Le notizie del 10 giugno 1983
«Mi venne la stramba idea di raccogliere tutti i quotidiani del mondo dello stesso giorno: il 10 giugno 1983. Ne raccolsi circa 400, dalle isole Fiji alla Polinesia francese, andando verso ovest. Marcus Tabo Metaung, Tellus Simon Magoerane, Jerry Semano Molosoi furono impiccati alle 7 del mattino alla Central Prison di Pretoria, Sudafrica; Margaret Thatcher vinse le elezioni in Regno Unito, aprirono una banca per sole donne a Nairobi, ci fu una grande festa organizzata dal re di Giordania per il terzo compleanno del figlio, l’ottava vittima dello sfregiatore di Roma “Jack Lametta”, l’attacco d’asma di cui rimase vittima la regina madre del Nepal, un UFO avvistato a Bermuda, il ricevimento al Pierre di New York per il 60° compleanno di Henry Kissinger, la firma tra Zico e l’Udinese e la prima nascita di tre gemelli fecondati in provetta ad Adelaide»
Era l’inverno ’82/’83. Trovai in una libreria internazionale del centro di Milano un mastodontico annuario pubblicato dall’ONU (il doppio di una guida del telefono del tempo) dove c’era tutto (o quasi) dei 166 Paesi allora aderenti. Oggi sono 193. Oltre ai dati economici e sociali c’erano molte informazioni minute: gli indirizzi e i numeri di telefono delle sedi diplomatiche, dei sindacati, dei ministeri dei luoghi di culto e dei giornali. Dei giornali. Di tutto il mondo? Quasi.
Trovato l’annuario mi venne la stramba idea di raccogliere tutti i quotidiani del mondo (o quanti più possibile) dello stesso giorno. Qualche anno prima, nel 1979, avevo inventato e condotto per anni la rassegna stampa di Radio Popolare e mi era rimasta una sorta di emerofilia acuta. La tesi che mi sarebbe piaciuto dimostrare (a parte il godimento materiale di avere una collezione rara e graficamente cosmopolita) era che – alla fin fine – ogni giorno in qualunque parte della Terra succedono più o meno le stesse cose per quanto rimarchevoli.
Mi resi subito conto che nessuno conosceva (e conosce) il numero preciso dei quotidiani, e non soltanto perché qualcuno chiudeva e molti ne nascevano (il contrario di oggi). Anche sulla definizione di giornale quotidiano era difficile accordarsi: secondo l’Unesco che considera «giornale quotidiano qualunque pubblicazione che contenga informazioni generali ed esca almeno 4 giorni alla settimana», nel 1982 i quotidiani sarebbero stati circa 7 mila, il 95 per cento tra Americhe, Europa e Giappone. Non c’era (e non c’è) accordo nemmeno su quale sia stato il primo quotidiano al mondo. L’ipotesi più accreditata è quella del Leipziger Zeitung pubblicato a Lipsia nel 1650 dal libraio Timotheus Ritzsch, il cui ultimo numero stampato è uscito nel 2019. In Italia è la Gazzetta di Mantova (1664).
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Non c’era (e non c’è) invece discussione sull’unico quotidiano che possa a buon diritto stampare sotto la testata «The first newspaper published in the world every day»: è il Fiji Times, quotidiano dell’arcipelago intorno a Suva che esce in un luogo appena a ovest della linea internazionale di cambiamento della data dove dal 1884, per convenzione, ha inizio il nuovo giorno, perché coincide con il meridiano più lontano da Londra (cioè dal meridiano di Greenwich) e passa in mezzo all’oceano Pacifico, enorme e quasi disabitato, e quindi non intralcia le transazioni finanziarie e commerciali che portano la stessa data. Per la stessa ragione l’ultimo quotidiano a uscire lo stesso giorno è La Dépêche de Tahiti nella Polinesia francese.
