Le ultime mosse elettorali di Giorgia Meloni

Sulla gestione degli ingressi regolari dei migranti, e sulla riduzione delle liste d'attesa negli ospedali, il governo ha annunciato misure che sembrano servire più che altro per le imminenti europee

Giorgia Meloni durante il comizio elettorale di Fratelli d'Italia in piazza del Popolo, a Roma, il primo giugno 2024 (Monaldo/LaPresse)
Giorgia Meloni durante il comizio elettorale di Fratelli d'Italia in piazza del Popolo, a Roma, il primo giugno 2024 (Monaldo/LaPresse)
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Martedì il Consiglio dei ministri ha affrontato, tra gli altri, due temi politicamente molto delicati: la questione migratoria e quella delle liste d’attesa negli ospedali. Sul primo punto, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha informato gli altri membri del governo di avere presentato un esposto alla procura nazionale antimafia per segnalare dei dati di cui il governo è entrato in possesso, e che dimostrerebbero la massiccia infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione dei flussi di persone straniere che vengono in Italia per lavorare attraverso le procedure del click day previste dal cosiddetto decreto flussi.

Sulle liste d’attesa, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha presentato, su sollecitazione di Meloni, due provvedimenti che modificano in maniera marginale il sistema per prenotare e fare le visite negli ospedali pubblici e nelle strutture convenzionate e accreditate, ma senza lo stanziamento di risorse economiche consistenti. In entrambi i casi, quindi, parliamo di iniziative adottate in fretta e con clamore mediatico, quattro giorni prima del voto per le europee del prossimo fine settimana e dettate in larga parte da esigenze elettorali e propagandistiche.

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Come già avvenuto due volte in passato – il 28 agosto 2023 e il 15 febbraio scorso – anche stavolta Meloni ha utilizzato lo strumento dell’informativa per intervenire nel dibattito sulla questione migratoria (l’informativa è un discorso in apertura del Consiglio dei ministri che non era previsto nell’ordine del giorno della riunione). Di questo discorso è stata poi data ampia notizia dagli uffici della comunicazione di Palazzo Chigi, anche nei comunicati ufficiali. L’intenzione, dunque, era proprio ottenere l’attenzione della stampa.

Meloni ha sostanzialmente denunciato anomalie e storture alla base delle procedure per ottenere l’ingresso regolare in Italia di persone straniere che cercano lavoro nel nostro paese.

Questi ingressi regolari avvengono tramite il cosiddetto click day, cioè una prenotazione telematica su un portale del ministero dell’Interno. Il tutto è regolato dal decreto cosiddetto “Flussi”, un provvedimento emanato dal presidente del Consiglio che definisce il numero di stranieri che possono regolarmente entrare in Italia, sulla base della previsione delle richieste di manodopera nei vari settori che avverranno nel corso dei tre anni successivi. L’ultimo provvedimento preso da Meloni in questo senso è del 27 settembre 2023, e ha fissato le quote d’ingresso per i prossimi tre anni: 136.000 per il 2023, 151.000 per il 2024 e 165.000 per il 2025. La scelta di alzare le quote d’ingresso risponde all’esigenza delle categorie produttive che chiedono un numero sempre maggiore di persone occupabili (nel precedente triennio le quote erano significativamente più basse: 30.850 per il 2020, 69.700 per il 2021 e 82.705 per il 2022). I potenziali datori di lavoro che chiedono di far entrare regolarmente in Italia una persona straniera a cui offrire un lavoro devono poi partecipare al click day.

Nel 2023 ce ne sono stati tre. L’ultimo è stato il 12 dicembre, per l’assegnazione degli ultimi 82.550 nulla osta per l’ingresso in Italia. La procedura è stata aperta sul sito del ministero dell’Interno alle 9 del mattino, e alle 9:05 erano già state trasmesse 86.079 domande, dunque più di quelle processabili. Per il 2024, i tre click day si sono svolti il 18, il 21 e il 25 marzo: a fronte di 151.000 nulla osta a disposizione, sono state presentate oltre 700.000 domande: in tutti e tre i casi, le domande sono arrivate al ministero dell’Interno tra le 9 e le 9:05 del mattino. Sono numeri che danno un’idea di quanto sia inadeguato il sistema previsto.

