La costruzione del tuffo perfetto
Come si stanno allenando Lorenzo Marsaglia e Andreas Sargent Larsen, due tuffatori italiani che andranno alle Olimpiadi di Parigi di quest'estate assieme alla loro allenatrice Benedetta Molaioli
di Gianluca Cedolin
Tra gli sport che solitamente vengono seguiti di meno, i tuffi riescono molto più di altri a catturare l’attenzione del pubblico, per via della loro spettacolarità che li rende facili da apprezzare anche se non si è esperti. È probabile quindi che chi guarderà le Olimpiadi di Parigi di quest’estate finirà per seguire anche gli otto tuffatori e tuffatrici italiani che parteciperanno: Lorenzo Marsaglia, Giovanni Tocci, Elena Bertocchi, Chiara Pellacani, Sarah Jodoin Di Maria, Maia Biginelli, Riccardo Giovannini e Andreas Sargent Larsen.
In questo momento si stanno allenando assieme al Centro di preparazione olimpica Giulio Onesti di Roma, un complesso sportivo del Coni (il comitato olimpico italiano) con campi e impianti per varie discipline, che viene spesso chiamato anche Acqua Acetosa, dal nome della zona in cui sorge. Nel 2011 qui è stato rinnovato il centro di allenamento per i tuffi, affiancando alla piscina con i trampolini e le piattaforme una palestra con tappeti elastici e tappetoni, una grande piattaforma morbida centrale e una specie di vasca riempita con pezzi di gommapiuma.
Per molti versi i tuffi sono uno sport più simile a discipline non acquatiche, soprattutto nella preparazione e negli allenamenti. «Sono uno sport molto terrestre», dice Benedetta Molaioli, allenatrice di Lorenzo Marsaglia, Andreas Sargent Larsen e della diciannovenne Elisa Pizzini (che non andrà alle Olimpiadi). «Ci sono basi di preparazione fisica simili a quelle della ginnastica artistica». «Anche la parte tecnica viene svolta molto a secco, qui in palestra, dove possiamo costruire le varie parti del tuffo in sicurezza e poi unirle quando “andiamo in acqua” (un’espressione che qui vuol dire passare all’allenamento in piscina). Il tuffo viene sempre scomposto in esercizi più semplici».
Un video dal profilo Instagram di Benedetta Molaioli in cui si vede come gli esercizi fatti fuori dalla piscina contribuiscano alla riuscita del tuffo
Molaioli allena al Circolo Canottieri Aniene, un club polisportivo di Roma in cui sono tesserati Marsaglia, Sargent Larsen e Pizzini. Quando gli atleti vanno in nazionale, solitamente anche i loro allenatori vengono chiamati, e per questo adesso al Centro di preparazione olimpica ci sono i vari tuffatori e tuffatrici con i loro allenatori e allenatrici (il tutto è supervisionato dal direttore tecnico della federazione italiana Oscar Bertone). Come per molti altri sport in cui non esiste il professionismo, anche nei tuffi gli atleti appartengono a forze di polizia o forze armate: Marsaglia fa parte della Marina Militare, Sargent Larsen della Polizia e Pizzini della Guardia di Finanza.
Lorenzo Marsaglia ha 27 anni ed è uno dei più esperti e vincenti tuffatori della nazionale italiana. Nel 2022 agli Europei di Roma vinse la medaglia d’oro nel singolare e quella d’argento nel sincronizzato assieme a Giovanni Tocci, e lo scorso febbraio ha vinto un altro argento nel sincronizzato, sempre con Tocci, ai Mondiali di Doha. In tutti e tre i casi, la specialità era il trampolino dai tre metri. Nelle principali gare internazionali ci si tuffa dal trampolino da un metro, da tre metri e dalla piattaforma da 10 metri. La differenza non sta solo nell’altezza: il trampolino è una tavola flessibile, sulla quale i tuffatori saltano prima del tuffo, guadagnando altezza e velocità, mentre la piattaforma è rigida, non dà una spinta ulteriore allo slancio degli atleti.
