Il mese di nascita influenza i risultati nella vita?
Secondo diversi studi esiste una correlazione, soprattutto nello sport, ma è un effetto che tende a ridursi nel tempo e no, non c'entra con l'astrologia
La correlazione tra il mese di nascita e il successo negli sport è un fenomeno studiato da diversi decenni e noto come “effetto dell’età relativa” (Relative Age Effect, RAE). Fa riferimento a una distribuzione sbilanciata delle date di nascita dei giovani atleti selezionati dalle squadre di club, in cui i nati nel primo semestre di ogni anno, e in particolare a gennaio e febbraio, sono spesso nettamente di più rispetto ai nati nel secondo semestre.
Una delle più condivise spiegazioni di questo fenomeno è che selezionatori e talent scout tendono in molti casi a interpretare le buone prestazioni dei giovani atleti come un segno di abilità particolari anche quando quelle prestazioni sono banalmente l’effetto di uno sviluppo fisico più avanzato. Di conseguenza privilegiano nella selezione, anche senza volerlo, gli atleti nati prima all’interno di una stessa classe d’età. Effetti simili a quello dell’età relativa – che riguardano anche lo sviluppo psicologico e cognitivo, oltre a quello fisico – sono presenti in ambito scolastico, dove nei primi anni di formazione sono stati osservati risultati migliori tra i bambini nati prima o molto prima dei loro coetanei.
La legge che regola le iscrizioni scolastiche, in Italia come in diversi altri paesi, prevede che siano iscritti alla scuola primaria i bambini e le bambine che compiono il sesto anno di età entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento. Nella pratica significa che in una stessa classe di prima elementare possono capitare bambini che hanno compiuto sei anni a gennaio e altri che li compiranno undici mesi dopo, a dicembre. Diversi studi mostrano come gli scolari più giovani, cioè nati alla fine dell’anno, abbiano maggiori probabilità di essere ripetenti e di avere risultati scolastici peggiori in più fasi della formazione scolastica (quarto, ottavo e decimo anno) rispetto ai compagni di classe più grandi.
Gli effetti dell’età relativa tendono poi a dissiparsi man mano che emergono quelli più ampi della scolarizzazione e di altri fattori, che riducono gli svantaggi presenti nelle fasi iniziali. Gli svantaggi si riducono nel tempo anche perché le capacità fisiche e cognitive negli esseri umani aumentano molto rapidamente nei primi anni di vita, e sempre meno dopo: vale a dire che la differenza tra bambini di cinque e sei anni è generalmente molto maggiore di quella tra persone di 25 e 26 anni.
Se non correttamente soppesate, le differenze iniziali di maturità e sviluppo possono tuttavia riflettersi in effetti residui a lungo termine sul rendimento scolastico. Gli alunni più giovani ottengono punteggi inferiori del 4-12 per cento rispetto ai più anziani al quarto anno di scuola, e del 2-9 per cento all’ottavo anno, secondo uno studio condotto in diversi paesi dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), inclusa l’Italia, e pubblicato nel 2006 sul Quarterly Journal of Economics, una rivista della casa editrice dell’università di Oxford.
Durante la fase della pubertà gli effetti dell’età relativa possono combinarsi con quelli dovuti allo sviluppo biologico sfasato. A parità di classe d’età, un ragazzo nato prima può mostrare prima rispetto ai suoi coetanei più giovani gli effetti dell’incremento della produzione di testosterone e della conseguente accelerazione della crescita fisica e dello sviluppo della massa muscolare. Secondo una ricerca della Scuola universitaria federale dello sport di Macolin, in Svizzera, la differenza relativa nei maschi raggiunge l’apice poco prima dei 14 anni: dopodiché le differenze si riducono, perché i ragazzi dallo sviluppo tardivo iniziano a recuperare lo svantaggio. E a 20 anni la differenza nell’età biologica tra i ragazzi dallo sviluppo precoce e quelli dallo sviluppo tardivo è praticamente scomparsa.
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Stabilire con precisione l’influenza degli effetti dell’età relativa sui risultati ottenuti nel corso della vita è complicato, perché diventa via via più difficile all’aumentare dell’età del campione di popolazione studiato. Gli effetti tendono infatti a sovrapporsi ad altri complessi fattori biologici, psicologici, sociali e culturali, generalmente trascurati negli studi che mostrano una correlazione tra il successo e le nascite nei primi mesi dell’anno (o nei primi mesi del periodo di selezione pertinente). E in alcuni casi la correlazione scompare del tutto, per via di quei fattori, o addirittura diventa una correlazione inversa: i più giovani vanno meglio dei coetanei più anziani.