Nella sua informativa, Meloni ha detto che il governo ha avviato un monitoraggio su queste procedure da cui emerge che «da alcune regioni, su tutte la Campania», è stato registrato un numero di domande di nulla osta durante il click day «totalmente sproporzionato rispetto al numero dei potenziali datori di lavoro». Su un totale di 282.000 domande nel 2023, 157.000 arrivavano dalla Campania. Sempre in Campania «meno del 3 per cento di chi entra con un nulla osta sottoscrive poi un contratto di lavoro», e anche altrove in Italia «c’è uno scarto significativo tra chi entra per finalità di lavoro e chi effettivamente poi sottoscrive un contratto di lavoro», ha aggiunto Meloni. «Secondo noi significa che i flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare» e che «ragionevolmente, la criminalità organizzata si è infiltrata nella gestione delle domande», offrendo una via d’ingresso «formalmente legale e priva di rischi a persone che non avrebbero avuto diritto, verosimilmente dietro pagamento di somme di denaro (secondo alcune fonti, fino a 15.000 euro)».

Sulla base di queste evidenze, Meloni ha annunciato che nella seconda metà di giugno il governo intende definire un provvedimento che elimini queste storture e scoraggi questi abusi, e che lo farà «nel rispetto del principio che ispirò la legge Bossi-Fini che ha regolamentato il fenomeno in questi anni, cioè consentire l’ingresso in Italia solo a chi è titolare di un contratto di lavoro». La legge “Bossi-Fini”, approvata nel 2002 dal secondo governo di Silvio Berlusconi, è riconosciuta dalla gran parte degli esperti come una norma anacronistica alla base di molti dei malfunzionamenti della gestione dell’immigrazione.

Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo ospite dell’Università LUISS, a Roma, il 4 giugno 2024 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Al di là degli interventi legislativi, però, Meloni ha informato i ministri che martedì mattina, insieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, è andata a portare un esposto al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, segnalando tutte le anomalie e i possibili illeciti individuati dal governo nelle procedure del click day. L’iniziativa ha suscitato varie polemiche, soprattutto per i tempi e i modi scelti da Meloni. Molte delle storture citate dalla presidente del Consiglio sono note da tempo, specie per quel che riguarda il fatto – denunciato per esempio lo scorso dicembre da un report dell’associazione Ero Straniero – che solo un terzo di chi entra in Italia tramite questi canali legali riesce poi a ottenere un contratto di lavoro, mentre il resto finisce nel giro di poco tempo in una condizione di irregolarità. Fare un esposto in procura, cioè una segnalazione di un possibile illecito, a pochi giorni dalle elezioni ha un evidente scopo propagandistico.

Da più parti è stato osservato poi come rivolgersi alla procura nazionale antimafia (PNA) sia una scelta bizzarra: la PNA non ha potere di avviare un’inchiesta, ma piuttosto quello di coordinare le indagini che le varie procure fanno sulla criminalità organizzata e garantire la condivisione delle informazioni necessarie per portare avanti con successo l’attività di chi indaga. Funzionari del governo però hanno fatto sapere al Post che la scelta è stata presa con coscienza: i possibili illeciti riguardano diverse regioni, e dunque sarebbe stato impossibile segnalare a tutte le procure potenzialmente interessate, né spetta al governo stabilire quale sia la procura responsabile. Per questo Meloni e Mantovano hanno deciso di rivolgersi a Melillo: sarà lui eventualmente a condividere le informazioni contenute nell’esposto con le procure.

Il ministro della Salute Orazio Schillaci al termine del Consiglio dei ministri del 4 giugno 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Il Consiglio dei ministri ha inoltre approvato due provvedimenti del ministero della Sanità: un disegno di legge e un decreto-legge, entrambi finalizzati anzitutto allo smaltimento delle liste d’attesa per le visite negli ospedali. L’anomalia di due diversi provvedimenti approvati nello stesso giorno sulla stessa materia con lo stesso obiettivo è già di per sé sintomatica della concitazione del governo in questo momento.

