a oggi ha dato piena attuazione alla direttiva, compreso quello guidato da Meloni.
Nel frattempo varie sentenze del Consiglio di Stato (la prima nel novembre del 2021, l’altra nel novembre del 2023, una terza nell’aprile scorso) hanno stabilito che le concessioni più volte prorogate fino al 2033 non possono essere più considerate valide dopo il 31 dicembre 2023. Nel novembre scorso, inoltre, la Commissione Europea ha richiamato formalmente il governo italiano al rispetto della direttiva, avviando l’iter per una procedura d’infrazione aggravata nei confronti dell’Italia.
Anche per questo Mattarella ha più volte segnalato la sua contrarietà alle scelte fatte dal governo di Meloni, volte a rinviare qualsiasi decisione ed evitare di avviare le procedure di gara. Per ben due volte è arrivato a esprimere ufficialmente dei rimproveri, di fatto: nel febbraio del 2023 scrisse una lettera ai presidenti di Camera e Senato e alla presidente del Consiglio, segnalando come le norme approvate nel decreto “Milleproroghe” fossero incompatibili col diritto europeo e con le sentenze del Consiglio di Stato. Nel gennaio del 2024, con una nuova lettera inviata agli stessi destinatari, ha fatto le stesse segnalazioni in merito alla nuova legge annuale sulla concorrenza.
Ma Mattarella ha ribadito il suo orientamento su questo anche in maniera più indiretta. L’ultima volta pochi giorni fa, mentre al Senato si sviluppava il litigio tra Lega e Fratelli d’Italia, durante l’assemblea della Confcommercio, l’associazione nazionale dei lavoratori autonomi e dei commercianti: in quell’occasione, di fronte a una platea che ha spesso preso le difese dei balneari, Mattarella ha ricordato l’impegno di Luigi Einaudi per inserire nella Costituzione «norme che impedissero pratiche di favoritismo statale nei confronti di privati e categorie: a tutela della concorrenza e quindi della libertà di impresa e di scelta di tutti». Era un chiaro riferimento alla situazione dei balneari, oltreché a quella dei commercianti ambulanti e dei tassisti.
Oltre alle questioni di merito, c’è poi una questione di metodo altrettanto rilevante. Più volte, in maniera informale o ufficiale, Mattarella e i suoi collaboratori hanno criticato la pratica ormai consolidata per cui i decreti-legge, dopo essere stati approvati dal governo, vengono riempiti durante la fase di conversione parlamentare di altri articoli che hanno poco o nulla a che vedere con la materia originaria del provvedimento. Il che produce un’anomalia anche perché i decreti-legge sono strumenti pensati per intervenire d’urgenza su temi che richiedono decisioni straordinarie in tempi rapidi, e solo in virtù di questa sorta di emergenza sono considerati compatibili coi principi costituzionali: è tuttavia evidente che se finiscono col diventare contenitori di misure varie, il presupposto di legittimità degli stessi decreti-legge viene meno.
Sulla base di questi fatti il ministro Fitto si è opposto all’emendamento della Lega sui balneari, secondo un principio che non è così anomalo: capita spesso infatti che il Quirinale intervenga in maniera più o meno diretta per suggerire o raccomandare modifiche a provvedimenti non ancora definitivamente approvati.
Al presidente della Repubblica è riservato solo un potere di vaglio finale delle norme approvate da governo e parlamento: deve cioè verificare che queste non siano in palese contrasto con la Costituzione prima di promulgarle, cioè farle entrare definitivamente in vigore; o, nel caso in cui la verifica non vada a buon fine, può rinviarle alle camere una sola volta chiedendo delle modifiche. Tuttavia il presidente della Repubblica ha da sempre anche un ruolo più politico, che spesso esercita cercando di persuadere i suoi interlocutori (la famosa moral suasion cosiddetta, spesso efficace per via dell’autorevolezza della carica o della persona che la ricopre).
Giorgio Napolitano, per esempio, tendeva al protagonismo e non disdegnava di rendere plateali le sue perplessità nei confronti delle decisioni che i governi dell’epoca, in particolare quelli guidati da Silvio Berlusconi, adottavano. Mattarella, che di Napolitano è il successore, ha un approccio indubbiamente più discreto e accorto. Non per questo, però, rinuncia a dare un indirizzo.
Succede spesso che i suoi collaboratori e i suoi consiglieri giuridici, per esempio, condividano riservatamente con i ministri o con i collaboratori della presidente del Consiglio orientamenti e pareri. E quasi sempre, di tutto ciò il governo tiene conto. Non è una novità recente: un approccio analogo, che è poi quello consolidato in decenni di prassi istituzionale, Mattarella lo aveva tenuto col primo governo di Giuseppe Conte, quando aveva in più occasioni lasciato intendere la propria contrarietà sulle norme che riguardavano la sicurezza e la gestione dei migranti, prima di rendere più esplicite le sue perplessità; col secondo governo di Giuseppe Conte, in merito ad alcune decisioni che riguardavano la gestione della pandemia da coronavirus; e anche col governo di Mario Draghi, quando per esempio alcune sue osservazioni informali furono decisive nell’aprile del 2022 per spingere il governo a rimandare la riforma della giustizia tributaria.