Una ricerca del 2017 dell’università di Sydney su oltre 6mila nuotatrici e nuotatori professionisti, che avevano partecipato ai campionati nazionali dal 2000 al 2014, concluse che nelle classi comprese tra i 12 e i 14 anni diversi atleti mostravano vantaggi significativi associati all’età relativa. Vantaggi che però si dissipavano entro i 15-16 anni, con poche eccezioni. E verso i 17-18 anni emergevano anzi effetti inversi dell’età relativa: a ottenere risultati migliori rispetto ai coetanei erano cioè nuotatrici e nuotatori relativamente più giovani.
In altri casi, in ambito sportivo ma non solo, la correlazione tra i risultati positivi e le nascite nei primi mesi dell’anno – almeno in parte spiegabile con gli effetti dell’età relativa – prosegue invece anche dopo la pubertà. La distribuzione anomala delle date di nascita nei primi mesi dell’anno tra i calciatori professionisti negli Stati Uniti, per esempio, è un fatto noto. Fu descritto in particolare da un libro divulgativo di grande successo, uscito nel 2005: Freakonomics, scritto dall’economista Steven Levitt e dal giornalista Stephen Dubner. Ma diverse ricerche in altri paesi del mondo hanno riscontrato nel tempo dati simili a quelli statunitensi.
Un’analisi condotta nel 2015 dai ricercatori in statistica e studi economici Luca Fumarco e Giambattista Rossi mostrò una presenza anomala di nati a gennaio in un gruppo rappresentativo di calciatori di Serie A in attività nelle sette stagioni consecutive tra il 2007-2008 e il 2013-2014. Erano circa il 70 per cento in più di quanto ci si sarebbe potuto attendere sulla base dei normali livelli di nascita mensili italiani. E rispetto a quegli stessi livelli i calciatori nati a dicembre erano invece circa il 50 per cento in meno. L’analisi mostrò anche che i salari dei calciatori nati negli ultimi tre mesi dell’anno erano in media più bassi rispetto a quelli dei loro coetanei nati nei primi tre mesi dell’anno.
La presenza degli effetti dell’età relativa anche in età adulta può dipendere da prassi e meccanismi di selezione – spesso contestati – che in età giovanile anziché ridurli amplificano quegli effetti, in contesti in cui esiste una competizione tra i bambini. Può capitare che gli studenti considerati più bravi dai loro insegnanti, per esempio, siano selezionati per partecipare a progetti o programmi che permettono loro di acquisire ulteriori conoscenze rispetto ai coetanei, come scritto da Fumarco e Rossi sul sito lavoce.info. E può capitare che a causa di questi meccanismi si attivino circoli viziosi dall’altra parte, per cui bambini con risultati peggiori si sentono demotivati e sono portati a impegnarsi di meno.
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Gli effetti dell’età relativa sono stati utilizzati per spiegare distribuzioni anomale delle date di nascita anche in altri campioni molto specifici della popolazione adulta. Uno studio uscito nel 2016 su una delle riviste scientifiche pubblicate dalla Royal Statistical Society, uno dei più antichi e importanti istituti di statistica al mondo, mostrò che rispetto alla popolazione statunitense generale i senatori e i deputati hanno il 50 per cento in più di probabilità di essere tra le persone relativamente più anziane nelle loro rispettive classi di età. L’entità dell’effetto dell’età relativa era persino maggiore di quella riscontrata in altri studi, ma in generale coerente con i dati che emergono dalla ricerca nello sport professionistico.
Gli autori dello studio, i ricercatori Daniel Muller e Lionel Page, cercarono di capire anche se l’età relativa fosse correlata alla qualità dei politici eletti al Congresso. Pur premettendo che «tutte le misure sono imperfette» e che «in definitiva la qualità di un politico rimane non osservabile», utilizzarono come indicatori pertinenti il livello di istruzione e l’età in cui ciascun politico era entrato in carica. Ma tra la qualità definita in questi termini e l’età relativa non trovarono correlazioni: i politici relativamente meno giovani non erano migliori dei loro colleghi.
Una possibile spiegazione proposta nello studio riguardo all’effetto dell’età relativa sul successo in politica è che essere relativamente più anziani tra coetanei durante la giovinezza può aiutare a sviluppare capacità di leadership e spirito di intraprendenza. A piccole differenze presenti in quella fase della formazione potrebbero man mano aggiungersene altre, perché le persone che prendono l’iniziativa tra coetanei potrebbero acquisire più fiducia nelle loro capacità. Muller e Page conclusero che l’effetto dell’età relativa è probabilmente troppo piccolo per essere influente nella popolazione adulta generale, ma può essere evidente «in contesti competitivi in cui piccoli vantaggi iniziali possono avere effetti critici a lungo termine».
