• Mondo
  • Mercoledì 12 giugno 2024

Abbiamo eletto il Parlamento Europeo, e ora?

Ora si devono decidere le cariche più importanti dell'Unione: tutti gli occhi saranno sulla presidenza della Commissione Europea e sulla formazione dei gruppi parlamentari, ma c'è anche molto altro

Una sessione del Parlamento Europeo di Bruxelles (Emilie Gomez/European Union)
Una sessione del Parlamento Europeo di Bruxelles (Emilie Gomez/European Union)

Fra il 6 e il 9 giugno nei 27 paesi membri dell’Unione Europea si è votato per rinnovare il Parlamento Europeo. Per i candidati e le candidate a un seggio il voto è stata la tappa finale di una campagna elettorale che è durata mesi, mentre per le istituzioni europee è stato un punto di partenza. Ora bisogna infatti rinnovare le principali cariche istituzionali dell’Unione, il cui mandato è legato a quello del Parlamento, e quindi “scadono” ogni cinque anni. Fra gli incarichi più delicati e discussi c’è quello di presidente della Commissione Europea, cioè l’organo esecutivo dell’Unione.

Il risultato alle elezioni inciderà parecchio sulle trattative per spartirsi questi incarichi, che di fatto sono già iniziate.

Il 17 giugno i capi di stato e di governo dei 27 paesi membri terranno un Consiglio Europeo informale in cui inizieranno a discutere dei risultati delle elezioni e quindi dei primi punti fermi da cui avviare i negoziati. Il Consiglio Europeo non va confuso col Consiglio dell’Unione Europea, cioè l’organo che detiene il potere legislativo assieme al Parlamento Europeo e di cui fanno parte i ministri dei 27 governi.

Di solito al Consiglio Europeo spetta definire le priorità politiche, che vengono poi tradotte concretamente in atti legislativi dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione: nel caso dell’elezione del presidente o della presidente della Commissione però i trattati prevedono per il Consiglio un ruolo di primo piano.

L’articolo 17 del Trattato di Maastricht, il trattato fondante dell’Unione, dice infatti che spetta al Consiglio Europeo (e quindi ai capi di stato e di governo) «proporre al Parlamento Europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione». Peraltro in questa occasione il Consiglio Europeo decide a maggioranza qualificata, un complesso meccanismo che tiene conto anche della popolazione dei singoli stati, per cui il parere degli stati più popolosi conta di più, in estrema sintesi.

Il Consiglio deve esprimere un nome «tenuto conto delle elezioni del Parlamento Europeo»: il nuovo o la nuova presidente della Commissione all’inizio del mandato deve ricevere un voto di fiducia dal nuovo Parlamento, quindi i capi di stato e di governo devono anche assicurarsi che il loro candidato o la loro candidata possa fare affidamento su una maggioranza parlamentare.

Sono trattative complicatissime, con parecchi pezzi che devono incastrarsi l’uno con l’altro. Anche per questo viene fissata una riunione informale subito dopo le elezioni: per iniziare a confrontarsi prima delle riunioni ufficiali. A questo giro il nome di cui si discuterà di più è quello di Ursula von der Leyen, la presidente uscente, che prima delle elezioni il PPE aveva scelto come sua candidata per la presidenza attraverso il meccanismo (non vincolante) dello spitzenkandidat.

Una chiacchierata durante una riunione del Consiglio Europeo, a Bruxelles. Da sinistra a destra: il primo ministro ceco Petr Fiala, quello irlandese Leo Varadkar, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis (ufficio stampa del Consiglio Europeo)

Nel frattempo più o meno da metà giugno iniziano a formarsi ufficialmente i gruppi politici al Parlamento Europeo. Sono quelli legati ai partiti europei, cioè a federazioni che riuniscono partiti nazionali che la pensano in maniera simile.

Il primo a costituirsi ufficialmente sarà quello del Partito Popolare Europeo (PPE), il principale partito europeo di centrodestra: sarà formato il 18 giugno e con ogni probabilità confermerà l’intenzione di sostenere un secondo mandato di von der Leyen. La settimana successiva toccherà ai Socialisti e Democratici (S&D), il gruppo parlamentare del Partito Socialista Europeo. A inizio luglio invece, rispettivamente il 3 e il 10, si formeranno i due gruppi parlamentari di estrema destra, Identità e Democrazia (ID) e Conservatori e Riformisti (ECR).

Questa fase sarà fondamentale per capire gli orientamenti interni dei gruppi ed eventualmente far trapelare il sostegno a qualche nome preciso, oppure dei nomi alternativi.

