Perché Milano ha bisogno di una norma per essere “salvata”
Le misure “Salva Milano” di cui si parla in questi giorni riguardano la complicata situazione dell'urbanistica in città, bloccata da una serie di inchieste sull'approvazione di nuove costruzioni
Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge presentato dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini e chiamato “salva-casa”, che elimina di fatto la necessità di ottenere autorizzazioni per alcuni piccoli interventi di edilizia (come lo spostamento di tramezzi o l’ampliamento di finestre) e semplifica le procedure per ottenere le certificazioni in caso di cambio di destinazione d’uso degli immobili. Anche se è stato pubblicato da poco in Gazzetta Ufficiale, è già previsto che vengano apportate delle modifiche il cui obiettivo è quello di sbloccare la complicata situazione in cui da diversi mesi si trova Milano.
Da alcuni mesi sono state infatti rese note alcune inchieste della procura di Milano che riguardano i processi di autorizzazione di grossi progetti edilizi, e che hanno causato «un crollo verticale delle pratiche (per la costruzione di nuovi edifici ndr) che va oltre il 50 per cento», come ha spiegato l’assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, con conseguenze «sulle entrate degli oneri di urbanizzazione». Le misure erano ritenute particolarmente urgenti e importanti e per questo inizialmente dovevano essere inserite all’interno del decreto, soprannominato appunto “Salva Milano”.
Qualche giorno fa Salvini ha chiarito che il “Salva Milano” verrà comunque in qualche modo introdotto: «non entro nel merito delle inchieste giudiziarie, però una città come Milano non può fermare le autorizzazioni edilizie, non può fermare lo sviluppo della città», e ha aggiunto che l’intervento secondo lui sarebbe necessario «per aiutare le centinaia di famiglie che vivono oggi in palazzi che non possono essere abbattuti».
Le indagini della magistratura riguardano in particolare progetti di costruzione di palazzi di grandi dimensioni trattati come ristrutturazioni di edifici molto più piccoli, e i permessi rilasciati dagli stessi uffici dell’Urbanistica del comune per poterli costruire. Tra gli indagati ci sono infatti anche alcuni dipendenti dello sportello Urbanistica del comune. Il timore di essere coinvolti nelle vicende giudiziarie aveva portato a febbraio 140 funzionari comunali a scrivere due lettere al sindaco e all’assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi chiedendo di essere trasferiti. In un intervento, il sindaco Beppe Sala si era definito «preoccupatissimo» e Tancredi ha appunto fatto notare come la notizia delle indagini abbia paralizzato in parte i processi di approvazione di altri progetti edilizi.
Le prime inchieste sono partite circa un anno fa, ma si sono intensificate negli ultimi mesi: sono nove quelle note, ma – come hanno detto gli avvocati difensori del comune – sono centinaia le pratiche analoghe e quelle sulle quali si stanno svolgendo le indagini. Il comune si è difeso dicendo che le pratiche sono state svolte in modo corretto, con le stesse modalità di sempre. Sala ha spiegato che: «stiamo parlando dell’interpretazione di una politica che è quella che noi attuiamo da qualche tempo, ritenendo di essere in buona fede, nella legittimità, nel rispetto delle nostre decisioni».
Il problema è che alcuni dei progetti che oggi sono oggetto di indagine – edifici alti anche 80 metri e che possono ospitare centinaia di persone – sono stati infatti autorizzati dagli uffici del comune con una Scia, ovvero un documento di “segnalazione di inizio attività”, che di solito si usa per interventi minori di manutenzione o restauro e che permette di accelerare le procedure burocratiche. La Scia (che può essere Scia semplice e non prevede il pagamento di oneri di urbanizzazione, o Scia in alternativa al permesso di costruire, che prevede comunque il pagamento di oneri di urbanizzazione) è infatti una dichiarazione con cui il costruttore dice di avere tutti i requisiti necessari per poter avviare il cantiere e che consente di iniziare i lavori senza dover attendere verifiche e controlli preliminari (che il comune deve svolgere comunque successivamente per accertarsi che le dichiarazioni corrispondano al vero).
Secondo i pubblici ministeri che si stanno occupando delle indagini, in molte circostanze in cui è stata ritenuta sufficiente la Scia sarebbe servito invece un permesso di costruire, con la valutazione d’impatto sul territorio circostante, “oneri di urbanizzazione” più alti e di una equa “monetizzazione”. Quando in un’area vengono costruiti edifici così grandi, che prevedono l’arrivo di molte persone in più rispetto a quelle che già ci vivono, la proprietà deve pagare al comune una somma per compensare tutte quelle spese che l’amministrazione dovrà sostenere, come parcheggi aggiuntivi, aree verdi e asili per limitare le conseguenze della costruzione sulla zona e non danneggiare chi ci vive.
Il costruttore deve inoltre versare al comune una somma, la cosiddetta “monetizzazione”, per quelle aree all’interno del suo terreno che non ha o non può mettere a disposizione per realizzare queste opere di urbanizzazione. È anche su questo che sta indagando la magistratura, dal momento che sembra che le cifre corrisposte al comune in alcuni casi siano troppo basse rispetto al mercato e abbiano quindi causato un danno alla collettività.
Un caso particolarmente emblematico riguarda le Park Towers di via Crescenzago, a nord di Milano: tre palazzi di 81, 59 e 10 metri (per un totale di 113 appartamenti) la cui costruzione è stata autorizzata dal comune di Milano come “ristrutturazione” di due capannoni a due piani. Nell’ambito dell’inchiesta per abuso edilizio sono indagate sei persone, tra cui anche i funzionari e i dirigenti dell’ufficio del comune che ha approvato il progetto. La costruzione degli edifici, progettati da Bluestone (i cui legali hanno specificato essere «in buona fede»), era stata approvata dal comune con una Scia, ma secondo la procura, e come riporta il Sole 24 Ore, «non si è in presenza di una ristrutturazione» e «non sussiste un piano attuativo urbanistico». Inoltre, secondo i periti consultati dai pubblici ministeri, la monetizzazione era troppo bassa: 1,5 milioni di euro contro una stima di sei milioni.
Oltre a questa ci sono almeno altre otto inchieste, tra cui la Torre di via Stresa, lo Hidden Garden di Isola, la palazzina Liberty di via Crema, il Bosconavigli di San Cristoforo, sempre legate in qualche modo a progetti approvati come ristrutturazioni con una Scia e poi diventati grattacieli o grandi costruzioni per cui si ipotizza un’inadeguata valutazione di impatto o monetizzazione degli oneri di urbanizzazione.