Tutti appoggiano il piano per il cessate il fuoco, tranne Israele e Hamas
Il piano statunitense, approvato anche dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ha estesi appoggi nella comunità internazionale ma non ne ha abbastanza dove serve davvero
I leader di Hamas e del governo israeliano non hanno ancora espresso la loro posizione sul piano per il cessate il fuoco a Gaza presentato a fine maggio dall’amministrazione statunitense di Joe Biden. La proposta americana è strutturata in tre fasi e tra le altre cose prevede un cessate il fuoco permanente, la liberazione degli ostaggi e dei prigionieri palestinesi in Israele, la riconsegna dei corpi degli israeliani morti nella Striscia, l’ingresso di 600 camion di aiuti umanitari al giorno dentro Gaza e un piano di ricostruzione del territorio devastato dai bombardamenti.
Lunedì il Consiglio di Sicurezza ha approvato una risoluzione che appoggia il piano americano. Il testo dice anche che non potranno essere modificati il territorio o la composizione demografica della Striscia di Gaza, alludendo alle rivendicazioni israeliane sui territori palestinesi, e all’ultimo punto torna ad appoggiare la famosa «soluzione a due Stati», che prevede appunto la creazione di uno stato palestinese accanto a quello israeliano (una soluzione appoggiata da tutti i negoziatori ma ritenuta inconciliabile con le politiche che Israele ha portato avanti negli ultimi anni).
Nonostante ci sia ampio sostegno internazionale verso il piano per il cessate il fuoco, le due parti direttamente coinvolte, il governo di Israele e la leadership di Hamas, non si sono ancora espresse pubblicamente.
I leader di Hamas non hanno diffuso dichiarazioni ufficiali: né Yahya Sinwar, il capo di Hamas nella Striscia di Gaza, né Ismail Haniyeh, il leader politico del gruppo che vive stabilmente in Qatar. Martedì Reuters ha scritto che un portavoce dell’organizzazione, Sami Abu Zuhri, aveva confermato l’intenzione di Hamas di accettare la proposta: è improbabile però che quell’annuncio fosse stato accordato precedentemente con il resto della leadership, che infatti da allora non si è espressa.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken, presente a Doha per i negoziati, ha detto ai giornalisti che Hamas avrebbe proposto «numerosi cambiamenti» all’accordo, alcuni «realizzabili», altri meno. L’affermazione è stata smentita in un’intervista da un importante funzionario di Hamas in Libano, Osama Hamdan. Un funzionario israeliano coinvolto nei negoziati, sentito dal New York Times in forma anonima, ha detto comunque che durante le consultazioni private Hamas aveva mostrato poca convinzione sul piano per il cessate il fuoco.
Lo stesso vale per Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu non ha fatto dichiarazioni pubbliche, se non per ribadire che l’obiettivo del suo governo rimane la distruzione completa di Hamas. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, che in questi giorni sta viaggiando in Medio Oriente per incontrare le parti coinvolte nei negoziati, ha detto ai giornalisti di aver parlato direttamente con Netanyahu, che gli ha «ribadito il suo impegno verso la proposta», e che mancava solo il via libera di Hamas. Tuttavia una fonte anonima vicina ai negoziati non ha potuto confermare al New York Times l’intenzione del governo israeliano di accettare l’accordo.
Le dichiarazioni di Blinken possono essere lette nell’ambito della politica di «affetto e influenza»: da sempre gli Stati Uniti sostengono pubblicamente Israele mentre cercano di indirizzarne le sue scelte in privato. Solo di recente il presidente americano Joe Biden ha iniziato a criticare in modo duro e diretto Netanyahu per le violenze indiscriminate contro i civili palestinesi compiute nella Striscia. Inoltre il fatto che gli Stati Uniti sostengano in pubblico di avere l’appoggio di Israele sul cessate il fuoco è stato interpretato come un modo per fare pressione sulla leadership di Hamas, isolarla sul piano internazionale e spingerla ad accettare.
Un’altra possibilità non trascurabile è che Netanyahu stia effettivamente dicendo cose diverse ai suoi interlocutori: che si dica d’accordo sul piano americano per non perdere il suo alleato più importante, e che allo stesso tempo dica ai partiti ultraortodossi che lo sostengono di non essere disposto a cedere a compromessi, che potrebbero spingere gli stessi partiti a far cadere il suo governo.
Dall’inizio della guerra l’esercito israeliano ha ucciso oltre 37mila civili palestinesi e distrutto la maggior parte degli edifici della Striscia. Al momento sembra che nessuna delle due parti in causa sia troppo interessata a raggiungere un cessate il fuoco.
Al di là degli interessi politici e personali dei leader, le posizioni ufficiali di Hamas e Israele sono inconciliabili rispetto a diverse questioni. La difficoltà principale nel raggiungimento di un accordo sta nel fatto che da un lato Hamas chiede un cessate il fuoco permanente, con un ritiro completo dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza e la garanzia di mantenere una forma di autorità nei territori; dall’altro Israele non vuole mettere nero su bianco la fine permanente delle ostilità, per mantenere aperta la possibilità di attaccare di nuovo la Striscia di Gaza, e perseguire il suo obiettivo di distruggere Hamas.