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Quanto a Meloni, il confronto tra la presidente del Consiglio e il capo dello Stato nei mesi passati è stato costante: ci sono state telefonate, colloqui, pranzi riservati per condividere orientamenti e impressioni. È consuetudine che almeno sui provvedimenti più rilevanti i funzionari dei ministeri o della presidenza del Consiglio chiedano informalmente pareri più puntuali, anche sui singoli emendamenti, o che sottopongano preventivamente le bozze iniziali di una norma al giudizio del capo dello Stato, com’è accaduto per esempio sulla riforma costituzionale della giustizia, a fine maggio. Nella pratica quotidiana, a gestire questi rapporti sono perlopiù il segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano. I rapporti tra i consiglieri di Mattarella e l’altro fondamentale collaboratore di Meloni, Fazzolari, sono invece più tribolati.
Se è vero dunque che non è affatto anomalo che il governo corregga alcune sue decisioni sulla scorta di indirizzi espressi informalmente dal Quirinale, è anche vero che di recente è capitato spesso che esponenti della Lega e di Forza Italia accusassero i ministri di Fratelli d’Italia di utilizzare in maniera strumentale gli orientamenti che venivano attribuiti al capo dello Stato. Era successo già all’inizio del 2023: in quel caso, esponenti di Forza Italia avevano lamentato il fatto che il ministro dell’Economia attribuisse proprio al Quirinale la contrarietà, che invece era di Giorgetti stesso, a inserire nel testo del decreto “Milleproroghe” una norma sui diritti televisivi delle squadre di calcio cara al loro senatore Claudio Lotito.
Ma è proprio sui balneari che questa polemica è stata particolarmente aspra e ricorrente. Già nel febbraio del 2023, quando la Lega propose di prolungare di un anno la scadenza delle concessioni prorogandole fino alla fine del 2024, il ministro Fitto si oppose, paventando ripercussioni nelle trattative europee sul PNRR (il Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato coi fondi europei del Next Generation EU).
Privatamente, definì gli esponenti di maggioranza che insistevano sul punto come dei «fedayin», come venivano chiamati i guerriglieri militanti in vari paesi del mondo arabo. Quando i leghisti depositarono il loro emendamento al decreto Milleproroghe, il ministro Ciriani riferì esplicitamente della contrarietà del Quirinale al riguardo, parlando coi capigruppo di maggioranza in un angolo dell’aula del Senato. Ne nacque un diverbio acceso: Romeo accusò Fratelli d’Italia di utilizzare le perplessità del Quirinale come «un alibi», e anche Licia Ronzulli di Forza Italia criticò l’atteggiamento del ministro, dicendo che sarebbe stato più onesto che Meloni si assumesse la responsabilità di dirsi contraria. Alla fine Fratelli d’Italia assecondò gli alleati, e la proroga fu approvata.
Ora, un anno e mezzo dopo, siamo un po’ allo stesso punto. Il governo ha nel frattempo creato un cosiddetto “tavolo tecnico”, coinvolgendo vari ministri e i presidenti delle regioni, per effettuare una mappatura delle spiagge: l’obiettivo della maggioranza, in breve, è dimostrare che ci sono ancora larghi tratti di costa balneabile non utilizzata, e dunque non c’è bisogno di attuare la direttiva Bolkestein sulle concessioni già in vigore. Ma è una posizione che va contro le sentenze del Consiglio di Stato e le indicazioni della Commissione Europea. Di fronte all’emendamento della Lega, Fitto ha nuovamente parlato dei dubbi del Quirinale, con una mossa che evidentemente tiene conto delle effettive perplessità di Mattarella ma che è apparsa strumentale anche ad alcuni dei collaboratori del capo dello Stato.
L’impressione è che Fratelli d’Italia, che per anni ha alimentato una propaganda ferocemente contraria alla Bolkestein e che anche nella recente campagna elettorale per le elezioni europee ha criticato il Consiglio di Stato prendendo le difese dei balneari, non voglia ora rimangiarsi le sue promesse, e scarichi la responsabilità su Mattarella senza tuttavia seguire fino in fondo le sue indicazioni, visto che non sta mettendo a gara le concessioni.
Era successo anche un’altra volta, di recente, che il governo tirasse in mezzo Mattarella. Sempre sulla base di presunte perplessità del Quirinale, il ministro Fitto aveva bocciato a Forza Italia un emendamento per sopprimere l’adozione del cosiddetto “redditometro”, uno degli strumenti che l’Agenzia delle Entrate usa per individuare i potenziali evasori fiscali e che aveva generato grosse polemiche in campagna elettorale. «Davvero è il Quirinale a obiettare? Non credo», aveva commentato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri.
In ogni caso sui balneari si è arrivati a uno stallo: il presidente della commissione Bilancio, Calandrini, ha dichiarato improponibile una parte dell’emendamento leghista, quella che prevede indennizzi e agevolazioni per i gestori, mentre il ministero dei Trasporti guidato dal leader della Lega Matteo Salvini ha espresso parere favorevole sulla seconda parte dell’emendamento. In questi giorni si dovrà trovare una soluzione tra gli alleati di governo. Tra i senatori leghisti circola già l’intenzione di ripresentare in ogni caso anche la parte cassata in un nuovo provvedimento, probabilmente nel decreto-legge sull’Agricoltura, anche questo in discussione al Senato.