L’eccezione dell’ora di religione
In Italia continua a esserlo per molti versi: dalla selezione degli insegnanti a quello che rappresenta in uno stato laico, e per come ancora ci si dimentica di chi non la fa
Qualche giorno fa il ministero dell’Istruzione ha firmato due bandi per far diventare di ruolo 6428 insegnanti di religione per la scuola dell’infanzia, elementare, media e superiore. È una notizia, perché l’ultimo bando di questo tipo era stato fatto vent’anni fa, nel 2004, ed era stato peraltro il primo, visto che i ruoli per l’insegnamento della religione cattolica erano appena stati istituiti. Questa iniziativa del ministero, che servirà a regolarizzare migliaia di docenti che ora insegnano religione con contratti precari, ha risollevato un più generale dibattito sull’insegnamento della religione cattolica a scuola che va avanti da decenni.
L’esistenza stessa dell’ora di religione cattolica in un paese che si professa laico continua infatti a essere molto criticata in quanto retaggio della storica interferenza della Chiesa cattolica in Italia. Più nel merito, esiste un dibattito su come questi insegnanti vengono selezionati e assunti, e su quanto poco si investa sull’ora cosiddetta di “alternativa” che, soprattutto nelle scuole del nord, è sempre più scelta dagli studenti.
In Italia l’insegnamento della religione cattolica a scuola fu regolamentato l’ultima volta dal cosiddetto Concordato, cioè il documento ufficiale del 1984 che rinnovò il rapporto fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Nel Concordato lo Stato fece ai tempi alcune concessioni difficilmente compatibili con l’idea di uno stato totalmente laico, e tra queste ci fu proprio l’obbligo di garantire l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, che fu poi resa pienamente facoltativa da due sentenze della Corte Costituzionale.
Vent’anni dopo, nel 2004, fu fatto il primo concorso pubblico per insegnanti di religione: da allora avrebbe dovuto esserne bandito uno ogni tre anni, cosa che però non accadde, portando migliaia di docenti a vivere di contratti a tempo determinato rinnovati ogni tre anni. Orazio Ruscica, segretario del sindacato degli insegnanti di religione, lo Snadir, ha detto che «il precariato è aumentato continuamente, tanto che ci sono docenti precari con anche 15 o 20 anni di servizio» e che «al nuovo bando parteciperanno tra le 14 e le 15mila persone». Il bando prevede una procedura ordinaria per circa 1900 posti di ruolo e una procedura straordinaria per altri 4500 posti, cui potranno accedere solo docenti con almeno 3 anni di carriera. Ruscica ha fatto notare come il bando del ministero dell’Istruzione arrivi dopo una lunga trattativa con le forze parlamentari e una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che nel 2022 stabilì che il trattamento riservato agli insegnanti di religione in Italia fosse illegittimo e discriminatorio.
Allo stesso tempo però gli insegnanti di religione sono delle figure professionali un po’ anomale nella scuola. Tra i requisiti per diventare di ruolo, infatti, oltre al titolo di studio necessario, serve anche la cosiddetta “idoneità dell’ordinario diocesano”, ovvero una lettera del vescovo che dichiara che la persona è “idonea” alla professione. Gli insegnanti di religione possono essere sia sacerdoti che laici, e la decisione del vescovo di rilasciare o meno il certificato di idoneità (e di revocarlo, eventualmente) si basa tra le altre cose sulla “testimonianza di vita cristiana”, e cioè sulla dimostrazione di una «coerenza di vita con la fede che professa e comportamenti pubblici non contrastanti con la morale cattolica».
Roberto Grendene, segretario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), che tra le altre cose è impegnata da anni in una campagna contro l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole per come funziona adesso, ha definito questa procedura «il più grande caso di clientelismo in Italia». Di fatto quello che succede, è che dei dipendenti pubblici, quindi pagati dallo stato, vengono assunti o meno anche sulla base di criteri che riguardano la loro vita privata: per esempio il fatto che la persona sia sposata civilmente o religiosamente, che abbia divorziato, che sia un genitore single, che sia a favore del diritto all’aborto, eccetera.
Oltre a questo continua a esserci un grosso buco nella gestione dell’insegnamento della religione a scuola, che è quello legato all’ora di alternativa. La religione cattolica viene infatti insegnata dalla scuola dell’infanzia, quindi dai 3 anni, e poi alle elementari (per due ore alla settimana), alle medie e per tutte le scuole superiori. Ogni anno, al momento dell’iscrizione, gli studenti possono decidere se seguire questa lezione oppure fare la cosiddetta ora alternativa. Nelle scuole medie e soprattutto nei licei spesso l’ora di religione viene messa a inizio o fine giornata in modo che chi non la fa possa entrare dopo o uscire prima, ma fino alle elementari questo non è possibile e la scuola deve pensare a un programma di attività alternative, appunto.
