Dentro al Partito Popolare Europeo
Il vincitore di fatto delle elezioni europee, di centrodestra, raggruppa partiti molto diversi tra loro, alcuni dei quali alleati con l'estrema destra nei rispettivi parlamenti nazionali: una breve guida
Nei giorni successivi alle elezioni europee diversi giornali e commentatori si sono concentrati sugli ottimi risultati ottenuti dall’estrema destra in vari paesi dell’Unione Europea. In realtà a vincere le elezioni, di fatto, è stato il Partito Popolare Europeo (PPE), il principale partito europeo di centrodestra, a cui sono iscritte decine di partiti nazionali: il PPE è riuscito a eleggere 189 parlamentari, più di tutti gli altri, 22 in più rispetto a quelli che aveva nel parlamento uscente (i sondaggi avevano previsto invece che avrebbe perso dei seggi).
È la sesta volta consecutiva che il PPE ottiene la maggioranza relativa dei seggi al Parlamento Europeo: fino alle elezioni del 1994 era sempre stato il Partito Socialista Europeo, il principale partito europeo di centrosinistra, a ottenere il numero più alto di seggi. Al contempo però il PPE sta cambiando parecchio, e soprattutto su alcuni temi si è molto spostato verso destra prendendo le distanze anche dalla sua stessa storia.
Il PPE nacque inizialmente nel Secondo dopoguerra come un aggregatore di partiti conservatori di ispirazione cristiana e cattolica, che seguivano una dottrina economica a metà strada fra il liberalismo e il socialismo, spesso molto forti nelle zone rurali. A vari partiti medio-grandi di Belgio e Lussemburgo si unirono presto i principali partiti conservatori dei paesi più importanti: alle prime elezioni europee del 1979 le due delegazioni nazionali più grandi furono quella dell’Unione Cristiano-Democratica tedesca (CDU), esattamente come nel 2024, e quella della Democrazia Cristiana italiana. Col tempo poi furono assorbiti vari altri partiti più o meno conservatori e più o meno liberali, che oggi definiremmo saldamente di centrodestra.
Il primo presidente del partito a non provenire dai Paesi Bassi, dal Belgio o dal Lussemburgo fu il francese Joseph Daul, influentissimo parlamentare europeo fra il 1999 e il 2014. Daul era un piccolo allevatore di bovini e coltivatore della barbabietola da zucchero, e fu molto attivo nelle associazioni di categoria degli agricoltori. Si fece notare alla fine degli anni Novanta durante lo scandalo della cosiddetta “mucca pazza”: venne reclutato dai Repubblicani francesi, lo storico partito “gollista”, quindi nazionalista e liberale. Dopo il mandato di Daul, fra il 2019 e il 2022 fu presidente del PPE l’attuale primo ministro polacco Donald Tusk, che su molti temi ha posizioni quasi centriste e nel suo paese è noto soprattutto per il suo europeismo.
Dal 2022 il presidente del partito è il tedesco Manfred Weber, europarlamentare da vent’anni ed espressione della CSU, il partito bavarese storico alleato della CDU, rispetto a cui si pone tradizionalmente più a destra.
Anche da questo sommario elenco si capisce che oggi nel PPE c’è un po’ di tutto: dagli irlandesi di Fine Gael, liberali e tutto sommato centristi, che esprimono l’attuale primo ministro Simon Harris, al Partito Democratico Sloveno, di destra radicale e guidato dall’ex primo ministro populista Janez Janša, passando per Forza Italia, i Popolari spagnoli e Piattaforma Civica, il partito di Tusk che in Polonia guida una coalizione che comprende anche il centrosinistra. Fino al 2021 del PPE faceva parte anche Fidesz, il partito del primo ministro ungherese Viktor Orbán, che governa l’Ungheria in maniera semi-autoritaria dal 2010: dopo anni di tensioni e litigi Fidesz ha deciso infine di lasciare il PPE poco prima di esserne formalmente espulso.
