Israele ha annunciato una «pausa tattica» lungo una strada a Rafah per consentire l’ingresso degli aiuti
Durerà ogni giorno dalle 8 alle 19 e sulla carta ha lo scopo di far arrivare più camion con cibo e medicine
L’esercito israeliano ha annunciato che sospenderà i combattimenti lungo una strada che collega il varco fra Israele e la Striscia di Gaza e la parte nord della città di Rafah, ogni giorno dalle 8 alle 19 ora locale, per consentire ai camion che trasportano aiuti umanitari di raggiungere la città più agevolmente. Il periodo quotidiano di sospensione dell’offensiva, chiamato “pausa tattica”, è stato concordato con l’ONU e le agenzie umanitarie internazionali, che da tempo segnalano che a Rafah le condizioni umanitarie sono ormai gravissime per via dell’attacco israeliano.
Poco dopo essere stato diffuso l’annuncio aveva creato diverse polemiche. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva detto di non saperne niente. L’esercito israeliano ha poi precisato che i combattimenti saranno sospesi soltanto lungo la strada Salah ad-Din, che collega il varco di Kerem Shalom alla parte nord di Rafah.
Lo scopo della pausa, almeno sulla carta, è quello di consentire ai camion che trasportano aiuti, soprattutto cibo, di superare il confine a Kerem Shalom e di spostarsi senza rischi sulla strada Salah ad-Din, rimasta la principale via di collegamento tra la parte nord e sud della Striscia. Dall’inizio di maggio, quando è iniziata l’offensiva dell’esercito israeliano a Rafah, molti camion sono rimasti bloccati alla frontiera.
Secondo i dati diffusi dall’OCHA, l’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, dal 6 maggio al 6 giugno sono stati inviati 68 camion di aiuti umanitari al giorno, molti meno dei 168 al giorno inviati ad aprile e soprattutto dei 500 che sarebbero necessari per garantire la quantità di aiuti necessaria alle persone in difficoltà, secondo le stime di diverse organizzazioni umanitarie. L’arrivo di aiuti nella Striscia di Gaza è diminuito con l’intensificarsi dell’offensiva militare israeliana nella zona meridionale, in particolare a Rafah.
Cogat, l’ente militare israeliano che sovrintende alla distribuzione degli aiuti a Gaza, ha detto che Israele non impone restrizioni all’ingresso degli aiuti, anzi ha accusato l’ONU di non avere un numero sufficiente di camion. L’ONU ha respinto le accuse.
Fino all’inizio di maggio Rafah era considerata l’unica zona parzialmente sicura dopo mesi di bombardamenti e offensive di terra nel resto della Striscia. L’inizio dell’offensiva ha invece costretto centinaia di migliaia di persone a trasferirsi di nuovo, stavolta verso nord, verso le zone abbandonate mesi fa.
Il nuovo spostamento, per lo più verso le zone costiere di Khan Yunis e Deir al Balah, ha ulteriormente peggiorato le condizioni di vita della popolazione, in un’ennesima crisi umanitaria, se possibile ancora più grave delle precedenti. Come a Rafah gli accampamenti di tende sono sovraffollati e senza le necessarie condizioni igieniche, mentre cibo, acqua e carburante per i generatori scarseggiano. La carenza di cibo dura ormai da mesi, l’ONU stima che oltre 1,1 milioni di palestinesi soffrano di malnutrizione.
La situazione è molto grave anche negli ospedali, che non riescono ad assistere tutte le persone ferite o malate e spesso sono costretti a rifiutare nuovi pazienti. Gli ospedali rimasti aperti e operativi sono 17 su 36: fra questi 3 nella zona nord della Striscia, 7 a Gaza, 3 a Deir al Balah, 4 a Khan Yunis. Nessuno a Rafah. Mancano sangue per le trasfusioni, medicinali e spazi nelle strutture: operazioni complesse come amputazioni vengono effettuate in tende improvvisate nei cortili, sale parto vengono allestite in scuole e asili, i pazienti di malattie croniche (cancro e diabete, per esempio) non hanno accesso da mesi alle cure.
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