Il ritorno dei cavalli selvatici in Asia centrale
Che da quelle parti erano estinti da un po': sette esemplari originari delle steppe sono stati portati in Kazakistan, e piani simili in Mongolia e Cina sono già andati piuttosto bene
Sette cavalli di Przewalski, appartenenti a quella che si ritiene essere l’ultima varietà di cavalli selvatici ancora esistente, sono stati trasferiti dagli zoo di Berlino e Praga, in Europa, alle steppe del Kazakistan, un grosso paese dell’Asia centrale occupato in gran parte da deserti e pianure che probabilmente è il loro luogo di origine. Fino a pochi anni fa i cavalli di Przewalski vivevano solo in cattività, ma dai primi anni Duemila grazie a una serie di trasferimenti dagli zoo europei ora ne esiste una popolazione libera in Mongolia e in Cina: in Kazakistan vogliono fare lo stesso.
Il viaggio dei cavalli è durato circa 25 ore: 18 in aereo fino in Kazakistan, e poi altre 7 di camion fino alla zona in cui vivranno per il prossimo anno. Per tutto quel tempo hanno dovuto rimanere in piedi: in teoria dovevano essere trasferiti otto cavalli, ma uno di loro è dovuto rimanere a Praga perché si era seduto prima di salire sull’aereo (rimanere seduti a lungo può causare problemi di circolazione nei cavalli). Ora per circa un anno saranno tenuti sotto osservazione in una riserva di 80 ettari, così da accertarsi che resistano al freddo e ai parassiti e che siano capaci di procurarsi autonomamente da mangiare anche sotto la spessa coltre di neve che cade in inverno da quelle parti.
Il gruppo è composto da due giumente (cioè femmine adulte di cavallo) e uno stallone (un maschio) provenienti dallo zoo di Praga, e da quattro giumente dallo zoo di Berlino. Inizialmente queste ultime non potranno accoppiarsi con lo stallone, ma è prevista l’introduzione di altri maschi, così da aumentare la diversità genetica della popolazione.
I cavalli di Przewalski (Equus ferus przewalskii) sono una specie o quantomeno una sottospecie distinta dal comune cavallo domesticato (Equus ferus caballus), cioè quello che tutti conosciamo, diffuso in tutto il mondo. Anche i cavalli comunemente chiamati “selvatici”, come i mustang degli Stati Uniti, sono in realtà inselvatichiti: discendono cioè da cavalli domestici fuggiti dai loro allevatori. Anche se ora vivono in libertà e non hanno contatti o quasi con gli umani fanno comunque parte della stessa specie, che nella classificazione scientifica è chiamata Equus ferus caballus.
In realtà c’è chi dice che anche i cavalli di Przewalski siano inselvatichiti. Infatti anche se in tempi recenti non vivevano come animali di allevamento, le tracce archeologiche indicano che alcuni di loro lo furono, più di 5mila anni fa, da una popolazione umana dell’età del rame che viveva nell’attuale Kazakistan.
Rispetto ai cavalli comuni, quelli di Przewalski sono un po’ più piccoli, hanno la criniera più ispida, e hanno anche due cromosomi in meno, ma sono comunque in grado di produrre prole fertile se si accoppiano con i cavalli comuni. C’è quindi qualche dubbio se classificarli scientificamente come una sottospecie di Equus ferus (come è il cavallo comune, Equus ferus caballus), o considerarla proprio una specie diversa, chiamata Equus przewalskii.
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In realtà questi cavalli non sono mai stati osservati scientificamente in Kazakistan: da quando sono stati identificati scientificamente come una specie diversa dal cavallo domesticato sono stati visti solo nelle aree desertiche e montane della Mongolia e della Cina. È comunque ritenuto che il loro luogo di origine siano proprio le steppe, le grandi pianure semiaride che si estendono dall’Ucraina alla Mongolia passando anche dal Kazakistan, e che i cavalli selvatici si siano ritirati in aree più inospitali qualche secolo fa, in seguito ai conflitti con esseri umani e bestiame e ai cambiamenti del clima.
La Mongolia è stata quindi la prima destinazione dei programmi di reintroduzione nel loro habitat originario. Altri programmi sono stati messi in atto nel nordovest della Cina, in Xinjiang, già da prima del 2000, e nella regione russa di Orenburg, al confine con il Kazakistan, nel 2016. Nel 2008 l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), l’ente internazionale riconosciuto dall’ONU che valuta quali specie animali e vegetali rischiano l’estinzione, ha modificato la classificazione dei cavalli di Przewalski da “estinto in natura” a “in pericolo critico”. Un ulteriore aggiornamento nel 2011 ha portato alla classificazione come “minacciati”.
Pur essendosi estinti in natura, nel Novecento erano state create popolazioni piuttosto consistenti di cavalli di Przewalski anche in Europa, sia negli zoo che in aree protette più ampie. Ne esiste una nel sud della Francia, molto attiva nel fornire cavalli per i programmi di reintroduzione (una delle giumente mandate in Kazakistan dallo zoo di Berlino è originaria di qui), ma le più grandi sono in Ucraina.
Una è quella di Askania Nova, nella regione di Kherson, nel sud del paese, la più grande d’Europa. L’altra si trova nella Zona di esclusione di Chernobyl, l’area attorno alla centrale nucleare rimasta disabitata dagli umani dopo il famoso incidente, e diventata nel tempo una sorta di riserva naturale.
L’Ucraina e il sud della Russia sono peraltro l’ultimo posto in cui sopravvisse una varietà europea di cavallo selvatico: il tarpan, che si estinse alla fine dell’Ottocento. Anche in questo caso l’etichetta di “selvatico” è un po’ dibattuta: è probabile che discendessero da commistioni fra cavalli puramente selvatici e cavalli inselvatichiti. Secondo alcuni il cavallo comune discende proprio da dei tarpan domesticati diversi millenni fa.
I programmi di reintroduzione dei cavalli di Przewalski avvengono anche all’interno dell’Europa, in habitat diversi da quelli originari dei cavalli. Nel 2023 un gruppo è stato portato dalla Francia agli altopiani della Spagna: l’idea è quella che i cavalli contribuiscano a limitare la diffusione di alcuni cespugli, che in certi casi possono aumentare il rischio di incendi. Prima lo facevano le pecore, che però sono diminuite con il depopolamento rurale e il declino della pastorizia.
Anche nelle steppe la reintroduzione del cavallo selvatico dovrebbe portare diversi benefici ecologici. Filip Mašek, portavoce dello zoo di Praga, ha detto al Guardian che i cavalli disperdono i semi delle piante scavando con gli zoccoli il terreno per procurarsi da mangiare, e anche nella loro cacca. Il loro letame inoltre contribuisce a fertilizzare il terreno. Insomma per quanto la reintroduzione artificiale di specie estinte in una certa area abbia sempre il potenziale di creare squilibri in un ecosistema, la reintroduzione dei cavalli nella steppa kazaka potrebbe portare benefici più ampi di quelli riguardanti la singola specie.
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