«Perché è lì»

100 anni fa George Mallory morì sull'Everest in uno dei primi leggendari tentativi di scalare la montagna più alta del mondo: alcuni credono addirittura che ci riuscì

di Emanuele Menietti

George Mallory durante la spedizione del 1921 (The New York Times/Redux/Contrasto)
George Mallory durante la spedizione del 1921 (The New York Times/Redux/Contrasto)

Nel marzo del 1923 l’alpinista britannico George Mallory era a New York, sicuramente in un contesto più confortevole dei campi ad alta quota che aveva frequentato nei due anni precedenti per tentare la prima scalata verso la cima dell’Everest. Un giornalista del New York Times, che stava scrivendo un articolo sulle spedizioni, gli chiese come mai avesse sviluppato una fissazione per scalare quella montagna e si racconta che Mallory non esitò un momento nel rispondere laconico: «Perché è lì», una frase che lo avrebbe reso famoso dopo la sua morte proprio sull’Everest. Mallory morì infatti tra l’8 e il 9 giugno di cento anni fa, mentre scalava la montagna più alta del mondo.

Fu avvistato per l’ultima volta insieme a Andrew Irvine nella mattina dell’8 giugno 1924 mentre proseguiva la salita verso la cima dell’Everest lungo il versante nord, poi non se ne seppe più nulla. Il corpo di Mallory fu ritrovato solamente 75 anni dopo da una spedizione di ricerca, mentre quello di Irvine non fu mai trovato. Il modo in cui si pensa morirono e il punto in cui furono avvistati per l’ultima volta alimenta da ormai un secolo un ricco e talvolta acceso dibattito tra chi ipotizza che Mallory e Irvine siano morti mentre cercavano di realizzare l’impresa e chi ritiene che siano morti sulla via del ritorno dopo avere raggiunto per primi la cima dell’Everest, 29 anni prima della spedizione di Edmund Hillary a cui viene attribuito il primato.

George Mallory era nato il 18 giugno del 1886 a Mobberley, nell’Inghilterra nord-occidentale, e si era appassionato all’alpinismo fin da giovane. Dopo avere partecipato alla Prima guerra mondiale e alla battaglia della Somme, una delle più importanti offensive anglo-francesi sul fronte occidentale, aveva lasciato l’esercito ed era riuscito a farsi selezionare per partecipare alla prima spedizione britannica sull’Everest del 1921. La missione non aveva l’obiettivo di raggiungere la cima della montagna, ma di esplorarne i versanti e studiarla per capire quali fossero le vie più praticabili per raggiungere la vetta.

Mallory partecipò a numerose ricognizioni e l’anno seguente aderì alla seconda spedizione, questa volta organizzata per tentare la scalata della montagna. Furono effettuati tre grandi tentativi affrontando l’Everest dal versante nord in Tibet, ma senza successo. La spedizione fu comunque importante sia per sperimentare la logistica nei rifornimenti tra i vari campi base, con lo spostamento di cibo ed equipaggiamenti, sia per testare per la prima volta le bombole per l’ossigeno, in modo da compensarne la carenza ad alta quota. L’esperienza fu proficua in particolare per Mallory, che insieme ad altri compagni di ascesa identificò una via che riteneva promettente per raggiungere la cima.

Alcuni dei partecipanti alla seconda spedizione sull’Everest: Mallory è il primo a sinistra (Wikimedia)

Le conoscenze e le informazioni raccolte favorirono la ricerca di risorse economiche per finanziare una terza spedizione, che fu decisa per la tarda primavera del 1924, nel breve periodo in cui sull’Himalaya non fa troppo freddo e il monsone con le sue copiose precipitazioni non è ancora arrivato. Nei primi giorni di giugno la spedizione organizzò l’ascesa, realizzando campi via via più in alto e sempre più piccoli, in modo da usarli come appoggio per l’ascesa finale. Alla spedizione partecipavano decine di persone, tra alpinisti europei e portatori locali, in modo da avere le risorse e le forze necessarie per portare strumentazioni, cibo e per gestire le comunicazioni tra i cambi. Era una sorta di staffetta alpina, che sopperiva soprattutto alla mancanza di mezzi migliori per comunicare.

La mattina dell’8 giugno Mallory e Irvine partirono dopo le 8 dal Campo VI a 8.138 metri per tentare l’ascesa finale. La sera prima avevano comunicato le loro intenzioni a Noel Odell che il giorno seguente avrebbe dovuto raggiungere lo stesso campo per fornire risorse e sostegno ai due alpinisti al loro ritorno. La mattina era nuvolosa e non consentiva di osservare il versante dove Mallory e Irvine sarebbero dovuti passare per raggiungere la cima. Poco prima delle 13, mentre si trovava a poche centinaia di metri dal Campo VI, Odell notò che le nuvole si stavano diradando e riuscì a osservare due puntini neri che si muovevano sul versante. Erano Mallory e Irvine ed era l’ultima volta che qualcuno li osservava da vivi.

Odell al Campo VI non trovò nessuna nota lasciata dai due alpinisti prima della partenza. Erano ormai le due del pomeriggio e le condizioni meteo erano peggiorate fortemente. Odell provò allora a seguire parte della via, urlando e fischiando in modo da dare qualche riferimento ai suoi compagni per guidarli verso il campo. Non sentendo risposte e non trovando tracce, Odell tornò alle tende: erano le quattro del pomeriggio ed era troppo rischioso rimanere lì da solo, quindi intraprese la discesa raggiungendo prima il Campo V e infine il Campo IV a 7mila metri. Il giorno dopo, il 9 giugno, tornò al Campo VI sperando di trovare Mallory e Irvine, ma non c’erano e le tende erano come le aveva lasciate il pomeriggio precedente. Odell fece qualche ricerca sulla via dell’ascesa, poi concluse che trovarli da solo sarebbe stato impossibile e tornò alle tende.

