Tre elezioni comunali condizionate dalla mafia
A Casal di Principe i candidati hanno inaugurato insieme un bene confiscato ai Casalesi, a Castelvetrano saranno le prime elezioni dalla morte di Matteo Messina Denaro, e a San Luca non si è candidato nessuno
Il 18 maggio a Casal di Principe, un comune di 21.400 abitanti in provincia di Caserta, il sindaco Renato Natale ha chiuso di fatto il suo ultimo mandato inaugurando un centro antiviolenza in una villa confiscata a Giuseppe Setola, il capo dell’ala dei Casalesi ritenuta responsabile di decine di omicidi e della cosiddetta strage di San Gennaro del 2008 a Castel Volturno, nella quale furono uccisi sei uomini africani e un italiano. Il centro è stato intitolato a Domenico Noviello, un imprenditore fatto uccidere proprio da Setola perché aveva denunciato le richieste di pizzo e aveva fatto condannare gli estorsori.
All’inaugurazione c’erano anche i cinque candidati alla sua successione alle elezioni comunali dell’8 e del 9 giugno. Natale, che non si ricandida, ha consegnato loro una cartellina con un «decalogo di impegni sui temi della legalità e della trasparenza», chiedendogli in caso di elezione «un impegno morale a mantenere viva la memoria di chi è stato ucciso dalla camorra e di garantire che quel passato non torni più».
La successione di Natale è una questione grossa a Casal di Principe. Natale è considerato il sindaco della ripresa della cittadina, dopo gli anni in cui i Casalesi controllavano l’economia e la politica locale. Nel discorso di fine anno agli italiani del 2023, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva ricordato il recupero dei beni confiscati alle mafie che Natale ha promosso da quando è stato eletto sindaco, nel 2014, definendolo un esempio di «riscatto sociale».
Prima del voto però la coalizione di centrosinistra che lo ha sostenuto fin qui si è divisa tra cinque liste civiche che si contrappongono. Alcuni lo interpretano come un segnale di vivacità democratica legata alla ripresa di Casal di Principe dopo «vent’anni di dittatura militare criminale», come il sindaco definisce il controllo della criminalità organizzata sulla zona. Altri invece ritengono che l’eccessiva frammentazione sia un segnale di indebolimento delle politiche che negli ultimi dieci anni hanno cambiato la cittadina.
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«Chiunque vincerà non avrà la forza della giunta guidata da Natale, che è riuscita a pacificare il paese e a indicargli una prospettiva di sviluppo fuori dall’economia mafiosa», dice Peppe Pagano, uno dei fondatori della Nuova Cooperazione Organizzata (NCO), un consorzio di cooperative sociali che ha aperto un ristorante, chiamato Nuova Cucina Organizzata, nella villa confiscata a Mario Caterino, uno dei leader del clan dei Casalesi. Nel ristorante sono impiegati ragazzi disabili e giovani che hanno ottenuto misure alternative al carcere. L’acronimo NCO è stato voluto dagli attivisti per togliere importanza a quello identico della Nuova camorra organizzata, guidata dal boss Raffaele Cutolo tra gli anni Settanta e Ottanta.
Tra il 1991 e il 2014 il Comune di Casal di Principe fu sciolto e commissariato tre volte per infiltrazioni mafiose. Il clan dei Casalesi controllava la politica e le attività economiche, e «chi si opponeva veniva condannato a morte», dice Natale. Lui stesso avrebbe dovuto essere ucciso, secondo quello che raccontò un collaboratore di giustizia, nel breve periodo che fece da sindaco tra il 1993 e il 1994 (poi non lo fece più fino al 2014): sembra che il piano prevedesse di simulare un incidente mentre andava alla sede del Comune in bicicletta, ma fallì. In quello stesso periodo la camorra uccise il suo grande amico don Peppe Diana nella sua chiesa. La camorra a Casal di Principe ha gestito in particolare il settore dell’edilizia e ha costruito interi quartieri che ora non risultano neppure nelle mappe catastali. «Tranne il centro storico, qui è tutto abusivo», spiega Natale, che però si è opposto all’abbattimento di 1.700 abitazioni abusive perché non avrebbe saputo dove sistemare le seimila persone che ci vivono, e che sarebbero state sfollate.
La giunta di centrosinistra in dieci anni ha recuperato ventitré beni confiscati alla camorra, che ora ospitano le sedi della Croce Rossa, della Caritas, della Protezione civile e dei vigili urbani, una scuola dell’infanzia e le medie, un centro per donne maltrattate e una casa delle associazioni intitolata a don Peppe Diana. A dicembre del 2023 la giunta di Natale ha stanziato quasi due milioni di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finanziato dalla Commissione europea per risollevare l’economia dopo la pandemia di Covid, per convertire alcune case confiscate al boss Setola ad housing sociale per giovani coppie (cioè con prezzi calmierati).
