Cos’è andato storto per Narendra Modi in India?
Il primo ministro ha vinto le elezioni ma con un risultato deludente, e sarà costretto a un governo di coalizione: c'entrano il malcontento economico e un po' di stanchezza
Il risultato deludente del primo ministro Narendra Modi alle elezioni parlamentari in India è stato sorprendente per molti analisti, e ha danneggiato quella che in questi giorni i media hanno definito «l’aura di invincibilità» del primo ministro indiano.
Modi ha vinto le elezioni con un buon margine, ma con un risultato molto al di sotto delle aspettative: lui stesso aveva preannunciato con sicurezza per tutta la campagna elettorale una vittoria travolgente simile a quelle delle due precedenti elezioni, nel 2014 e nel 2019. Modi sosteneva che il suo partito, il Bharatiya Janata Party (BJP), avrebbe ottenuto da solo la maggioranza in parlamento, e la coalizione di cui fa parte avrebbe raggiunto 400 seggi su 543 totali. Invece il BJP ha ottenuto 240 seggi, meno dei 272 necessari per la maggioranza assoluta, e la coalizione che sostiene Modi è arrivata a 293 seggi: sono sufficienti per governare, ma Modi dovrà fare dei compromessi inattesi, come accogliere alleati di coalizione nel suo governo e rinunciare con ogni probabilità alle grosse riforme costituzionali che facevano parte del suo programma.
Parte della sorpresa deriva dal fatto che le elezioni in India sono un processo estremamente lungo (sono durate 44 giorni), e che per tutto lo svolgimento del voto i sondaggi sono vietati: per un mese e mezzo, dunque, è stato impossibile sapere come stava andando il gradimento dei partiti, anche se erano emersi alcuni segnali del fatto che l’opposizione stesse guadagnando terreno.
Secondo le prime analisi, il risultato deludente di Modi potrebbe derivare da due fattori.
Il primo è quello che in inglese viene definito “anti-incumbency feeling”, e che in italiano potrebbe essere tradotto liberamente con “affaticamento da terzo mandato”. Modi è al governo dal 2014, un periodo molto lungo per una democrazia parlamentare vivace come quella indiana, e l’idea di altri cinque anni dello stesso governo potrebbe aver stancato molti indiani. Ha contribuito a questo sentimento anche il fatto che, per la prima volta in 10 anni, l’opposizione a Modi (guidata dal Partito del Congresso di Rahul Gandhi) ha offerto un’alternativa presentabile. Modi, inoltre, potrebbe essere stato danneggiato dal suo stesso trionfalismo: dando per scontata una vittoria eccezionale, potrebbe aver provocato una riduzione dell’entusiasmo dei suoi sostenitori, e al contrario aver galvanizzato i suoi oppositori.
La seconda ragione, e la più importante, è probabilmente l’insoddisfazione economica. Benché quella indiana sia la grande economia con il maggior tasso di crescita al mondo (sotto Modi è sempre cresciuta tra il 7 e il 9 per cento l’anno, con l’eccezione della crisi provocata dalla pandemia), il governo indiano in questi dieci anni non è riuscito a distribuire adeguatamente i risultati di questa crescita tra tutta la popolazione.
Le disuguaglianze sono accresciute enormemente, al punto che oggi l’India è uno dei paesi più diseguali del mondo, e nonostante alcune politiche efficaci di riduzione della povertà Modi non è davvero riuscito a contrastare i problemi strutturali dell’economia indiana, come l’altissimo tasso di disoccupazione e di lavoro informale. Anche l’inflazione è aumentata considerevolmente, e questo ha provocato malcontento tra le classi popolari, che faticano a permettersi i generi di prima necessità a causa dell’aumento dei prezzi.
Davanti a queste difficoltà, Modi ha cercato di rispondere adottando negli ultimi mesi una retorica estremamente aggressiva contro la minoranza musulmana del paese, e affidandosi al nazionalismo indù per compattare i suoi sostenitori. Nei giorni prima dell’inizio delle elezioni aveva accusato il Partito del Congresso di voler requisire i beni degli indù per darli ai musulmani, e aveva definito i musulmani «infiltrati» che non appartengono alla nazione indiana. I musulmani in India sono circa 200 milioni, su una popolazione di 1,4 miliardi di persone.
Questa strategia però gli si è probabilmente rivoltata contro: l’aggressività della retorica di Modi potrebbe aver spaventato molti elettori, e aver aumentato i timori che con una maggioranza molto forte (e magari con il controllo dei due terzi del parlamento, necessari per modificare la Costituzione) Modi avrebbe potuto reprimere ulteriormente le minoranze del paese e degradare lo stato della democrazia indiana. Di questo si è accorta anche l’opposizione: nelle ultime settimane di campagna elettorale Rahul Gandhi ha mostrato agli eventi una piccola versione tascabile della Costituzione indiana, rilegata di rosso, promettendo che il suo obiettivo sarebbe stato difenderla.
Il terzo governo di Narendra Modi, dunque, sarà per forza di cose un governo di coalizione. Gli altri partiti che formano la sua coalizione elettorale sono partiti regionali, cioè molto forti in un singolo stato dell’India, e non sono particolarmente noti per la loro fedeltà. I due partiti alleati di Modi che hanno ottenuto più voti sono il Telugu Desam Party, forte nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh, e il Janata Dal United, forte nello stato orientale del Bihar.
Di questi due partiti, il Janata Dal è entrato nella coalizione di Modi soltanto pochi mesi prima dell’inizio delle elezioni, e dal 2010 ha cambiato schieramento almeno quattro volte: nel 2022 era stato uno dei principali sostenitori dell’alleanza delle opposizioni di Rahul Gandhi, per poi passare soltanto di recente al BJP. Anche il Telugu Desam Party è noto per i numerosi cambi di alleanze. Il suo leader, Chandrababu Naidu, l’anno scorso fu arrestato per appropriazione indebita di denaro pubblico.
Partiti come questi sono diventati ora fondamentali per la sopravvivenza del governo di Narendra Modi, e probabilmente chiederanno influenza politica in cambio del loro sostegno. Questo non provocherà necessariamente instabilità politica: per decenni prima di Modi l’India è stata governata da governi di coalizione, anche abbastanza efficaci. Al tempo stesso, tuttavia, per dieci anni Modi ha governato praticamente senza opposizione, né interna né esterna, e faticherà ad accettare una gestione del potere più collegiale e condivisa, come è necessario in un governo di coalizione.