Il ministro della Salute avrebbe voluto un unico decreto; quello dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha però posto dei rigidi limiti di spesa che di fatto rendevano impossibile finanziare molte delle misure ipotizzate in tempi rapidi. Meloni teneva particolarmente però a dare un segnale concreto prima delle elezioni europee su uno dei temi su cui le opposizioni di centrosinistra la criticano di più, e cioè appunto lo stato di sofferenza della sanità pubblica. Per questo, una grossa parte del provvedimento iniziale è stata spostata in un disegno di legge, che verrà discusso da Camera e Senato nei prossimi mesi, senza alcuna fretta: il disegno di legge, a differenza del decreto-legge, non deve essere convertito in legge dal parlamento entro sessanta giorni dalla sua approvazione, e non ha particolari scadenze.

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La misura più significativa inserita nel decreto è quella che introduce l’obbligo per le aziende sanitarie locali (ASL) di garantire lo svolgimento delle visite richieste dai pazienti entro il tempo previsto dai codici di priorità: a seconda del diverso livello di urgenza, il sistema sanitario deve fare in modo che la visita avvenga in un tempo stabilito, fissando a breve termine quelle che richiedono esami più delicati. Se non sarà possibile farlo negli ospedali pubblici entro le scadenze previste, le ASL dovranno provvedere a far svolgere queste visite nelle strutture private accreditate o in regime di intra moenia (cioè le visite svolte privatamente dai medici all’interno delle strutture pubbliche). Il tutto senza maggiori spese per il paziente, che continuerà semplicemente a pagare il ticket per prenotare la visita; la differenza, nel caso, dovrà essere proprio la ASL a coprirla.

Il problema è che il decreto, che rinvia a un successivo accordo con le regioni la definizione dei dettagli della norma, non prevede alcun nuovo stanziamento di risorse: non è dunque chiaro con quali soldi le ASL potranno pagare queste visite straordinarie.

C’è un problema simile che riguarda l’estensione al sabato e alla domenica degli orari per fare visite ed esami, con una prevedibile maggiore durata dei turni di lavoro per medici e infermieri, visto che manca un adeguato piano di assunzioni per l’aumento del personale. Da questo punto di vista, il decreto stanzia le uniche risorse aggiuntive: 250 milioni per ridurre le tasse sugli straordinari dei medici, che verranno tassati solo per il 15 per cento invece dell’aliquota IRPEF corrispondente (aumenterà dunque il netto che finirà nella loro busta paga a fine mese) e saranno così incentivati a lavorare di più per smaltire le liste d’attesa.

Giorgia Meloni con il facsimile della scheda elettorale in un video promozionale diffuso sui suoi canali social (Filippo Attili/LaPresse)

Quanto al personale, il decreto prevede il progressivo superamento del limite di spesa del personale sanitario: sarà aumentato nel 2024 (non più il 10 per cento dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente, ma il 15 per cento) e abolito nel 2025. Questo consentirà in teoria alle ASL di assumere più medici e infermieri, non essendoci vincoli di spesa, ma anche in questo caso non vengono stanziate nuove risorse e dunque le ASL dovranno eventualmente ridurre altre voci di spesa per fare assunzioni. I limiti di spesa sul personale sanitario furono introdotti inizialmente nel 2004 dal secondo governo dello storico leader del centrodestra Silvio Berlusconi, e poi in maniera più rigida nel 2009 e nel 2011 da altri governi sempre guidati da lui: servivano a ridurre la spesa pubblica in un periodo di difficoltà finanziaria del paese, ma di fatto non sono mai stati eliminati, bensì più volte rimodulati.

Il decreto estende inoltre anche ai privati accreditati il CUP (centro unico di prenotazioni) regionale e interregionale, così da rendere più uniformi e trasparenti le procedure di prenotazione. Le strutture private accreditate con il Servizio sanitario nazionale dovranno infatti mettere a disposizione tutte le prestazioni offerte ai cittadini. A monitorare sul buon funzionamento di queste procedure di prenotazione delle visite sarà una nuova piattaforma nazionale per le liste d’attesa che verrà istituita, secondo il decreto, presso l’AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).