In questo modo il Comune di Casal di Principe si è riappropriato anche di parti del territorio comunale che prima erano inaccessibili, come la zona di via Bologna, considerata una roccaforte dei Casalesi. È una strada stretta e circondata da alte mura che nascondevano le ville dei camorristi, con le palme e le scale in stile Scarface, il film di Brian De Palma con Al Pacino nella parte di un boss, a cui molti di loro si ispiravano. Qui sono stati aperti un asilo nido pubblico e un centro diurno per la riabilitazione mentale. La vecchia casa di famiglia degli Schiavone, confiscata per metà, è stata divisa in due da un muro. Da una parte vive ancora la famiglia del boss Francesco “Sandokan” Schiavone, il capo dei Casalesi, mentre l’altra è stata assegnata a un’associazione che si occupa di bambini autistici fondata da un poliziotto, Enzo Abate. A fine marzo Schiavone ha iniziato a collaborare con la giustizia, e prossimamente dovrebbe essere abbattuto quello che Abate chiama «il nostro muro di Berlino».
L’8 e il 9 giugno si vota anche a Castelvetrano, una cittadina di 30mila abitanti in provincia di Trapani, in Sicilia. Saranno le prime elezioni dopo la morte di Matteo Messina Denaro, uno dei boss più importanti della mafia siciliana, latitante per trent’anni fino al 2023. Messina Denaro a Castelvetrano ci nacque nel 1962, cominciò qui la sua attività criminale e continuò a influenzare enormemente la politica e l’economia locale per decenni. Molti in città paragonano queste elezioni a quelle del 1948, le prime dopo la caduta del fascismo.
Nel 2017 il Comune fu commissariato per infiltrazioni mafiose e dopo due anni fu eletto sindaco Enzo Alfano del Movimento 5 Stelle, che è sempre stato molto duro con Messina Denaro. «Auspichiamo che vengano scoperti tutti i complici», ha detto dopo l’arresto del boss, avvenuto il 17 gennaio del 2023 a Palermo. Dopo la sua morte, il 25 settembre del 2023, ha sostenuto che «è la volta buona per dare la spallata definitiva al sistema politico mafioso, all’economia che va a braccetto con il malaffare».
Alfano ora si ripresenta per un secondo mandato, ma poiché il centrosinistra non è riuscito ad accordarsi per sostenerlo in maniera unitaria, il Partito Democratico gli ha contrapposto l’ex segretario provinciale Marco Campagna. Alfano spera di arrivare al ballottaggio, dove potrebbe essere sostenuto da un’ampia alleanza con il PD e con il movimento autonomista e meridionalista Sud chiama Nord, fondato dal sindaco di Messina Cateno De Luca, che a sua volta ha presentato un proprio candidato sindaco. La frammentazione del centrosinistra potrebbe però favorire il candidato del centrodestra Giovanni Lentini che, intervistato da una tv locale, ha detto che «la presenza del boss è stata un alibi per la cattiva amministrazione della città».
In realtà, diverse indagini della magistratura hanno appurato che Messina Denaro condizionò la politica locale anche durante i trent’anni di latitanza, soprattutto attraverso i legami con imprenditori e logge massoniche locali. Lo ha sostenuto anche la Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi, del Partito Democratico. Una relazione presentata prima dello scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, nel 2017, diceva che Castelvetrano era una cittadina «al centro delle dinamiche mafiose della provincia di Trapani» per la «presenza occulta» di Messina Denaro, che nonostante la latitanza «da almeno un ventennio gestisce l’associazione mafiosa e il suo rapportarsi con il territorio secondo regole solidaristiche volte all’acquisizione del consenso degli associati e della società civile». In particolare, secondo la Commissione «l’imprenditoria non è vessata dall’imposizione del pizzo ma riceve l’aiuto economico e il sostegno mafioso offrendo in cambio la titolarità di quote delle imprese».
L’esempio più noto è quello di Giuseppe Grigoli, proprietario di molti supermercati Despar nella Sicilia occidentale e ritenuto un prestanome di Messina Denaro (cioè agiva per suo conto). Nel 2013 gli furono confiscati beni per 700 milioni di euro, tra cui un centro commerciale di 10mila metri quadrati e un hotel, entrambi a Castelvetrano. Il primo è stato riaperto dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati e tuttora ci lavorano 150 persone, il secondo invece avrebbe dovuto essere demolito, ma il Comune ha deciso di ristrutturarlo con cinque milioni di fondi europei. Il sindaco Alfano ha coinvolto nel progetto l’Istituto autonomo case popolari (Iacp) di Trapani, che lo trasformerà in una struttura di «social housing», con «alloggi per i cosiddetti nuovi poveri e un centro di accoglienza giovanile».
