La voce nelle orecchie dei piloti di Formula 1
È quella degli ingegneri di pista, che oltre a consigliarli e istruirli devono diventarci in un certo senso amici
A maggio, poco prima del Gran Premio dell’Emilia-Romagna di Formula 1 a Imola, la Ferrari ha sostituito l’ingegnere di pista di uno dei suoi due piloti, il monegasco Charles Leclerc. Ogni pilota ha il proprio, assegnato dalla squadra, ed è abbastanza raro che a campionato in corso una squadra decida di cambiarlo. Da quando l’italodanese Bryan Bozzi è il suo nuovo ingegnere di pista Leclerc ha ottenuto un terzo posto a Imola e una vittoria a Montecarlo, dove non aveva mai vinto, e si è ritirato in Canada per un problema alla macchina.
La scelta della Ferrari ha attirato nuove curiosità e interesse per il ruolo dell’ingegnere di pista, da tempo descritto come uno dei più influenti e difficili in Formula 1. All’interno delle squadre è considerata una figura fondamentale perché è il principale interlocutore del pilota, sia via radio che di persona, e il responsabile finale della messa a punto della macchina. Durante le prove e la corsa ha il compito di fornire al pilota aggiornamenti repentini sulle condizioni degli pneumatici e di altre parti meccaniche, sulla posizione e sulla velocità degli avversari, sulle strategie, sulla presenza di traffico, incidenti o detriti in pista, sulle previsioni meteorologiche, e su molto altro. È gli occhi del pilota fuori dall’abitacolo, insomma.
È tramite il suo ingegnere che il pilota riceve anche le comunicazioni a lui dirette dalla direzione delle corse, in caso di penalità ricevute, e da altri reparti e membri della squadra. Come raccontato a The Race dall’inglese Rob Smedley, che ha ricoperto a lungo questo ruolo in Ferrari e in Williams, l’ingegnere di pista è diventato un ruolo ancora più centrale e complesso da quando le squadre di Formula 1 sono composte da centinaia di dipendenti, tra cui decine di ingegneri sempre più specializzati. Rispetto agli anni Novanta, ha detto Smedley, è cresciuta la quantità di impiegati per ogni reparto e di informazioni che l’ingegnere di pista – che è sempre uno – deve esaminare, valutare e riferire al pilota.
A parte gli aspetti comunicativi l’ingegnere di pista ha responsabilità e compiti tecnici che possono determinare l’evoluzione delle prestazioni del pilota durante i weekend di gara. Insieme ad altri ingegneri studia la velocità della macchina lungo tutta la pista, giro dopo giro, tramite la telemetria, ovvero particolari tecnologie di misurazione e trascrizione delle informazioni della macchina. E sulla base delle analisi suggerisce al pilota se e come modificare l’assetto e la guida per ottenere tempi migliori, o per usurare meno alcune parti meccaniche. Per questo è anche detto ingegnere di macchina (o di gara): perché ogni macchina ne ha uno, più che ogni pilota. E perché in teoria gli ingegneri di pista non seguono i piloti quando i piloti cambiano squadra. In teoria.
Smedley, per esempio, è un’eccezione citata spesso. Arrivato in Ferrari nel 2004, diventò ingegnere di pista del pilota brasiliano Felipe Massa nel 2006, in un anno delicato per la squadra: l’ultimo con il tedesco Michael Schumacher. I risultati di Massa migliorarono quasi da subito: ad agosto ottenne la sua prima pole position e la sua prima vittoria, nel Gran Premio della Turchia, e nei due anni successivi vinse altre nove gare, perdendo il campionato del 2008 per un solo punto. Quando Massa lasciò poi la Ferrari, nel 2014, Smedley lo seguì in Williams: lavorarono insieme fino al 2017, quando Massa si ritirò dalle corse. E dopo un anno anche Smedley lasciò la Formula 1.
Nei mesi scorsi si è parlato della possibilità che una situazione simile a quella vissuta da Smedley e Massa possa capitare anche al pilota inglese Lewis Hamilton, il più vincente di sempre, e all’esperto ingegnere di pista della Mercedes Peter Bonnington, che lavora con lui da oltre dieci anni. Il passaggio di Hamilton alla Ferrari dal 2025 potrebbe secondo alcuni giornali incentivare Bonnington a fare la stessa cosa. «Sarebbe un duro colpo per la Mercedes», ha detto sul suo canale YouTube il commentatore televisivo Marc Priestley, ex meccanico della McLaren, che ha definito Bonnington «un membro chiave della squadra nel quadro ingegneristico più ampio».
