Il parlamento svizzero ha respinto la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul clima
Ad aprile una sentenza storica aveva condannato la Svizzera per non aver contrastato abbastanza il cambiamento climatico: ora si teme che altri stati seguano il suo esempio
Mercoledì il parlamento svizzero ha votato per respingere una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che ad aprile aveva stabilito che la Svizzera aveva violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché non stava facendo abbastanza per contrastare il cambiamento climatico: il ricorso era stato presentato da un gruppo di anziane signore svizzere riunite in un’associazione, Anziane per il clima, che sostenevano che il governo avesse violato i loro diritti venendo meno agli impegni sul tema. Si era trattato di una sentenza storica, dato che era la prima volta che uno stato veniva condannato in una causa sul clima.
La CEDU – tribunale internazionale che non rientra fra le istituzioni dell’Unione Europea – non aveva specificato cosa la Svizzera avrebbe dovuto fare per migliorare la situazione: si era limitata a dire che doveva fare di più. Entrambe le camere che formano il parlamento hanno invece sostenuto di non dover intervenire poiché il paese disporrebbe già di un’efficace strategia di contrasto al cambiamento climatico. Hanno anche detto che la Corte avrebbe espresso un giudizio al di fuori della sua giurisdizione. La decisione finale in merito spetta al governo, che dovrebbe annunciarla ad agosto.
Se la Svizzera rifiutasse ufficialmente di attenersi alla richiesta della CEDU questo potrebbe avere delle implicazioni più ampie della causa sul clima. Le sentenze della CEDU sono in teoria vincolanti per tutti gli stati membri che hanno ratificato la Convenzione, fra cui anche la Svizzera, ma non esiste un organo preposto ad assicurare la loro attuazione: nel 2023 per esempio la Commissione europea aveva rilevato come circa il 40 per cento delle principali sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo relative agli Stati membri dell’UE degli ultimi dieci anni non fossero state implementate, un problema comune a molti tribunali internazionali.
Queste sentenze sono comunque molto importanti da un punto di vista politico e simbolico e di solito la maggior parte degli stati condannati, seppur con tempi molto lunghi, tende ad adattarsi alle decisioni, o almeno dice di star lavorando in quella direzione. L’Italia ci mise per esempio due anni a inserire nel proprio codice penale il reato di tortura dopo essere stata condannata nel 2015 dalla Corte per i fatti del G8 di Genova del 2001. È invece raro che uno stato si opponga ufficialmente a una decisione e la reputi inammissibile, cosa che sta facendo in questo momento la Svizzera.
Il suo esempio potrebbe essere seguito da altri stati. Un esempio potrebbe essere il Regno Unito, dove una sentenza della CEDU è al centro del dibattito sul trasferimento delle persone migranti in Ruanda: a giugno del 2022 la Corte aveva bloccato con un’ingiunzione provvisoria quello che doveva essere il primo volo di trasferimento dei richiedenti asilo in Ruanda un’ora e mezza prima della partenza.
Al tempo il governo britannico aveva detto che avrebbe ignorato la sentenza, nonostante il parere contrario della Corte Suprema britannica, e ad aprile del 2024 ha approvato definitivamente la legge. In pratica però nessun volo è stato ancora programmato e fra meno di un mese si terranno nel paese le elezioni legislative che con tutta probabilità porteranno alla formazione di un governo guidato dal Partito Laburista, che è contrario al cosiddetto Rwanda Bill.
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