Fra il 27 e il 28 giugno poi si terrà la riunione ufficiale del Consiglio Europeo, da cui potrebbe già emergere il nome di un candidato o candidata alla presidenza della Commissione. Nel 2019 il nome di Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione, venne fuori proprio durante il primo Consiglio Europeo ufficiale dopo le elezioni europee, che si tenne dal 30 giugno al 2 luglio.

L’incarico di presidente della Commissione è probabilmente il più delicato e prestigioso, ma non è l’unico in ballo nelle trattative. Di solito i capi di stato e di governo ragionano su un insieme di cariche che comprende anche quella di presidente del Consiglio Europeo, di presidente del Parlamento Europeo, e dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri, cioè in estrema sintesi il ministro degli Esteri dell’Unione (che al contempo è anche vicepresidente della Commissione Europea).

L’obiettivo è quello di avere un elenco di nomi entro la fine del primo Consiglio. Le trattative però sono spesso assai complesse perché devono tenere conto dell’affiliazione politica dei candidati, del loro genere e del paese di provenienza. Nel 2019 si trovò un accordo che oltre a von der Leyen (donna, tedesca, del PPE) comprendeva anche Charles Michel (uomo, belga, dei Liberali) alla presidenza del Consiglio, un candidato Socialista “X” alla presidenza del Parlamento Europeo (fu poi eletto l’italiano David Sassoli) e il socialista spagnolo Josep Borrell come Alto rappresentante degli Affari esteri.

A questo giro tutto rischia di essere complicato dal fatto che la maggioranza che controlla i lavori del Parlamento è rimasta la stessa di sempre – ci sono sia i Popolari sia i Socialisti sia i Liberali – ma può contare su circa 400 seggi, cioè una quarantina in meno rispetto al 2019. Per eleggere il nuovo capo della Commissione servono almeno 361 voti, ma ad ogni votazione di questo tipo c’è sempre qualcuno che vota contro per ragioni personali o logiche nazionali (il voto per il presidente della Commissione peraltro è segreto). Nel 2019 in teoria von der Leyen poteva contare su almeno 440 seggi, e finì per essere eletta con uno scarto di soli 9 voti sulla maggioranza assoluta.

Una prova generale della tenuta degli accordi e della maggioranza si terrà nella prima sessione plenaria del nuovo Parlamento Europeo, fra il 16 e il 19 luglio a Strasburgo, in Francia. Secondo i trattati i lavori del Parlamento non possono iniziare se prima non viene eletto un presidente: in quella data si proverà a eleggerne uno, e si capirà se e quanto reggeranno gli accordi presi fra capi di stato e di governo e gruppi politici al Parlamento.

David Sassoli mentre presiede i lavori di una sessione plenaria del Parlamento (AP Photo/Jean-Francois Badias, Pool)

Il momento più delicato di tutta questa impalcatura è previsto invece per la fine dell’estate: dal 16 al 19 settembre durante la seconda sessione plenaria del Parlamento Europeo si metterà ai voti il nome proposto dal Consiglio Europeo per la presidenza della Commissione Europea. Si vota una volta sola: nel caso il candidato o la candidata non ottenga la fiducia il Consiglio ha un mese di tempo per proporre un altro nome.

Se tutto fila liscio fra ottobre e novembre il Parlamento Europeo organizzerà delle audizioni per valutare i candidati commissari suggeriti dai governi nazionali: la Commissione Europea infatti ha 27 commissari, uno per ogni stato membro. Formalmente il Parlamento Europeo non ha il potere di respingere i nomi indicati dai governi, ma può votare contro la nomina, in un voto non vincolante che ha comunque parecchio peso politico.

Uno dei casi più famosi di candidati respinti riguarda un italiano, cioè l’ex ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione. Nel 2004 Buttiglione venne indicato dal governo di centrodestra di Silvio Berlusconi come commissario alla Giustizia: nelle audizioni al Parlamento Europeo però Buttiglione venne duramente criticato per le sue posizioni molto conservatrici sull’omosessualità e sull’interruzione di gravidanza. Per evitare imbarazzi il governo Berlusconi ritirò la nomina di Buttiglione e propose invece il ministro degli Esteri in carica, Franco Frattini.

Il Parlamento Europeo non può esprimersi sul singolo candidato, ma una volta individuati tutti i commissari deve approvare in blocco la loro nomina. Di solito avviene in una sessione plenaria a novembre. Per il 2024 il calendario del Parlamento Europeo ne prevede addirittura due: una fra il 13 e il 14 novembre e un’altra, più lunga e quindi più idonea per un voto così delicato, dal 25 al 28 novembre.

L’ultimo a entrare in carica sarà invece il presidente del Consiglio Europeo, il cui mandato tradizionalmente inizia il primo dicembre di ogni anno elettorale.