La principale ragione per cui di solito le squadre non cambiano ingegneri di pista a stagione in corso è la necessità di rendere stabile la relazione di fiducia reciproca che ogni ingegnere deve avere con il pilota con cui lavora. È un rapporto che ingegnere e pilota, se ancora non si conoscono, cominciano a costruire prima dell’inizio del campionato, in inverno, ha raccontato a BBC l’inglese Tom Stallard, ingegnere di pista della McLaren per l’australiano Oscar Piastri, uno dei più promettenti piloti di Formula 1. Stallard ha lavorato, tra gli altri, anche con l’ex campione del mondo inglese Jenson Button, l’australiano Daniel Ricciardo e lo spagnolo Carlos Sainz.
«Non bisogna per forza uscire insieme. Basta passare insieme del tempo, fare domande e raccontarsi fatti», ha detto Stallard, che prima di diventare ingegnere di Formula 1 è stato un canottiere, vincitore della medaglia d’argento alle Olimpiadi di Pechino nel 2008. Secondo Stallard è molto utile avere con il pilota anche conversazioni su errori e «casini combinati in passato» nei propri rispettivi ruoli, perché hanno un valore formativo e soprattutto aggiungono un po’ di umorismo al lavoro di preparazione.
Ma non sempre ingegnere e pilota hanno la possibilità di prepararsi insieme prima dell’inizio del campionato. Quando capita di cambiare ingegneri di pista a campionato in corso le squadre cercano di assumersi rischi calcolati.
Bozzi, il nuovo ingegnere di pista di Leclerc, è un ingegnere meccanico di 35 anni che lavora in Ferrari dal 2012, dapprima nel reparto ricerca e sviluppo in galleria del vento (una particolare struttura in cui viene simulata l’interazione tra la macchina e i flussi d’aria per valutare la resistenza aerodinamica). Dal 2018 – un anno prima dell’arrivo di Leclerc – era performance engineer: sono gli ingegneri che lavorano a stretto contatto con l’ingegnere di pista per assicurarsi che la macchina funzioni nel migliore dei modi in base ai gusti del pilota e ad altri fattori. Bozzi lavorava con Leclerc già dal 2019, di fatto, e una certa confidenza tra i due è emersa già nelle prime gare da quando Bozzi è diventato ingegnere di pista.
Leclerc è considerato un pilota particolarmente esigente, prima di tutto verso sé stesso. Durante le sessioni di test con la Sauber, la squadra con cui esordì in Formula 1 nel 2017, girava nei box con un piccolo quaderno su cui prendeva appunti che poi tirava fuori nelle riunioni con gli ingegneri. Che è una cosa abbastanza insolita, come raccontato dal suo ingegnere di pista di allora, Jörn Becker.
La relazione con il suo precedente ingegnere di pista in Ferrari, lo spagnolo Xavier Marcos Padros, si era complicata nel corso degli anni. Una serie di incomprensioni tra loro piuttosto frequenti, notate anche dagli spettatori, aveva progressivamente fatto emergere il sospetto che cambiare ingegnere di pista, per quanto insolito e rischioso, potesse nel complesso comportare più vantaggi che svantaggi. La decisione di sostituirlo è stata infine presa e spiegata dal team principal Fred Vasseur con il fatto che Leclerc e Bozzi si conoscessero già e andassero d’accordo.
Poiché l’aspetto umano è secondo molti esperti la parte più importante nella relazione tra il pilota e l’ingegnere di pista, non è detto che professionalità e competenze siano sufficienti a farla funzionare. Né esiste un percorso formativo unico per diventare ingegnere di pista, che è un lavoro che richiede abilità molto eterogenee. Inoltre molti altri fattori, relativi a diversi reparti della squadra e a vari processi del lavoro di sviluppo delle macchine, possono contribuire a deteriorare o migliorare una relazione tra il pilota e l’ingegnere.