Per Marsaglia saranno le seconde Olimpiadi, dopo quelle di Tokyo del 2021. Di recente la nazionale è andata a Parigi ad allenarsi nell’Aquatics Centre, la nuova piscina creata per i Giochi di questa estate: «Ho pensato a quando ci tornerò, mi sono immaginato dove saranno seduti i miei familiari e i miei amici durante la gara. È stato emozionante e utile per visualizzare cosa vedrò quando mi tufferò, per esempio il soffitto è di legno, quindi marrone, e questo ci aiuterà durante le rotazioni». In un tuffo dal trampolino dai tre metri infatti si fanno anche tre o quattro capriole nello spazio di pochissimi secondi, e nel frattempo non è facile distinguere il sopra e il sotto.
«I tuffi all’aperto sono bellissimi, ma in certe piscine l’acqua ha un colore quasi identico a quello del cielo e girando capita di confondersi. Agli Europei di Roma molti sbagliarono per questo motivo», dice Marsaglia, che invece frequenta la piscina del Foro Italico da quando era piccolo e il 20 agosto del 2022 fece una gara quasi perfetta.
Andreas Sargent Larsen ha compiuto da poco 25 anni e quest’estate parteciperà per la prima volta alle Olimpiadi, tuffandosi dalla piattaforma da dieci metri. «Rappresentare l’Italia alle Olimpiadi è una cosa che da piccolo non avrei mai pensato di fare». Sargent Larsen è nato e cresciuto a Copenaghen (da padre danese e madre italiana) e nelle competizioni giovanili gareggiava con la Danimarca. Anni fa aveva deciso di smettere, perché da quelle parti il movimento dei tuffi non è molto strutturato, ma Benedetta Molaioli capì che era un tuffatore promettente e gli propose di allenarsi con l’Aniene. Nel 2018 arrivò in Italia, nel 2019 ottenne la nazionalità sportiva italiana e nel 2022 vinse l’oro europeo a squadre miste dai dieci metri.
«In questo periodo sto lavorando molto sull’entrata in acqua, cioè sul fare meno schizzi possibile, che è la cosa che i giudici guardano di più soprattutto nei tuffi dalla piattaforma». Nelle gare ogni tuffo viene valutato da giudici che assegnano un punteggio da 1 a 10 all’esecuzione, tenendo conto dei vari passaggi come la precisione tecnica e l’eleganza delle evoluzioni e, appunto, la pulizia dell’ingresso in acqua. I voti vengono sommati e il punteggio (dal quale sono tolti il voto più alto e quello più basso, per livellare la valutazione) viene poi moltiplicato per il coefficiente di difficoltà del tuffo, un numero che solitamente va da 1,3 a 3,6, ma che per alcuni tuffi può arrivare anche a 4.
Più il coefficiente è alto, più il tuffo è complicato da eseguire. «Ultimamente il tuffo che mi viene meglio è la verticale», dice Sargent Larsen, riferendosi a quello in cui il tuffatore parte in posizione di verticale, quindi con le mani appoggiate sulla piattaforma e i piedi in aria. È un tuffo che richiede forse ancor più concentrazione degli altri e che non viene eseguito dal trampolino, perché sarebbe impossibile fare la verticale sulla tavola mobile.
Un tuffo con partenza in verticale di Andreas Sargent Larsen
Il tuffo preferito di Marsaglia invece è quello con due salti mortali in avanti e due avvitamenti (gli avvitamenti sono movimenti con cui il tuffatore sostanzialmente si gira di lato mentre è in aria). Non è sempre stato così, però: «Prima mi piaceva di più il rovesciato: il mio nickname di MSN (la vecchia piattaforma di messaggistica istantanea, ndr) era LorenzoRovesciato, perché quando lo imparai a dieci anni ero contentissimo».
Il rovesciato è uno dei quattro tipi principali di tuffo e prevede che il tuffatore salti guardando la piscina ma ruotando all’indietro. Gli altri sono quello in avanti, in cui il tuffatore salta guardando in avanti e ruota in avanti; quello indietro, in cui il tuffatore salta dando le spalle alla piscina e ruota all’indietro; e il ritornato, nel quale il tuffatore salta sempre con la piscina alle spalle, ma ruota in avanti.