Se fossi riuscito a raccogliere tutti i quotidiani di una stessa giornata pubblicati nel mondo, dalle isole Fiji fino alla Polinesia francese andando verso ovest, la collezione avrebbe potuto costituire anche un’utile enciclopedia della notizia giornalistica scritta: aerei che cadono, terra che trema, rapine in banca, alluvioni, sommosse, elezioni, rapimenti, omicidi, suicidi, incendi, scoperte scientifiche, colpi di stato, guerre, nuove malattie e così via. Forse sarebbe anche stato di qualche utilità per le scuole di giornalismo.
Il giorno doveva essere scelto a caso e alla cieca, dunque in anticipo, senza sapere le notizie. La scelta cadde su venerdì 10 giugno 1983, quindi il giorno che la mia collezione avrebbe raccontato sarebbe stato quello precedente, il 9 giugno. Doveva essere un giorno campione medio. Un giorno comune. Un giorno come gli altri.
Nella primavera del 1983 mi misi a scrivere (in inglese) una lettera affrancata e la mandai a circa 400 quotidiani di 110 Paesi. Per giustificare la mia strana richiesta preventiva, raccontai una balla: per la tesi universitaria che stavo preparando, avrei voluto ricevere una copia del quotidiano del 10 giugno venturo. Alla fine ne raccolsi 350, anche grazie all’aiuto decisivo di una multinazionale farmaceutica presente soprattutto nei Paesi più poveri e a qualche amico esportatore transoceanico. Per le traduzioni mi aiutarono amici italiani, un cameriere egiziano laureato in medicina, impiegati ai consolati, e qualche studente straniero.
La prima scoperta e la vera “notizia” di tutta quella mole di lavoro fu che il 9 giugno 1983 durò esattamente 48 ore, perché ciascun quotidiano con la stessa data riflette le proprie 24 ore precedenti e di quelle cerca di dare conto, almeno in prima pagina.
Il 9 giugno 1983 nacque alla mezzanotte dell’8 giugno non in un luogo preciso ma lungo tutti i 20mila chilometri del meridiano (l’antimeridiano per eccellenza) opposto al meridiano zero che collega i due poli passando per Londra/Greenwich (dov’è mezzogiorno in quell’istante).
Tra i primi ad accorgersene (sempre che non dormissero) furono tuttavia gli abitanti di Vanua Levu nell’arcipelago delle isole Fiji. Passarono le canoniche 24 ore e si spense, sempre a mezzanotte, assai vicino al luogo di nascita, nell’isola di Taveuni sempre nel medesimo arcipelago. Il 9 giugno 1983 fu un giorno, come gli altri, fondamentale come ogni battito del nostro cuore, ma anche assolutamente normale e atteso.
Gli astronomi già da decenni avevano previsto la più lunga eclisse di sole del secolo che si sarebbe osservata quel giorno nell’arcipelago indonesiano. Una scolaresca si preparava a disporsi lungo la linea d’ombra per verificare la circonferenza solare. I meteorologi e geologi ebbero meno fortuna perché non riuscirono a prevedere alluvioni in Perù, tornado nel Texas, eruzioni vulcaniche in Alaska, un terremoto nel nord del Giappone.
Previsioni e/o coincidenze degli astrologi furono così contrastanti o identiche che non le presi in considerazione.
Per circa 350mila persone quel giovedì 9 giugno 1983 sarebbe stato il primo giorno di vita. Per circa 150mila l’ultimo. Anche se quasi nessuno (neanche gli aspiranti suicidi) era sicuro che non avrebbe visto il giorno seguente.
Soltanto un ristretto numero di uomini aveva una ragionevole certezza di morire proprio quel giorno: quelli la cui morte era stata burocraticamente, ufficialmente decretata da altri, i condannati a morte. Tra questi scoprii, non mi ricordo su quale giornale, Marcus Tabo Metaung, 27 anni, Tellus Simon Magoerane, 23 anni, Jerry Semano Molosoi, 25 anni, che furono impiccati alle 7 del mattino alla Central Prison di Pretoria, Sudafrica.