Un’altra ricerca di Page e delle due economiste comportamentali Dipanwita Sarkar e Juliana Silva-Goncalves, condotta nel 2019 su oltre mille adulti australiani di età compresa tra 24 e 60 anni, mostrò che in compiti che richiedevano semplici calcoli matematici le persone relativamente più anziane nelle loro rispettive classi d’età avevano più fiducia nelle proprie capacità rispetto a quelle relativamente più giovani. Erano inoltre più disposte a partecipare a qualche forma di competizione, e affermavano di essere più inclini a correre rischi in una serie di ambiti della loro vita.
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La consapevolezza dell’effetto dell’età relativa è piuttosto condivisa negli Stati Uniti, dove nel tempo è emersa – soprattutto tra le classi sociali benestanti – una tendenza dei genitori a cercare di compensare preventivamente lo svantaggio che i loro figli potrebbero avere nelle rispettive classi, nei casi in cui siano molti mesi più giovani dei loro coetanei. Uno dei “rimedi” più comuni è una prassi che è il contrario della primina, chiamata redshirting (dal nome di una prassi equivalente diffusa negli sport universitari): consiste nell’attendere un anno in più prima dell’iscrizione alla scuola dell’infanzia. In questo modo, nelle classi di età subito successive alla loro età anagrafica, i bambini “redshirt” risultano essere non i più giovani ma i più anziani.
Gli effetti della pratica del redshirting sono però molto dibattuti. La discussione in ambito scientifico riflette peraltro un’incertezza che riguarda in generale gli studi sull’età relativa quando si concentrano non sugli effetti immediati ma su quelli a lungo termine, e sugli ambiti diversi da quello sportivo. Da una parte i risultati di molte ricerche hanno rafforzato nel corso del tempo l’idea che essere da piccoli più grandi dei propri coetanei – quindi in molti casi più veloci, più intelligenti e più forti fisicamente – produca una serie di vantaggi iniziali. Ma dall’altra parte ricerche dello stesso tipo che si concentrano su fasi della formazione successive indicano che dopo una certa età le disparità si attenuano, e che in alcuni casi sono anzi gli studenti relativamente più giovani a ottenere risultati migliori in ambito universitario.
Da uno studio del 2011 su un campione di studenti dell’Università Bocconi a Milano, condotto dall’economista Michele Pellizzari e dallo statistico Francesco Billari, emerse che gli studenti relativamente più giovani andavano meglio rispetto ai loro coetanei più grandi, in particolare nelle materie tecniche. Una delle ipotesi formulate da alcuni psicologi, tra cui la statunitense Angela Duckworth, per spiegare perché la correlazione tra età relativa e risultati può diventare inversa nel corso del tempo è che gli svantaggi iniziali possono stimolare, tra le persone del sottogruppo inizialmente svantaggiato, una maggiore grinta e una costante predisposizione a cercare di superare i propri limiti.
L’idea condivisa da Duckworth e da altri è che i bambini imparino a competere in alcuni ambiti, tra cui la scuola, in cui possono avere successo indipendentemente da fattori che invece li limitano in altri ambiti, per esempio lo sport. Di conseguenza acquisiscono rispetto ai loro coetanei più grandi una maggiore consapevolezza del fatto che, laddove non possono contare su un vantaggio iniziale assoluto, possono provare a raggiungere gli obiettivi tramite le motivazioni, la perseveranza e la dedizione.
Altre ricerche suggeriscono in generale come gli effetti dell’età relativa non siano sufficienti a influenzare la vita delle persone sul lungo termine, e di come quegli effetti iniziali siano mitigati nel corso dello sviluppo da fattori ambientali e genetici che finiscono per essere molto più influenti dell’essere leggermente più giovani o meno giovani dei propri coetanei. Un gruppo di ricercatrici e ricercatori finlandesi, per esempio, condusse nel 2017 una ricerca sui politici nazionali molto simile allo studio di Muller e Page sui senatori e sui deputati statunitensi, ma riscontrò un fattore significativo. Scoprì che l’effetto dell’età relativa era presente anche nel parlamento finlandese, in cui molti politici erano effettivamente nati nei primi mesi dell’anno, ma valeva soltanto per gli uomini e non per le donne.