In ognuno di questi quattro tipi il tuffatore esegue figure e coreografie (capriole, avvitamenti) e assume posizioni (per esempio quella raggruppata, con gambe e braccia piegate, o quella carpiata, con le gambe e le braccia tese e il corpo piegato ad angolo retto) che contribuiscono in maniera diversa all’aumento del coefficiente di difficoltà. «Una volta il rovesciato mi veniva sempre bene – dice Marsaglia –, poi col tempo è diventato difficile da mantenere, anche perché crescendo sono cambiato fisicamente. Prima pesavo dieci chili di meno, giravo velocissimo ma non riuscivo ad andare dritto, oggi invece sono migliorato tecnicamente, spingo di più sul trampolino e entro meglio in acqua, però faccio più fatica a tuffarmi».
In questo video, il primo tuffo di Lorenzo Marsaglia è rovesciato, mentre il secondo è ritornato
Benedetta Molaioli ha 41 anni e allena Lorenzo Marsaglia praticamente da sempre, da quando lui aveva quindici anni. «I tuffi sono uno sport molto adrenalinico, in cui si fanno cose molto complesse in pochissimi secondi. Mi piace soprattutto l’aspetto della costruzione, della creazione del tuffo con il lavoro quotidiano in allenamento». Da giovane fece la tuffatrice a livello agonistico fino a sedici anni, poi smise e cominciò ad allenare, inizialmente i giovani, come lavoretto pomeridiano mentre studiava economia e management dello sport.
I Mondiali di Roma del 2009 furono per lei il momento decisivo, perché decise di far diventare quell’hobby una carriera. Ci riuscì grazie alla disponibilità del circolo Aniene e alla sua capacità di migliorare i tuffatori: in questi anni, con i podi europei e mondiali dei suoi atleti, si stanno vedendo i risultati del suo lavoro. Sin da giovane, comunque, Molaioli immaginava il suo futuro nello sport. Nell’estate del 2004, a vent’anni, passò le vacanze con un’amica ad Atene per vedere le Olimpiadi dal vivo e otto anni dopo fece lo stesso a Londra. «Nel 2016 avrei avuto la possibilità di andare a Rio De Janeiro, ma quella volta dissi di no e decisi che ci sarei tornata da protagonista, non da spettatrice». Nell’estate del 2021, con un anno di ritardo a causa della pandemia, andò a Tokyo come allenatrice di Lorenzo Marsaglia.
Quest’estate a Parigi oltre a Marsaglia porterà anche Sargent Larsen. «L’obiettivo è fare prestazioni eccellenti e poi capire cosa fanno gli altri: nei tuffi non puoi fare una tattica per far giocare male l’altra squadra, devi solo tuffarti al meglio e poi sperare. Nelle gare individuali vogliamo arrivare in finale», dice l’allenatrice. Sia nel trampolino sia nella piattaforma ci saranno una fase eliminatoria, a cui parteciperanno una trentina di tuffatori, poi la semifinale tra i primi sedici e la finale tra i primi dodici.
Ai tuffi sincronizzati dal trampolino di tre metri, invece, parteciperanno solo le otto coppie migliori al mondo (una per nazionale), tra cui ci sono Marsaglia e Tocci, che sono vicecampioni del mondo in carica. Molaioli e Marsaglia concordano che sarà quasi impossibile battere la coppia cinese composta da Wang Zongyuan e Long Daoyi, medaglia d’oro ai recenti Mondiali di Doha (da tempo la Cina ha i migliori tuffatori e tuffatrici al mondo). Con tutti gli altri avversari invece i due italiani se la giocheranno.
Marsaglia e Tocci col tempo hanno perfezionato la loro intesa, fondamentale per il sincronizzato, una specialità nella quale due atleti si tuffano assieme contemporaneamente e devono fare due tuffi il più possibile uguali tra loro (oltre che, chiaramente, ben eseguiti in sé). «Di solito si parte da una base di partenza comune», spiega Marsaglia: nel formare le coppie, cioè, si scelgono tuffatori con caratteristiche simili. «Il tempo sulla tavola in particolare fa la differenza, perché la prima parte del tuffo è quella più importante da fare assieme e la rincorsa è la cosa più difficile da coordinare». Uno dei tuffatori della coppia conta e dà il tempo di rincorsa e di salto. Tra loro due lo fa Tocci, perché a Marsaglia non piace farlo.
