A Kharkiv sanno cos’è la guerra
L'offensiva di terra russa si è fermata a 30 chilometri dalla periferia della città, ma continuano i bombardamenti: si va a scuola nei rifugi, e alcuni giovani cercano di sfuggire al reclutamento
di Davide Maria De Luca
Kharkiv, la seconda città dell’Ucraina per numero di abitanti, che si trova nella parte nordorientale del paese, a poche decine di chilometri dal confine russo, è da qualche mese tornata al centro dei racconti sulla guerra. Prima per una nuova campagna di bombardamenti lanciati dalla Russia, che ha colpito obiettivi civili e causato decine di morti. E poi per una nuova offensiva di terra, lanciata a sorpresa lo scorso 9 maggio dalle truppe russe.
A un mese dall’inizio di questi nuovi combattimenti, l’attacco russo è stato fermato a poco meno di una trentina di chilometri dalla periferia nord della città. Le forze armate ucraine sono riuscite persino a riconquistare alcuni piccoli villaggi. Ma a Kharkiv la guerra è sempre presente come in nessun’altra grande città dell’Ucraina.
«A Kiev non c’è la guerra. La gente non sa cosa sia», dice Evgenia, 40 anni, di fronte alla scuola numero 173, dove è venuta a prendere il figlio Tiko, 7 anni, dopo il saggio per la fine dell’anno scolastico. Evgenia, come gli altri genitori, non ha potuto assistere alla cerimonia. Per ragioni di sicurezza, l’accesso era limitato agli studenti e agli insegnanti. Con gli attacchi aerei quasi quotidiani che arrivano spesso prima che gli allarmi abbiano il tempo di suonare, le lezioni di scuola a Kharkiv si svolgono da remoto ormai da più di due anni. Le eccezioni sono poche. Circa duemila studenti, il 3 per cento del totale, hanno accesso alla Metroshkola, le famose aule attrezzate nelle stazioni della metropolitana cittadina.
Anche la scuola numero 173 è una di queste eccezioni. Grazie a un rifugio antiaereo fatto costruire lo scorso inverno dalla preside, gli studenti alternano le lezioni via internet a quelle in presenza, a turni di 250 per due giorni. «Ovviamente non siamo felici che i nostri figli debbano studiare in un rifugio. Ma dopo due anni senza scuola in presenza è meglio di niente», dice Evgenia. Grazie al rifugio, la scuola numero 173 ha anche potuto celebrare la festa di fine anno. Ma con un numero massimo di partecipanti non superiore ai posti in rifugio. E così i genitori hanno dovuto aspettare fuori.
Le autorità cittadine, comprese quelle scolastiche, sono obbligate a prendere i rischi di attacchi aerei molto più seriamente della maggior parte degli abitanti e a imporre regole severe, dove possono. Ogni volta che gli allarmi risuonano in città, gli impiegati pubblici devono interrompere il lavoro e scendere nei rifugi, mentre i luoghi di aggregazione, come cinema e centri commerciali, chiudono fino al cessato pericolo.
Un nuovo sistema di allarme introdotto pochi mesi fa trasmette gli allarmi aerei via Wi-Fi direttamente agli smartphone di chiunque si trovi in città, senza bisogno di alcun consenso preventivo. Ma anche questo sistema di allarme si può disattivare e così ha fatto la maggior parte degli abitanti. Con una media di oltre mezza dozzina di allarmi al giorno, la vita sarebbe quasi impossibile altrimenti. Al suono degli allarmi diffuso dalle sirene disposte in punti strategici della città o proveniente dai telefoni dei più prudenti tra i kharkiviani, la maggior parte delle persone continua con le proprie attività, i ristoranti continuano a servire pasti e i taxi a portare in giro clienti.
Non è solo spavalderia o incoscienza. Gli allarmi suonano quando i sistemi di allerta ucraini avvistano un qualsiasi potenziale pericolo: un caccia russo che si alza in volo oltre il confine, il lancio di un missile che potrebbe colpire la città. Questo significa che, la maggior parte delle volte, all’allarme non seguono conseguenze.
Anche quando gli attacchi arrivano, la città è così estesa che se il rumore dell’esplosione è abbastanza lontano – e se ne possono sentire anche mezza dozzina in un giorno – le persone non reagiscono diversamente rispetto a come fanno davanti agli allarmi.
Non tutti gli attacchi, però, sono innocui. Pochi giorni fa un missile russo ha colpito un condominio nella periferia sud-occidentale della città, un’area dove vivono molti rifugiati scappati da altre aree della regione o dalla periferia settentrionale della città, devastata dai combattimenti delle prime settimane di guerra.