Secondo i dati pubblicati all’inizio dell’anno dall’UAAR nell’ultimo anno scolastico gli studenti che hanno scelto di non fare religione sono stati il 15,5 per cento (1.096.846), circa 80mila in più rispetto a due anni prima, quando erano il 14,07 per cento. A Firenze, Bologna, Trieste, Prato, Gorizia e Aosta però questa percentuale è più alta e supera il 30, con scuole in cui cominciano a esserci più studenti di alternativa che di religione. In Valle d’Aosta sono il 31 per cento, e in Emilia-Romagna e in Toscana il 27, mentre le regioni in cui sono meno sono Basilicata (3%), Campania (3%), Calabria (3%), Puglia (4%), Molise (4%) e Sicilia (5%).
La scuola è obbligata ad attuare l’ora di alternativa, anche per un solo studente, ma di fatto non c’è una norma che stabilisca come deve farlo né una prassi condivisa, e il risultato varia molto da scuola a scuola. Il programma per l’ora di alternativa dovrebbe teoricamente essere deciso a maggio per l’anno successivo, ma spesso la decisione viene rimandata e a settembre le attività vengono improvvisate. Il rischio, in questi casi, è che si influenzi la decisione dei genitori, che magari decidono di iscrivere i figli all’ora di religione solo per il timore che l’alternativa non sia sufficientemente stimolante. Secondo Grandene inoltre «c’è una falsa narrazione per cui chi fa alternativa non dovrebbe fare cose troppo interessanti per non creare uno svantaggio in chi fa l’ora di religione», cosa che rende a volte più faticoso proporre e attivare certe attività e farle approvare in collegio docenti. Ci sono però anche scuole in cui si riescono a portare avanti progetti interessanti e innovativi su temi come la robotica, il cinema, la fotografia, l’arte, la musica, il giornalismo con la realizzazione del giornalino scolastico.
In alcune scuole succede anche che per facilità venga detto ai genitori che l’ora di alternativa non si può attivare per mancanza di fondi: l’UAAR spiega che «quella della carenza di fondi è una delle scuse più frequenti ma che oltre ad essere completamente falsa, tenta di colpevolizzare chi sceglie l’ora alternativa, quasi che esercitare questo diritto fondamentale tolga risorse alla scuola». In realtà i fondi per i docenti di attività alternative sono stanziati nel bilancio dello stato: non esiste una classe di concorso per gli insegnanti di alternativa ma questi sono solitamente docenti della scuola con ore libere da impiegare, o a cui viene chiesto di fare straordinari e, nel caso non sia possibile nessuna delle due cose, ne vengono assunti apposta con fondi ministeriali. Sul suo sito l’UAAR ha pubblicato un modulo di diffida che si può mandare alla presidenza della scuola e che Grendene spiega «fa miracoli in caso di resistenze dei dirigenti scolastici: tempo una settimana e arriva il programma».
Inoltre alla scuola elementare il libro di religione è tra quelli che vengono pagati dal comune, ma la stessa cosa non accade per il libro di alternativa, che pure da un paio d’anni le case editrici hanno cominciato a vendere. Si tratta di libri su temi come l’amicizia, la socialità, l’ambiente, l’educazione civica e altre cose che riguardano il ruolo dell’individuo all’interno della comunità. Secondo i dati ottenuti dall’UAAR, che ha finanziato l’acquisto di libri per alcune scuole all’interno del “Progetto ora alternativa”, le scuole che li hanno adottati quest’anno sono state meno del 10 per cento.
Alcuni ritengono che l’ora di religione cattolica debba essere pensata come l’insegnamento di una materia di interesse di tutti – a prescindere dalla fede personale e dalle tradizioni familiari – perché attraversa la storia, l’arte e la cultura occidentale in generale. È vero che ci sono insegnanti di religione che propongono alle proprie classi programmi poco legati alla dottrina cattolica o che tengono in considerazione, per esempio, anche religioni diverse e insegnamenti più laici: lo fanno di propria iniziativa, a volte riuscendo a coinvolgere più studenti di quelli che inizialmente avrebbero aderito.
Un modello di insegnamento delle religioni libero dall’interferenza delle autorità religiose è stato proposto da alcuni studi in Europa, ed è in parte quello che esiste in Francia, per esempio, dove la scuola pubblica non ha l’ora di religione. È quello che si auspica per la scuola italiana anche l’UAAR, la cui proposta è «che le tematiche religiose non vengano messe da parte completamente, ma siano affrontate all’interno delle ordinarie materie di studio (storia, arte, filosofia), in modo critico, come fenomeni sociali».
La legge italiana però al momento è molto chiara rispetto al fatto che l’ora di religione è impartita «in conformità alla dottrina della Chiesa», quindi con un approccio di studio religioso e molto diverso da quello che vale per esempio per l’insegnamento della storia, della filosofia o dell’arte. Per renderla ufficialmente una materia “per tutti”, adatta a un programma di istruzione laico, andrebbe quindi cambiata la norma.