L’8 e il 9 giugno si sarebbe dovuto votare anche a San Luca, un paesino calabrese di circa 3.500 abitanti alle pendici dell’Aspromonte che gli ’ndranghetisti definiscono «la mamma», cioè il luogo in cui sono custodite le regole e le tradizioni dell’organizzazione criminale calabrese. Invece i seggi rimarranno chiusi perché non si è candidato nessuno. Il 21 maggio il sindaco Bruno Bartolo, un infermiere in pensione, ha convocato la stampa e i cittadini nella sala del consiglio comunale per spiegare perché ha deciso di non ricandidarsi. «Sono stati cinque anni tremendi, mi sono sentito molto solo, abbandonato», ha detto, innanzitutto dalla Regione Calabria e dal governo.
A San Luca eleggere un sindaco è un’eccezione piuttosto che la regola. Nel 2013 il Comune fu sciolto per infiltrazioni mafiose e fino al 2019 non si riuscì a votare. Quando si presentò una lista, nel 2015, a votare non andò quasi nessuno e le elezioni furono annullate. Nel 2019, invece, per smuovere la situazione arrivò a candidarsi il massmediologo svizzero Klaus Davi, presentando una lista di persone che non erano di San Luca. Per impedirne la vittoria si formò un’altra lista civica chiamata «San Luca ai sanluchesi» con a capo Bruno Bartolo. Ottenne il 90 per cento dei voti e Bartolo fu eletto sindaco.
Ora si è tornati alla situazione vista più volte fino a cinque anni fa. Nessuno, tra i duecento avvocati, ingegneri, medici e altri professionisti che ci sono in paese si è fatto avanti per candidarsi. «C’è rassegnazione», dice Bartolo, ma soprattutto c’è la ’ndrangheta, che in un paese piccolo vuol dire anche «che siamo tutti parenti e sospettabili», e basta poco perché le elezioni vengano invalidate e il Comune venga sciolto per infiltrazioni mafiose. Dal 2000 a oggi, San Luca ha avuto appena tre sindaci ed è stato commissariato complessivamente per undici anni.
Bartolo ha negato di aver ricevuto qualsiasi «condizionamento ’ndranghetistico o malavitoso». «Quella gente sa chi sono, chi siamo, come la penso e come vivo e sa che noi siamo dalla parte opposta della loro», ha detto.
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Tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Ottanta San Luca fu considerato uno dei vertici del cosiddetto «triangolo dei sequestri», insieme a Platì e a Natile di Careri, due comuni vicini e altrettanto piccoli in provincia di Reggio Calabria. In tutto, furono rapite e tenute prigioniere sull’Aspromonte 191 persone. Il 15 agosto del 2007 a Duisburg, in Germania, sei calabresi di San Luca furono uccisi da loro concittadini davanti a un ristorante italiano gestito da emigrati anch’essi di San Luca. Fu l’atto più cruento di una faida tra due famiglie di ’ndrangheta cominciata nel 1991 con uno scherzo di Carnevale di alcuni ragazzi, che lanciarono delle uova contro un circolo gestito da un malavitoso, e che causò negli anni successivi decine di morti. Nel 2016 la Cassazione ha confermato cinque condanne all’ergastolo, che riguardano anche l’assassinio nel 2006 di Maria Strangio, la moglie del boss di San Luca Gianluca Nirta.
Il 21 maggio il sindaco Bartolo ha presentato pure un bilancio del suo mandato. Ha fatto un elenco delle opere pubbliche portate a termine e di quelle «che saranno realizzate». Tra queste c’è la nuova strada che porterà alla madonna di Polsi, dove ora si arriva solo percorrendo una mulattiera che attraversa ponti pericolanti ed è a rischio di frane. Il santuario si trova in una gola sull’Aspromonte, nel territorio di San Luca, ogni anno agli inizi di settembre attira migliaia di fedeli ed è noto anche perché in occasione della festa «i capimafia vi si riuniscono per discutere delle strategie criminali, si fanno le investiture, i processi, si decide se aprire o chiudere una locale di ‘ndrangheta», ha detto il magistrato calabrese Nicola Gratteri, esperto di criminalità organizzata. Per costruire la nuova strada la Regione Calabria ha stanziato 65 milioni di euro.
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