Anche le morti “normali” non furono tutte uguali. Molti morirono per incidente automobilistico ma uno solo di loro, a quanto risulta, perse la vita su una Ferrari, una Ferrari rossa. Anche per questo si guadagnò la prima pagina del New York Times del 10 giugno. Ma anche perché la sua ricchezza era dovuta alle sue proprietà nella allora poco nota Silicon Valley. Uscì di strada alle 4 e mezzo del pomeriggio (ora locale) nei pressi di Los Gatos (dove nel 1997 nascerà Netflix).
Sempre il 9 giugno 1983 Margaret Thatcher vinse le elezioni nel Regno Unito per la seconda volta. La notizia, dapprima molto incerta per esempio a Sydney, si confermò via via che i giornali, con la stessa data, si spostavano dall’estremo oriente fino all’Europa dove era data per sicura e infine in America dove oltre alla vittoria avevano ormai anche il dettaglio dei voti e i primi commenti.
Sempre quel giorno aprirono una banca per sole donne a Nairobi, ci fu una grande festa organizzata dal re di Giordania per il terzo compleanno del figlio, l’insediamento del nuovo governo portoghese di Màrio Soares, l’arresto a Varsavia di un pluriomicida, l’abolizione della censura in Grecia, cinque attentati dinamitardi in Corsica, l’ottava vittima dello sfregiatore di Roma “Jack Lametta”, un grave incidente alla centrale solare francese di Targassonne sui Pirenei, l’incontro nello Yemen del nord tra Arafat e Gheddafi, l’attacco d’asma di cui rimase vittima alle 3 del pomeriggio (ora locale) la regina madre del Nepal, un UFO avvistato a Bermuda, il primo collegamento via satellite tra Italia e Cina, l’esplosione di un elicottero con a bordo undici importanti funzionari del governo nella Thailandia nordorientale, il ricevimento al Pierre di New York per il 60° compleanno di Henry Kissinger, l’“atterraggio” di un cacciabombardiere Harrier su un cargo spagnolo al largo di Tenerife e quello, disastroso, di un Hercules dell’esercito peruviano che alle 8:22 precipitò a Porto Maldonado, la firma tra il calciatore brasiliano Zico e l’Udinese e la contemporanea decisione della Federcalcio di bloccare l’ingresso in Italia di calciatori stranieri, un decreto pontificio relativo a quattro miracoli, la prima nascita di tre gemelli fecondati in provetta ad Adelaide. Il rogo di giovani donne indiane bruciate vive per non aver consegnato una dote sufficiente alla famiglia dello sposo. E così via.
Avrei voluto (non da solo) scrivere un libro su quel giorno dilatato dai fusi. Attraverso un amico presi appuntamento con Leonardo Mondadori e Giulio Bollati, quest’ultimo per un breve periodo ai vertici Mondadori dopo l’uscita da Einaudi (nella quale sarebbe ritornato come commissario). Ascoltarono con interesse l’idea sia della ciclopica raccolta sia della realizzazione di un libro che ne raccontasse il contenuto. Io non ero e non sono nessuno ma non aspettavo che mi dicessero: «Quando ha finito di raccogliere il materiale ce lo porti che ci interessa, chiediamo a Fruttero&Lucentini di farne un libro». Rimasi così male, ma così male.
Il 10 giugno 1984, quarant’anni fa, presentai la raccolta (con fatica li convinsi che il luogo era pertinente) al Circolo della Stampa di Milano, che allora era in corso Venezia, nella napoleonica sede di palazzo Serbelloni. La mostra rimase visitabile per qualche settimana, venne il giornalista Piero Scaramucci per un breve servizio al TGR. Quando la mostra fu smontata decisi di regalare la collezione all’Istituto per la formazione al giornalismo di Milano. Mi dissero: «Ne faremo tesoro». Qualche anno dopo se l’erano perduta.