Il figlio di Joe Biden è stato giudicato colpevole per il possesso illegale di un’arma
Hunter Biden era accusato di averla acquistata e posseduta per 11 giorni mentre era dipendente da droghe illegali: è il primo processo penale per il figlio di un presidente in carica
Martedì in un tribunale del Delaware, negli Stati Uniti, i giurati hanno giudicato colpevole Hunter Biden, 54enne figlio del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, per aver violato le leggi che vietano alle persone che hanno una dipendenza da droghe illegali di possedere armi da fuoco. È il primo processo che coinvolge il figlio di un presidente in carica ed è quindi anche la prima volta che il figlio di un presidente viene giudicato colpevole in un processo.
La pena massima per i tre capi d’accusa per cui è stato giudicato colpevole Biden è di 25 anni di prigione, oltre a una multa di 750mila dollari. Imputati incensurati e non colpevoli di reati violenti tuttavia non sono quasi mai condannati a pene detentive per reati simili: è insomma considerato improbabile che Hunter Biden vada effettivamente in carcere. La giudice incaricata del caso, Maryellen Noreika, non ha ancora stabilito la data in cui verrà decisa la condanna, ma se a suo dire di norma sarà circa 120 giorni dopo il verdetto, quindi l’inizio di ottobre: circa un mese prima delle prossime elezioni presidenziali.
Il processo contro Hunter Biden riguarda una questione legata al suo passato di dipendenze da droga e alcol: doveva rispondere di tre capi d’accusa legati all’acquisto e al possesso di una pistola, avvenuti nel 2018, ed è stato giudicato colpevole per tutti e tre. Il processo di Wilmington, città non lontana da Philadelphia, ha attirato notevoli attenzioni, potrebbe avere ripercussioni politiche ed è iniziato pochi giorni dopo il verdetto di colpevolezza di Donald Trump a New York.
Hunter Biden, già al centro di varie teorie cospirative della destra americana legate al suo ruolo di membro del consiglio di amministrazione di un’azienda ucraina di gas naturale nel 2014, era accusato di aver mentito in due dichiarazioni nei moduli compilati per l’acquisto di una pistola: dichiarò di non essere dipendente da droghe, in un periodo in cui secondo l’accusa ne era abituale consumatore. Era inoltre accusato di aver posseduto illegalmente la stessa arma per 11 giorni (poi la gettò): è vietato dalla legge possedere armi se si è consumatori di droghe illegali.
Un anno fa Hunter Biden sembrava poter evitare il processo, grazie a un accordo di patteggiamento trovato fra accusa e difesa, che però venne in seguito respinto da una giudice federale.
Hunter Biden ha un passato di dipendenza da alcol e droga, che ha raccontato nella sua autobiografia Beautiful Things (Cose belle). Nel 2014 fu congedato dai riservisti della Marina perché trovato positivo al test della cocaina e quelle dipendenze si erano aggravate dopo la morte del fratello maggiore Beau nel 2015 (a 46 anni, per un tumore al cervello). Durante il processo l’accusa ha cercato di dimostrare che nell’ottobre del 2018, quando comprò la pistola, Biden fosse dipendente da droga e cosciente di esserlo, e abbia quindi mentito deliberatamente nel compilare i moduli.
Per dimostrarlo, l’accusa ha fatto sentire in aula lunghe parti della sua stessa autobiografia in versione audiolibro, in cui parla di una dipendenza di 4 anni (che coprirebbe anche il periodo in questione), e ha mostrato alcuni messaggi di testo mandati dal suo telefono in quei giorni. In uno diceva di aver appena incontrato un uomo identificato come quello che gli vendeva il crack (una droga derivata dalla cocaina), nell’altro raccontava di essere in auto e di aver fumato il crack. Ma l’accusa ha anche chiamato a testimoniare l’ex moglie di Hunter Biden, Kathleen Buhle, con cui è aperto un contenzioso legale per alimenti non pagati, e Hallie Biden, vedova del fratello Beau Biden, morto nel 2015, con cui Hunter nel 2018 aveva una relazione.
Hallie Biden in particolare ha testimoniato di aver visto «tracce» del crack nella sua auto, insieme alla pistola, ma poi interrogata dalla difesa ha ammesso di non averlo mai visto assumerlo nei giorni in questione.
La tesi difensiva di Biden era infatti incentrata sulla «buona fede» delle sue dichiarazioni sul modulo, che avrebbe compilato dopo aver iniziato un programma di riabilitazione: era quindi convinto di non essere al momento «dipendente da sostanze illegali».
I legali dell’imputato hanno sostenuto che l’accusa non avesse dimostrato che Biden abbia fatto uso di droghe «in quegli specifici giorni» e hanno chiamato a testimoniare anche la figlia Naomi Biden Neal, che ha detto che in quei giorni appariva «sobrio e fiducioso». Nel duro controinterrogatorio l’accusa ha però mostrato a Biden Neal alcuni suoi messaggi di testo al padre in cui affermava di essere vicina «al punto di rottura» per i problemi causati dalla sua dipendenza. Questo passaggio del processo è stato definito «crudele» dai legali di Biden nelle arringhe finali.
Hunter Biden ha poi sostenuto con successo percorsi di riabilitazione e superamento delle dipendenze, cosa su cui la difesa si è soffermata a lungo. Il figlio di Biden, che è anche il candidato del partito Democratico alle elezioni presidenziali di novembre, sarà imputato anche in un altro processo riguardo a tasse non pagate, riguardante sempre lo stesso periodo della sua vita.