Sei persone sono morte nel crollo di quattro appartamenti. La mattina dell’attacco centinaia di soccorritori, poliziotti e operatori umanitari si trovavano sul posto, per cercare eventuali superstiti, rimuovere le macerie, riparare i danni e distribuire acqua e cibo. In tutto, 34 edifici sono stati danneggiati dall’esplosione.
L’efficienza della macchina dei soccorsi cittadini testimonia la frequenza di questi attacchi. Dieci giorni prima del bombardamento contro il condominio, una bomba aveva colpito l’ipermercato del fai da te Epicentr, uccidendo 19 persone. Pochi giorni prima era stata colpita Faktor Druk, la più grande tipografia dell’Ucraina: il missile aveva ucciso sette operai e distrutto oltre 50mila libri.
Faktor Druk è un simbolo per la città di Kharkiv e per l’intero settore culturale ucraino. Prima della guerra in questa tipografia si producevano il 30 per cento di tutti i libri stampati nel paese e il 40 per cento dei testi scolastici, oltre a 200 quotidiani tra locali e nazionali. Oggi la produzione è stata interrotta e i dirigenti dell’azienda stanno ancora cercando di fare il conto dei danni subiti dai macchinari e dall’impianto.
Kharkiv è la capitale dell’industria dell’editoria ucraina, con una produzione pari all’80 per cento di tutto il materiale stampato nel paese, oltre a essere la principale città universitaria e un centro del radicalismo politico e culturale, ben rappresentato dal suo cittadino di adozione più famoso: lo scrittore, cantante punk e poeta Serhiy Zhadan, che di recente si è arruolato volontario nell’esercito.
La parte studentesca, creativa e artistica della città è una di quelle che hanno sofferto di più il conflitto. Con le università che hanno trasferito gran parte dei corsi online, buona parte degli studenti ha lasciato la città, gli eventi culturali sono diminuiti e molti artisti sono finiti al fronte o all’estero.
Non ci sono statistiche ufficiali, ma in città tutti dicono che gli abitanti sono diminuiti negli ultimi due anni, in particolare negli ultimi mesi, quando i bombardamenti si sono intensificati e dopo che i russi hanno lanciato la loro nuova offensiva di terra. Tra i sintomi più visibili della riduzione della popolazione c’è il grande parcheggio in piazza della Libertà, l’enorme spiazzo nel centro della città, un tempo cuore della vita cittadina, oggi vuoto anche nelle ore di punta.
Per il resto, la vita in città prosegue in modo quasi normale. I manifesti del comune e le insegne di negozi ed esercizi commerciali proclamano «My pratsyuemo», che significa «noi continuiamo a lavorare», un modo per rivendicare con orgoglio che né gli amministratori né la gran parte degli esercenti hanno abbandonato la città. Quasi non sembra ci sia il bisogno di ribadirlo. Al centro commerciale Nikolsky, nel centro storico, si possono comprare sali da bagno della popolare catena Lush e abiti invernali di Wolfskin. Zara e McDonald’s restano chiusi fin dai primi giorni di guerra, ma non mancano le alternative. Poco lontano si può mangiare un’autentica pizza napoletana o andare a cena da Kentucky Fried Chicken.
I prezzi sono aumentati, quelli di benzina ed energia in particolare, e questo ha causato grossi problemi alla popolazione che sono andati ad aggiungersi ai danni causati dalla guerra e a quelli dovuti all’interruzione delle relazioni con la Russia. Tra le grandi città dell’Ucraina, Kharkiv era quella che manteneva i legami economici più forti con il grande vicino. La crisi economica è uno dei fattori che hanno contribuito all’emigrazione dalla città. Ma in città resiste ancora l’industria pesante e quella militare in particolare: Kharkiv è uno dei centri nella produzione di veicoli blindati e nella ricerca missilistica.
Nel frattempo gli scaffali dei supermercati restano pieni, e se in città manca qualcosa si tratta di prodotti specialistici importati dall’estero. Attrezzature per lo sport o apparecchiature fotografiche, ad esempio, un problema in una città con una concentrazione così alta di artisti come Kharkiv.
La guerra ha imposto limiti anche alle attività ricreative. Se le manifestazioni artistiche sono state ridotte di numero (ma non sono scomparse) l’enorme stadio del Metalist Kharkiv, la celebre squadra di calcio locale, è deserto da due anni. Gli ucraini sono un popolo che ama la vita all’aria aperta in primavera ed estate e in passato boschi e laghi che circondano la città erano meta di picnic e scampagnate domenicali, oggi impossibili a causa dei combattimenti o delle mine e degli ordigni inesplosi.