Nel prossimo parlamento la delegazione più numerosa sarà di nuovo quella della CDU, con 29 parlamentari, seguita da quella del Partito Popolare spagnolo con 22 e Piattaforma Civica con 21. A grande distanza poi ci sono Forza Italia con 8 parlamentari eletti, seguita da una ventina di altri partiti più o meno grandi, tutti con una delegazione inferiore ai 7 parlamentari.
In un gruppo così frammentato le priorità politiche sono stabilite dai partiti più grandi, che solitamente esprimono il capogruppo e la linea sulle principali misure di cui si occupa il Parlamento Europeo. Nell’ultima legislatura e anche nella prossima il partito che più si occuperà di stabilire la linea sarà la CDU, in particolare la sua ala destra, cioè quella che attualmente esprime il segretario nazionale Friedrich Merz e soprattutto il presidente del PPE, Manfred Weber. È anche per questo che negli ultimi tempi il PPE si è spostato verso destra.
Al Parlamento Europeo nell’ultimo mandato il PPE si è coordinato spesso con ECR, uno dei due gruppi politici dell’estrema destra, per trovare una posizione comune su alcuni temi, fra cui la gestione della migrazione e i principali punti del Green Deal, l’ambizioso piano dell’Unione Europea per contrastare il cambiamento climatico. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che fa parte della CDU e si è ricandidata per un secondo mandato insieme al PPE tramite il meccanismo informale dello spitzenkandidat, in campagna elettorale ha lasciato intuire più volte che stava considerando di allargare la maggioranza che la sostiene proprio a ECR. Una posizione condivisa esplicitamente da Weber.
Anche a livello nazionale ormai diversi partiti del PPE collaborano con l’estrema destra. In Svezia il governo di centrodestra del Partito Moderato, altro membro del PPE, è sostenuto dall’estrema destra dei Democratici Svedesi, il secondo partito con più seggi in parlamento. In Finlandia il Partito di Coalizione Nazionale, di centrodestra e membro del PPE, governa insieme ai Veri Finlandesi, il principale partito di estrema destra.
E in Italia, ovviamente, Forza Italia negli ultimi trent’anni ha governato più volte con i partiti alla sua destra, che peraltro ha contribuito a normalizzare e legittimare dal punto di vista politico. Già nel 1994 il primo governo guidato da Silvio Berlusconi era sostenuto sia dalla Lega sia dalla destra post fascista di Alleanza Nazionale, l’antenato di Fratelli d’Italia.
In un certo senso per il PPE lo spostamento verso partiti più conservatori e a vocazione rurale è un ritorno alle origini, oltre che una conseguenza della progressiva polarizzazione dei partiti occidentali di destra e centrodestra, osservata un po’ ovunque negli ultimi anni. Non sembra un caso che l’ultimo partito a entrare ufficialmente nel PPE sia stato il BBB, un partito dei Paesi Bassi di destra populista sostenuto soprattutto dalle associazioni di categoria degli agricoltori. Un anno fa il BBB aveva vinto a sorpresa le elezioni provinciali nei Paesi Bassi, ottenendo il 19,23 per cento. Alle elezioni europee è andato decisamente peggio. Ha raccolto infatti il 5,3 per cento, ma è comunque riuscito a eleggere due parlamentari europei.
È ancora presto per capire esattamente cosa intenderà fare il PPE con la sua vittoria, tenendo conto del fatto che al Parlamento Europeo continuerà a governare con partiti alla sua sinistra come i Liberali e i Socialisti, e che per rafforzare la candidatura di von der Leyen sta negoziando per allearsi coi Verdi.
Il Financial Times fa notare che nel programma del PPE ci sono per esempio un aumento del numero dei dipendenti di Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Unione Europea molto criticata per la sua gestione dei richiedenti asilo che si presentano in territorio europeo, e un ulteriore smantellamento del Green Deal. Weber per esempio ha già parlato della possibilità di sospendere il divieto di vendere auto funzionanti a gasolio o a benzina dal 2035, approvato nel 2023.
«Abbiamo vinto le elezioni col nostro programma, e ora chiedo semplicemente alle altre forze democratiche di accettarlo», ha detto Weber al Financial Times.