La Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto una causa contro l’aborto farmacologico
A causa di un vizio di forma: era stata presentata da associazioni antiabortiste per limitare l’accesso al mifepristone, uno dei due farmaci utilizzati per la procedura
Giovedì la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato la validità delle modalità di accesso al mifepristone, uno dei due farmaci utilizzati per l’aborto farmacologico, una tipologia di interruzione di gravidanza poco invasiva che le persone negli Stati Uniti possono compiere senza l’aiuto di un medico fino alla decima settimana di gravidanza. La decisione della Corte era molto attesa ed era la prima sull’argomento dopo quella del 2022 sul ribaltamento della storica sentenza Roe v. Wade, che garantiva l’accesso all’aborto a livello federale. La sentenza comunque non esclude che l’accesso a questo farmaco possa essere limitato in futuro.
In una decisione unanime, i nove giudici hanno respinto la richiesta di un gruppo di associazioni antiabortiste di vietare la possibilità di acquistare online e ricevere per posta il mifepristone dopo un consulto in telemedicina, e di ripristinare l’obbligo di consegna del farmaco di persona. Oltre a questo, le associazioni avevano anche sostenuto che il mifepristone fosse un farmaco poco sicuro e che la Food and Drug Administration (FDA), l’ente che negli Stati Uniti si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, non avrebbe dovuto approvarlo: una teoria da tempo smentita dalla comunità scientifica, ma che rimane molto popolare fra i gruppi antiabortisti.
Dal modo in cui la decisione è stata formulata si intuisce però come la maggioranza conservatrice della Corte, composta da sei giudici su nove, non abbia completamente escluso questa possibilità: la Corte infatti non si è espressa sull’accesso o sull’uso del farmaco in sé, ma ha sostenuto che le associazioni antiabortiste che avevano presentato la causa non avessero il diritto di farlo, dato che la questione non riguardava direttamente i loro membri. Citando sentenze precedenti, ha detto che per presentare un caso il querelante non può essere un semplice «spettatore», ma deve invece avere un «interesse personale» nella questione discussa. Non ha però escluso che la stessa causa possa essere presentata da altri querelanti, o che le associazioni possano trovare altri modi per limitare l’accesso al farmaco.
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Da quando nel 2022 la Corte Suprema ha ribaltato Roe v. Wade sempre più persone hanno abortito grazie alla telemedicina. Rendere più difficile accedere al mifepristone o vietarlo completamente avrebbe quindi limitato fortemente l’accesso all’aborto negli Stati Uniti, anche negli stati in cui il diritto è ancora garantito. Inoltre una sentenza a favore delle richieste delle associazioni antiabortiste avrebbe messo in discussione l’autorità dell’FDA e la sua indipendenza dalla politica.
I vantaggi dell’aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico (ossia quello in sala operatoria) sono diversi: evita l’intervento chirurgico, l’anestesia e l’ospedalizzazione, ma soprattutto è una pratica sicura, come dimostra la più autorevole letteratura scientifica internazionale e come ha affermato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha inserito mifepristone e misoprostolo nell’elenco dei medicinali essenziali. Nelle linee guida in materia di interruzione volontaria di gravidanza pubblicate nel 2022, l’OMS ha anche scritto che l’aborto farmacologico può essere tranquillamente autogestito dalla persona gestante al di fuori di una struttura sanitaria.
La Food and Drug Administration aveva approvato l’uso del mifepristone nel 2000 giudicandolo un metodo «sicuro ed efficace» per interrompere una gravidanza, ma solo fino alla settima settimana. Nel 2016 aveva esteso l’autorizzazione a dieci settimane, un limite comunque inferiore a quello stabilito dall’OMS. Cinque anni dopo, durante la pandemia, aveva revocato una restrizione che imponeva di ottenere questi farmaci di persona e da operatori sanitari certificati, non ritenendolo necessario dal punto di vista medico e rendendo dunque possibile ricevere la pillola abortiva per posta e tramite telemedicina.
Questa decisione aveva ampliato l’accesso all’aborto farmacologico facendolo diventare la procedura più comune negli Stati Uniti per interrompere una gravidanza, soprattutto a partire dal 2022: nel 2023, secondo quanto comunicato dal Guttmacher Institute, un’organizzazione che si occupa di politiche su aborto e salute riproduttiva negli Stati Uniti, l’aborto farmacologico aveva rappresentato il 63 per cento del totale delle interruzioni di gravidanza del paese e nel 2022 i fornitori di procedure abortive a distanza erano passati dal 7 per cento del 2020 al 31 per cento. Specialmente per coloro che vivono in stati che hanno reso illegale l’aborto, il costo per una consulenza e per la spedizione dei farmaci è molto più basso rispetto a quello di un viaggio in un altro stato.
In questo contesto i gruppi antiabortisti hanno aumentato le pressioni per chiedere che fosse limitato ulteriormente il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, concentrandosi sull’accesso tramite telemedicina. Nell’aprile del 2023 il giudice federale Matthew Kacsmaryk, scelto da Donald Trump quando era presidente, aveva dato ragione all’associazione antiabortista Alliance for Hippocratic Medicine e aveva chiesto alla FDA di sospendere la distribuzione del mifepristone in tutti gli Stati Uniti.
In seguito il dipartimento di Giustizia aveva presentato ricorso a una Corte d’Appello che aveva bloccato, ma solo in parte, la sentenza del giudice del Texas. La Corte d’Appello aveva stabilito che il farmaco avrebbe potuto continuare a essere venduto, ma aveva approvato alcune delle richieste di Kacsmaryk invalidando di fatto le modifiche apportate dalla FDA nel 2016 e nel 2021: l’estensione del farmaco fino alla decima settimana, la prescrizione a distanza e la spedizione del farmaco per posta. Il dipartimento di Giustizia si era quindi rivolto alla Corte Suprema, che aveva sospeso temporaneamente il giudizio delle due corti precedenti mentre esaminava il caso.
L’aborto è anche uno dei temi al centro della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, e uno dei principali motivi di scontro tra Democratici, che sono generalmente favorevoli, e Repubblicani, molto più reticenti.