I kharkiviani provano a rimediare organizzando festicciole urbane, spesso sfruttando i garage che molte famiglie possiedono nelle aree industriali, grandi spiazzi pieni di basse costruzioni poco più grandi di un’automobile dove, adattandosi un po’, è possibile organizzare una grigliata.
È così che, pochi giorni fa, Iakiv, un fotografo di 37 anni, ha deciso di festeggiare con i suoi amici i suoi ultimi giorni prima di essere inviato al fronte. Come migliaia di altri ucraini, Iakiv ha ricevuto la chiamata alla mobilitazione e ora si prepara a raggiungere il suo battaglione, con sede nella città di Sloviansk, in Donbass, dove svolgerà il ruolo di fotografo del reparto.
Alla festa partecipa una ventina di persone: colleghi fotografi e altri creativi. Stereo e casse sono collegate a una batteria e sulla griglia cuociono i shashlik, gli spiedini di origine georgiana diventati un ingrediente fondamentale per i picnic di tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica. Alla festa il clima è disteso. Iakiv è riuscito a contrattare la sua entrata in servizio, scegliendo ruolo e unità in cui servire. La sua laurea in Economia gli permetterà, tra sei mesi, di ricevere quasi certamente una promozione a ufficiale.
La mobilitazione e la possibilità di essere arruolati è il timore di tutti i giovani ucraini. Con le nuove leggi entrate in vigore a maggio, tutti gli ucraini tra i 25 e i 60 anni possono essere arruolati nell’esercito e inviati a combattere al fronte. E se fino a poco tempo fa il governo era sembrato prediligere il reclutamento dei più anziani, per non sacrificare al fronte la fascia d’età più ristretta dell’intera popolazione, quella dei 20-30enni, oggi sembra che le cose siano cambiate.
Tra gli amici di Iakiv e i giovani kharkiviani è diffuso un atteggiamento complesso nei confronti della mobilitazione. Come gran parte delle nuove generazioni provenienti dalle grandi città, sono convinti della necessità di proseguire i combattimenti e di ottenere condizioni migliori prima di iniziare a trattare con la Russia. Allo stesso tempo non sono entusiasti all’idea di arruolarsi e criticano incoerenze e ingiustizie nella chiamata alle armi. Attaccano i metodi di reclutamento brutali e a volte illegali, con i soldati addetti all’arruolamento che spesso prelevano a forza le persone dalle strade.
Le storie di corruzione tra i ranghi dell’esercito, di soldati spediti al fronte con poco addestramento, e di episodi in cui i comandanti hanno sprecato le vite dei loro sottoposti, li hanno resi ancora più scettici. Quelli di loro che lavorano con la stampa, come fotografi, giornalisti o fixer, criticano il governo per non aver previsto eccezioni alla mobilitazione per il settore giornalistico. Ricordano che hanno rischiato la vita in prima linea più spesso di molti soldati che il fronte non lo hanno mai visto e l’importanza del loro ruolo per tenere alta l’attenzione internazionale sul conflitto del loro paese.
C’è poco che possono fare, però. Le nuove leggi sulla mobilitazione stabiliscono che entro il 18 luglio tutti gli ucraini maschi dovranno aggiornare le loro informazioni personali presso i centri di reclutamento, compresi luoghi e contatti per permettere la consegna delle lettere di mobilitazione. Se non lo faranno, li aspetta la sospensione della patente, multe e, nel peggiore dei casi, un prelevamento forzato da parte di nerboruti militari se dovessero farsi trovare per strada.
Al momento, per evitare che si verifichi questo scenario estremo, i giovani ucraini si scambiano informazioni tramite Telegram sul punto della città in cui i reclutatori stanno distribuendo lettere di richiamo in servizio. A Kharkiv ci sono due canali principali che vengono usati per questo scopo, uno con 65mila e l’altro con 35mila iscritti.
Sono metodi che funzionano, per il momento, ma il 18 luglio e l’obbligo di presentarsi agli uffici di reclutamento si avvicina, e dopo evitare la mobilitazione sarà sempre più difficile. Con i russi a 30 chilometri dalla città e una situazione al fronte sempre più complessa, per gli ucraini sarà complicato anche da giustificare di fronte ai tanti che al fronte, volontari o costretti, alla fine sono andati. Iakiv, che si appresta a partire per l’esercito, dice di comprendere coloro che vogliono evitare la mobilitazione. «Ma arruolarsi non è una scelta. Per gli ucraini oggi è un dovere».