Negli anni Duemila, durante e subito dopo il ciclo più vincente nella storia della Ferrari, l’australiano Chris Dyer fu ingegnere di pista di due piloti diversissimi tra loro: prima Schumacher e poi il finlandese Kimi Raikkonen. Con entrambi riuscì a vincere il campionato mondiale, due volte con Schumacher e una con Raikkonen, nel 2007, ma in seguito cambiò ruolo nella squadra dopo una stagione di risultati deludenti. Lasciò infine la Ferrari nel 2011, dopo le polemiche per alcune decisioni discutibili a lui attribuite, un anno dopo l’arrivo del pilota spagnolo Fernando Alonso (che in Ferrari ebbe come ingegnere di pista l’italiano Andrea Stella, attuale team principal della McLaren).
Capita anche, ma è molto raro, che a stagione in corso le squadre cambino non l’ingegnere di pista ma il pilota. Successe durante il campionato del 2016, per esempio, quando il pilota olandese e attuale campione del mondo Max Verstappen, all’epoca diciottenne, fu assunto abbastanza a sorpresa dalla Red Bull al posto del russo Daniil Kvjat. Trovò come ingegnere di pista l’inglese Gianpiero Lambiase, che non aveva mai lavorato prima con un pilota del livello di Verstappen in termini di talento e personalità, ma aveva comunque una certa esperienza. «Credo che se fossi stato un novellino nel mio ruolo, non dico che mi avrebbe mangiato vivo, ma non sono sicuro che avrebbe avuto lo stesso rispetto per un ingegnere principiante», ha detto Lambiase a BBC.
Alla sua prima gara in Red Bull e con Lambiase, approfittando di un clamoroso incidente tra le due Mercedes, Verstappen arrivò primo davanti alle Ferrari nel Gran Premio di Spagna, a Montmeló, diventando il più giovane pilota ad aver vinto una gara di Formula 1. Fu abbastanza chiaro da subito quanto fosse forte, ma molto del lavoro tra lui e Lambiase negli anni successivi si concentrò sulla necessità di ridurre una certa irruenza di Verstappen e una sua attitudine a correre rischi superflui nei sorpassi.
Nel 2021, dopo un’ultima gara spettacolare e discussa, Verstappen vinse il primo dei tre campionati da lui finora vinti in otto anni con Lambiase, la cui fama in Formula 1 è cresciuta parallelamente a quella di Verstappen, considerato un pilota non facilissimo da gestire. Una delle più importanti qualità umane riconosciute ai migliori ingegneri di pista di Formula 1 è proprio la capacità di adattarsi al carattere del pilota e alle circostanze. A volte è richiesto loro di infondere fiducia e accrescere le motivazioni dei piloti, altre volte di limitarne l’esuberanza e l’incontinenza.
Un’altra sensazione molto raccontata e condivisa tra gli ingegneri di pista è la paura negli istanti successivi a un incidente in pista che riguardi il pilota e la macchina di cui sono responsabili. Nel 2022, durante il Gran Premio d’Inghilterra a Silverstone, il pilota cinese dell’Alfa Romeo Zhou Guanyu ebbe un incidente spettacolare subito dopo la partenza. La sua macchina si ribaltò e finì con violenza contro le reti di protezione all’esterno della pista. L’urto provocò l’interruzione delle comunicazioni del pilota via radio: una conseguenza abbastanza insolita.
«Non ricevemmo alcuna informazione dalla direzione della corsa, perché non sapevano nemmeno loro come stesse», ha detto a BBC Becker, che all’epoca era ingegnere di pista di Zhou. Trascorsero 15 minuti prima che al box sapessero che non si era fatto male seriamente.
In casi del genere gli ingegneri ricavano la prima informazione chiara e allarmante dalla telemetria, perché nei grafici la linea che indica la successione di accelerazioni e decelerazioni precipita verticalmente – come succede anche in una frenata – ma poi non torna su. E nei primissimi momenti gli ingegneri non hanno modo di capire se il pilota ha soltanto fatto un testacoda e si è fermato in pista, o se è andato contro un muro. Sono momenti molto difficili, ha detto Stallard, perché in macchina non c’è soltanto un collega: «non lavori così a stretto contatto con qualcuno senza diventarne amico».