Insieme fanno tre o quattro allenamenti a settimana, con i loro due allenatori (quello di Tocci è Oscar Bertone) che li seguono a bordo piscina. Riguardare i video dei tuffi, già utile nel singolare, è ancora più importante nel sincronizzato. Se i loro stili di rincorsa e di tuffo iniziali erano simili, comunque, negli anni Tocci e Marsaglia hanno dovuto sforzarsi per avvicinarsi ancora di più l’uno all’altro: «Giovanni ha lavorato tanto sulla rotazione per riuscire a girare un po’ più veloce, io invece ho migliorato il molleggio indietro, perché lui spingeva più di me», dice Marsaglia.
Anche Marsaglia, come Sargent Larsen, dice che la cosa che deve sistemare più di tutte è l’entrata in acqua: «Con una bella entrata, dritta e senza schizzi, sei già sicuro di avere un buon voto, soprattutto negli ultimi due tuffi del sincro». Si riferisce al triplo e mezzo ritornato (tre salti mortali e mezzo partendo di spalle alla piscina e ruotando in avanti) e al quadruplo e mezzo avanti (quattro salti mortali in avanti), che saranno i più difficili e quindi anche quelli che potrebbero dar loro più punti. Per allenare l’ingresso in acqua, Marsaglia parte dalle cose più semplici, scomponendo come sempre le varie parti del tuffo e iniziando quasi ogni sessione di allenamento con tuffi senza particolari evoluzioni, in cui provare solo l’entrata in acqua.
Dopo un intenso periodo di gare in giro per il mondo (tra Qatar, Canada, Germania, Cina), in questo periodo a Roma i tuffatori e le tuffatrici della nazionale si allenano quasi sempre mattina e pomeriggio. Ogni sessione prevede una parte fuori dall’acqua e una in acqua: in piscina fanno una quarantina di tuffi al giorno. Sono tanti, soprattutto per chi si tuffa dalla piattaforma: «La cosa più faticosa sono le scale, arrivi su col fiatone», dice Andreas Sargent Larsen, che sembra stia affrontando l’avvicinamento alle sue prime Olimpiadi in modo molto sereno. «Non guardo troppo al futuro, faccio il mio ogni giorno ma non sono di quelli che pensano già a come faranno una gara».
Questa tranquillità lo aiuta a tuffarsi meglio, dice: «Quando mi tuffo mi sento libero, non penso a niente, anche perché più pensi e più paranoie ti possono entrare nella testa. I tuffi sono uno sport in cui bisogna sentirsi a proprio agio. Sei sulla piattaforma da solo, in costume da bagno, con tutti che ti guardano: se non sei a tuo agio rischi di andare nel panico». Non pensare a niente non vuol dire essere deconcentrato, anche perché i tuffatori devono sempre curare ogni gesto, soprattutto per ragioni di sicurezza: «Ogni volta che faccio un tuffo da dieci metri mi viene un po’ di paura, anche se l’ho fatto mille volte. So che posso farmi male, quindi metto sempre la massima attenzione».
Tra le cose pratiche più difficili per un tuffatore c’è il fatto di dover mantenere alta la tensione per tutta la durata della gara, fatta di molti momenti di attesa, per arrivare pronti al proprio tuffo: «Ci sono qualificazioni di cinque, sei ore in cui facciamo un tuffo ogni cinquanta minuti», dice Andreas Sargent Larsen. Anche Lorenzo Marsaglia parla di questo aspetto come complicato da gestire: «Un tuffo dura tre, quattro secondi: considerando che si fanno sei tuffi, la tua gara finisce in una ventina di secondi, nonostante duri magari un’ora in tutto. E alla fine, di solito, vince chi non sbaglia».
Le aspettative su Marsaglia sono alte per via dei recenti risultati positivi, per l’esperienza accumulata, per il fatto che questi sono probabilmente gli anni del suo prime, come viene chiamato spesso il momento migliore della carriera di uno sportivo. Lo sa anche lui: «Fare risultato alle Olimpiadi può definire una carriera, soprattutto nei tuffi che durante le Olimpiadi sono molto seguiti». Anche se le gare sono del tutto simili e si compete quasi con gli stessi avversari, nei tuffi come in altri sport minori Europei e Mondiali non hanno lo stesso valore simbolico dei Giochi olimpici, né un impatto paragonabile sul pubblico.
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