I comuni italiani temono ancora il 5G

Il piano per estendere la rete mobile veloce nelle zone dove la connessione è scarsa va a rilento, soprattutto a causa della tenace opposizione di molti sindaci

Una donna manifesta contro l'installazione di un'antenna 5G, in Germania
Una donna manifesta contro l'installazione di un'antenna 5G, in Germania (Sachelle Babbar/ZUMA Wire)
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Negli ultimi anni i governi che si sono succeduti in Italia hanno approvato diversi provvedimenti per limitare o aggirare l’opposizione delle amministrazioni locali a progetti infrastrutturali considerati importanti a livello nazionale. Nel caso della diffusione della rete veloce mobile 5G però il loro intervento è servito a poco: il piano per estenderla nelle aree dove la connessione è scarsa va a rilento, proprio a causa della contrarietà di molti sindaci che continuano a opporsi con tenacia all’installazione di nuove antenne sul territorio che amministrano.

Il termine “5G” indica la quinta generazione dello standard per le telecomunicazioni dei dispositivi mobili, come gli smartphone. È una tecnologia progettata per offrire una velocità di download molto alta – fino a 10 gigabit al secondo – rispetto alla generazione precedente, chiamata 4G, ancora in uso sulla maggior parte degli smartphone.

Molti paesi, compresa l’Italia, hanno investito molti soldi pubblici per estendere la rete 5G attraverso l’installazione di decine di migliaia di antenne che servono a trasmettere e ricevere il segnale verso gli smartphone usando le onde elettromagnetiche. Nel novembre del 2021 il governo presieduto da Mario Draghi aveva approvato il “Piano Italia 5G”, definito allora il «primo piano di investimenti pubblici, con una dotazione di 2,02 miliardi di euro, approvato a sostegno dello sviluppo del mercato mobile» del paese. Il piano è parte della Strategia italiana per la Banda Ultra Larga ed è legato agli obiettivi del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che stabilisce come verranno spesi i finanziamenti europei del bando Next Generation EU.

Nel 2022 il governo pubblicò una gara di appalto per estendere la copertura della rete 5G anche nelle aree definite «a fallimento di mercato», ossia dove gli operatori telefonici erano più restii a investire. Nelle città medie e grandi, dove il mercato è più competitivo, gli investimenti vengono quasi sempre sostenuti dagli stessi operatori mentre nei paesi e nelle zone poco abitate serve un intervento dello Stato per garantire questo tipo di servizi. Con lo stesso meccanismo, per esempio, è stata sostenuta la connessione dei piccoli paesi alla rete in fibra ottica, la cosiddetta banda ultralarga.

La gara per l’estensione del 5G fu vinta da tre operatori – Tim, Vodafone e Inwit – che da allora sono riusciti a portare avanti solo in minima parte il progetto previsto dal bando. Secondo i dati diffusi da Connetti Italia, il sito del Dipartimento per la trasformazione digitale (una struttura che fa capo alla presidenza del Consiglio), allo scorso marzo era stato coperto il 13,85 per cento delle 1.385 aree previste. Le cose vanno meglio per l’intervento chiamato “backhauling”, che prevede l’adeguamento alla tecnologia 5G di antenne già esistenti, completato per il 42 per cento.

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Come tutte le misure finanziate tramite il PNRR, anche il “Piano Italia 5G” dovrebbe concludersi entro il 2026. Nella relazione più recente sull’andamento del PNRR, aggiornata a maggio, la Corte dei Conti ha però confermato che le operazioni sono in ritardo: secondo i giudici contabili, gli intoppi sono dovuti in particolare ai rapporti tra gli operatori e le amministrazioni comunali «che hanno ritardato o negato il rilascio dei permessi necessari». È un problema noto da anni. Le reti e le antenne del 5G sono infatti osteggiate con campagne e iniziative organizzate da chi sostiene (in modo infondato) che le onde radio siano nocive per la salute.

Sono più di 500 i comuni e gli enti italiani che in forme diverse hanno preso provvedimenti contro il 5G. Sono per la maggior parte piccoli paesi, ma ci sono anche eccezioni come Reggio Calabria, il cui sindaco Giuseppe Falcomatà, del Partito Democratico, nel 2020 firmò un’ordinanza contro l’installazione di nuove antenne. Quando le ordinanze risultano inefficaci si passa ai ricorsi al tribunale amministrativo regionale (TAR) e infine al Consiglio di Stato, con un inevitabile allungamento dei tempi. Uno dei casi di opposizione più ostinata riguarda il comune di Diamante, in provincia di Cosenza, che continua a impedire i lavori nonostante ben otto sentenze sfavorevoli ai ricorsi presentati negli ultimi anni.

I provvedimenti dei comuni sono tutti molto simili. Si basano sul “principio di precauzione”, cioè sul fatto che «non esistono certezze sugli effetti della nuova tecnologia». In realtà le tecnologie cellulari sono tra le più controllate e sperimentate al mondo, trattandosi di sistemi che riguardano praticamente la vita di tutte le persone. Le ricerche scientifiche che se ne sono occupate sono ormai migliaia e hanno esplorato scenari di ogni tipo, alla ricerca di eventuali legami tra l’esposizione alle onde radio dei cellulari e le malattie, arrivando alla conclusione che i rischi siano estremamente bassi, se non assenti.

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L’opposizione dei comuni è dovuta al timore di possibili conseguenze politiche, cioè alla paura dei sindaci di perdere i voti delle persone spaventate dalla nuova tecnologia. La preoccupazione è spesso alimentata da teorie del complotto come quelle che dal 2020 tentarono di dare la colpa della diffusione del Covid proprio al 5G. Alcune notizie false diffuse in particolare sui social network sostenevano per esempio che le frequenze utilizzate dal 5G potessero reagire con i microchip che – secondo un’altra teoria del complotto – sarebbero stati presenti nei vaccini contro il Covid. Ma le polemiche non riguardano solo la pandemia: secondo altri cospirazionisti, questa tecnologia farebbe parte di un’estesa operazione di sorveglianza di massa da parte dei governi. Quanto alle frequenze utilizzate dal 5G, molte fake news le ritengono dannose per l’ambiente, gli umani e gli uccelli.

Gli ultimi due governi, quelli guidati da Draghi e da Giorgia Meloni, hanno approvato diversi provvedimenti per limitare l’opposizione dei sindaci e agevolare il lavoro degli operatori. Molti di questi interventi sono stati tuttavia poco efficaci e per questo negli ultimi mesi il ministero per l’Innovazione e la Transizione digitale ha cercato una mediazione: dall’inizio dell’anno sono state organizzate diverse riunioni tra enti locali e operatori per trovare un accordo e perfino valutare aree alternative a quelle individuate dal piano. Inoltre sono stati firmati diversi accordi con associazioni che rappresentano gli enti locali – l’associazione nazionale dei comuni (ANCI), l’unione delle province (UPI) e l’unione nazionale dei comuni montani (UNCEM) – per favorire la digitalizzazione delle cosiddette aree interne anche attraverso l’installazione di nuove antenne della tecnologia 5G.