Le ultime comunicazioni del sommergibile Titan erano un falso
Erano molto circolate online, lasciando intendere che le persone a bordo fossero coscienti dell'imminente disastro: una commissione d'inchiesta ha appurato che furono create in seguito, da autori ancora ignoti
Quasi un anno fa, il 18 giugno 2023, il sommergibile Titan prodotto e gestito dell’azienda statunitense OceanGate Expeditions implose nell’oceano Atlantico settentrionale, provocando la morte di tutte e cinque le persone a bordo. La certezza dell’implosione arrivò dopo cinque giorni in cui il sommergibile fu dato per disperso: si creò un enorme caso mediatico intorno alle ricerche e ai dubbi sulla sorte delle persone a bordo, esperti e turisti che avevano pagato moltissimi soldi per vedere ciò che resta del Titanic, il noto transatlantico affondato nell’aprile del 1912.
Alla fine di giugno iniziò a circolare una presunta trascrizione delle ultime comunicazioni fra il sommergibile e la nave di appoggio: suggeriva che per oltre una ventina di minuti equipaggio e passeggeri del Titan avessero provato a riemergere, consci dei rischi che stavano correndo perché avvertiti da alcuni allarmi e da rumori di rottura dello scafo. Quelle trascrizioni del cosiddetto “diario di bordo” circolarono moltissimo. Lunedì l’agenzia federale statunitense che sta indagando sull’incidente ha concluso che quelle comunicazioni erano un falso, realizzate a posteriori da autori ancora ignoti.
A bordo del Titan morirono Stockton Rush, 61enne fondatore e amministratore delegato di OceanGate, Paul-Henri Nargeolet, 77 anni, scienziato francese tra i maggiori esperti del naufragio del Titanic, Hamish Harding, 58 anni, manager britannico a capo della società di servizi aerei Action Aviation, Shahzada Dawood, imprenditore britannico-pakistano di 48 anni e suo figlio Suleman, 19 anni. Subito dopo l’individuazione dei resti del sommergibile furono aperte varie inchieste, per individuare eventuali responsabilità nell’incidente. Una di queste è condotta dalla commissione d’inchiesta della Marina statunitense in collaborazione con il Consiglio nazionale per la sicurezza dei trasporti e ha avuto accesso alle reali comunicazioni fra il sommergibile e la nave di appoggio.
Le prime conclusioni a cui è arrivata, anticipate alla stampa nonostante i lavori siano ancora in corso, sono che l’equipaggio del Titan non abbia mai avuto consapevolezza dell’imminente implosione e del pericolo in corso. Non ci sono invece ancora certezze sulle cause dell’incidente: le indagini sono complicate dalla particolarità delle tecnologie utilizzate sul sommergibile, dalla difficoltà di estrarre dati dai sistemi elettronici e dal luogo del disastro, al largo del Canada ma in acque internazionali, cosa che crea problemi di giurisdizione.
L’autenticità del diario di bordo con le ultime comunicazioni del Titan era stata messa in dubbio sin dai primi momenti, soprattutto perché non era mai stato chiaro quale fosse la fonte iniziale delle trascrizioni, subito molto condivise online. Riportava però gli acronimi normalmente utilizzati dal Titan, il nome corretto della nave di appoggio (non di dominio pubblico) e una ricostruzione credibile della discesa: era insomma piuttosto accurato e aveva ingannato anche alcuni esperti, che si erano espressi indicandolo come probabilmente reale.
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Il racconto delle ultime fasi del Titan si basava sui segnali provenienti dal RTM, acronimo di Real Time Hull Health Monitoring (sistema di monitoraggio della salute dello scafo in tempo reale). La OceanGate aveva presentato questo strumento «come una funzione di sicurezza senza precedenti che valuta l’integrità dello scafo durante ogni immersione». Una rete di sensori avrebbe dovuto avvertire il pilota nel caso lo scafo stesse per cedere, dandogli il tempo di risalire per evitare la pressione, ma la sua efficacia era già stata messa in dubbio.
Le trascrizioni, riportate anche in un video su YouTube da quasi 7 milioni di visualizzazioni, mostravano la segnalazione di un numero crescente di allarmi dell’RTM. Durante le comunicazioni il pilota segnalava anche alla nave madre di sentire «rumori di rottura» dello scafo. Si lasciava intendere che l’equipaggio fosse nel panico, mentre provava a risalire ma aveva problemi con la propulsione. Il falso diario di bordo si chiudeva con sette messaggi dalla nave di appoggio a cui il sommergibile non rispondeva e il silenzio era interpretato come l’avvenuta implosione.
La Commissione di indagine ha detto di non avere individuato gli autori del falso, né di conoscere i motivi che possono averli portati a crearlo, ma di voler rassicurare le famiglie delle persone morte nell’incidente sugli ultimi momenti di vita dei loro parenti.
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