Il percorso seguito da Mallory e Irvine, la parte tratteggiata è l’ipotetico tratto verso la vetta (Airbus, Maxar Technologies, Google Earth)

Dopo avere recuperato un po’ di energie, Odell prese due sacchi a pelo e li mise a forma di “T” sulla neve, per segnalare dal Campo VI in cui si trovava la scomparsa di Mallory e Irvine. Il segnale fu avvistato al Campo IV, dove furono disposte alcune coperte per formare una croce che fu a sua volta avvistata al Campo III. La notizia arrivò in questo modo a Edward Norton, il capo della spedizione, che ordinò di abbandonare le ricerche e di tornare verso i campi più bassi. Odell lasciò il Campo VI e raggiunse il Campo IV nel tardo pomeriggio dello stesso giorno.

La notizia della morte di Mallory, a 37 anni, e di Irvine, a 22, arrivò in Inghilterra via telegramma il 19 giugno, quattro giorni dopo l’abbandono del Campo base da parte della spedizione. Nei giorni seguenti fu raccontata dai giornali, suscitando una certa emozione nella popolazione che si era interessata alla conquista della montagna più alta del mondo. Sarebbero stati necessari 29 anni prima che Hillary effettuasse la prima ascesa documentata dell’Everest, da una via diversa rispetto a quella di Mallory, grazie all’apertura del Nepal alle spedizioni estere.

Le condizioni in cui scomparvero Mallory e Irvine portò a molte speculazioni sulla loro eventuale conquista della cima, spingendo negli anni a chiedersi se il ritrovamento dei loro corpi potesse fornire qualche indizio per chiudere la questione. Man mano che aumentavano le possibilità di scalare l’Everest, con vie più affidabili stagionalmente aperte e campi base più organizzati, aumentarono anche la frequentazione della montagna e gli avvistamenti non confermati del corpo di Mallory o Irvine. In particolare nel 1975 nel corso di una spedizione cinese fu segnalato l’avvistamento di un corpo a una ventina di minuti da dove era stato stabilito il Campo VI della spedizione.

Nel 1999 quella segnalazione divenne l’indizio principale per una spedizione internazionale organizzata appositamente per ritrovare Mallory o Irvine. Il primo maggio del 1999 alle 11:45 a una quota di 8.156 metri fu trovato in un ghiaione un corpo faccia a terra e parzialmente congelato. Inizialmente i partecipanti alla spedizione pensarono di avere trovato Irvine, ma con loro sorpresa scoprirono che gli abiti ancora conservati avevano etichette con le scritte “G. Mallory” e “G. Leigh. Ma.”. Era il corpo di Mallory, morto in seguito a una brutta caduta che aveva comportato la rottura della gamba destra, impedendogli di muoversi.

George Mallory e Andrew Irvine al Campo base, nell’ultima fotografia che li ritrae insieme prima della scalata (AP Photo, File)

Le ricerche nelle tasche dei suoi vestiti e intorno al suo corpo permisero di trovare vari oggetti, come un orologio e un altimetro, ma non una macchina fotografica che si pensava Mallory avesse portato con sé per fotografare il momento dell’arrivo sulla cima dell’Everest. Nel caso in cui fosse stato possibile recuperare la pellicola al suo interno, si sarebbe potuto provare a recuperare gli scatti e a dimostrare che erano stati Mallory e Irvine a compiere la missione 29 anni prima di Hillary.

Alcuni dettagli osservati dalla spedizione avrebbero alimentato ulteriormente il dibattito sul primato dell’ascesa sull’Everest. Nelle tasche degli abiti di Mallory non fu infatti trovata la fotografia della propria moglie che l’alpinista aveva portato con sé, ripromettendosi di lasciarla sulla cima dell’Everest. Mallory aveva inoltre in tasca gli occhiali per proteggersi dal forte riverbero della luce solare sul ghiacciaio, forse a indicazione del fatto che l’alpinista stesse tornando con Irvine al Campo VI quando il sole era ormai basso, di conseguenza dopo avere terminato la scalata della cima.

Questi e altri dettagli sono discussi da tempo, ma non sono ritenuti particolarmente convincenti. Se Mallory fosse sopravvissuto alla caduta, avrebbe avuto un po’ di tempo prima di morire per estrarre dalla tasca la fotografia della moglie e osservarla per un ultimo simbolico saluto. Gli occhiali in tasca sarebbero potuti essere di scorta, rispetto a un altro paio poi andato perduto. La mancanza del corpo di Irvine rende inoltre difficile stabilire che cosa accadde nelle ultime ore dei due alpinisti a oltre 8mila metri di quota.

Nel maggio del 1999 Edmund Hillary stava per compiere 80 anni e accolse con interesse la scoperta di Mallory, riconoscendo che non si potesse escludere che fosse stato proprio l’alpinista inglese a raggiungere decenni prima di lui la cima dell’Everest. John Mallory, uno dei tre figli dell’alpinista, sembrò essere meno entusiasta: «Per me l’unico modo per conquistare una vetta è tornare indietro vivi; è un lavoro fatto a metà se non torni indietro».

Il corpo di George Mallory è ancora oggi sepolto sull’Everest, la montagna del suo «Perché è lì».