I molti problemi del molo temporaneo costruito dagli Stati Uniti davanti alla Striscia di Gaza
Da qualche giorno è inutilizzabile e secondo molti non è all'altezza degli obiettivi annunciati: breve storia di come si è arrivati fin qui
Il molo temporaneo costruito dall’esercito statunitense davanti alla costa della Striscia di Gaza è diventato inutilizzabile, dopo essere stato operativo per poco più di dieci giorni. Il molo era stato pensato e assemblato per portare aiuti alla popolazione palestinese e alleviare la grave crisi umanitaria provocata da circa otto mesi di bombardamenti e operazioni militari di Israele. A causa di ritardi nella costruzione, problemi logistici, di sicurezza, di ostruzionismo da parte di Israele e a causa anche delle condizioni meteorologiche poco favorevoli il molo non è stato all’altezza degli obiettivi attesi né, secondo quanto scrive l’agenzia di stampa Associated Press, delle spese affrontate per costruirlo: 320 milioni di dollari, quasi 300 milioni di euro.
La costruzione del molo era stata annunciata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden lo scorso 7 marzo. Biden ne aveva parlato come di una missione di «emergenza» per aiutare la popolazione della Striscia di Gaza, ma aveva anche detto che Israele avrebbe dovuto «fare la sua parte», «consentire l’arrivo di più aiuti a Gaza, e garantire che gli operatori umanitari non finiscano nel fuoco incrociato». Il giorno dopo il generale Patrick S. Ryder, portavoce del Pentagono, il ministero della Difesa statunitense, aveva detto ai giornalisti che ci sarebbero voluti «fino a 60 giorni» per completare il progetto di cui, fin da subito, erano stati evidenziati gli aspetti più critici: il tempo, innanzitutto, dato che la situazione a Gaza era ed è tuttora al collasso; problemi logistici e di sicurezza, per la mancanza di un’organizzazione che potesse garantire una ordinata distribuzione degli aiuti; e, infine, l’ostruzionismo di Israele.
Il 12 marzo quattro navi militari dell’esercito statunitense erano partite dalla Virginia verso la Striscia di Gaza per trasportare le attrezzature necessarie alla costruzione del molo. Il progetto prevedeva una grande piattaforma galleggiante ancorata al largo della Striscia e il molo vero e proprio collegato direttamente alla costa con una lunga passerella fatta in modo che i camion potessero transitarci sopra. La base delle operazioni era stata stabilita a Cipro, per motivi di vicinanza geografica. Da Cipro, dunque, gli aiuti umanitari sarebbero dovuti arrivare tramite grandi navi da carico, essere scaricati sulla piattaforma e caricati su navi militari più piccole per il trasporto al molo ancorato alla costa. Da lì, tramite altri camion sarebbero dovuti arrivare sulla terraferma per essere consegnati alla missione del Programma alimentare mondiale dell’ONU e poi distribuiti alla popolazione palestinese.
Dopo alcuni ritardi dovuti alla condizione del mare, il 25 aprile Ryder aveva annunciato l’inizio delle operazioni di assemblaggio sia del molo temporaneo galleggiante che della passerella al largo della costa settentrionale di Gaza. Ryder aveva ipotizzato che la consegna degli aiuti sarebbe potuta iniziare già all’inizio di maggio. Aveva anche detto che le consegne avrebbero riempito inizialmente circa 90 camion al giorno per poi aumentare fino a circa 150 camion al giorno.
Il 9 maggio la prima nave statunitense carica di aiuti aveva lasciato Cipro per dirigersi verso Gaza e poi al molo la cui costruzione era terminata, oltre i 60 giorni previsti, il 16 maggio. Il giorno dopo erano stati sbarcati a Gaza i primi aiuti: barrette nutrizionali per 11 mila persone, alimenti terapeutici per 7.200 minori malnutriti e kit per l’igiene personale per 30 mila persone. Le prime limitate consegne alla popolazione erano state fatte solo tra il 19 e il 20 maggio a causa di alcune difficoltà logistiche che le avevano fino a quel momento impedite: la carenza di autisti e carburante nella Striscia, il rallentamento causato dalle ispezioni delle autorità israeliane sia a Cipro che a Gaza, le operazioni militari in corso e la disperazione della popolazione che aveva assaltato alcuni camion carichi di aiuti prima che fossero distribuiti dalle organizzazioni umanitarie.
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Il 21 maggio Ryder aveva detto che tonnellate e tonnellate di aiuti arrivati attraverso il molo non erano state distribuite alla popolazione e l’agenzia delle Nazioni Unite responsabile per i rifugiati palestinesi, l’UNRWA, aveva annunciato la sospensione della distribuzione di cibo a Rafah, città nel sud della Striscia di Gaza da settimane assediata dall’esercito israeliano, citando la mancanza di rifornimenti da distribuire e di sicurezza. Il portavoce delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric aveva aggiunto che il centro di distribuzione dell’UNRWA e i magazzini del Programma alimentare mondiale (WFP) delle Nazioni Unite a Rafah erano «inaccessibili a causa delle operazioni militari in corso». E l’UNRWA aveva anche dichiarato che il progetto del molo sarebbe fallito a meno che Israele non avesse iniziato a garantire le condizioni di cui i gruppi umanitari avevano bisogno per operare in sicurezza.
Domenica 26 maggio il vento e le forti mareggiate hanno danneggiato la piattaforma galleggiante e scollegato il molo dalla costa. Per gli stessi motivi alcune navi statunitensi cariche di aiuti si sono arenate. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che parti della strada rialzata collegata alla spiaggia di Gaza e parti della piattaforma sono state portate in un porto nel sud di Israele per essere riparate: saranno reinstallate tornando a funzionare di nuovo la prossima settimana.
Secondo le prime stime del Pentagono il molo avrebbe dovuto portare, in piena attività, fino a 150 camion carichi di aiuti al giorno, ma questi numeri non sono mai stati raggiunti. Da subito, comunque, era stato chiarito che il molo temporaneo avrebbe sì permesso di aumentare gli aiuti alla popolazione palestinese, ma anche che non sarebbero stati sufficienti: prima dell’inizio della guerra a Gaza entravano via terra circa 500 camion al giorno di generi alimentari e altri beni.
Ora, secondo l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, sarebbe necessario un flusso costante di 600 camion al giorno per salvare le persone dall’orlo della carestia. «Sin dall’inizio nessuno ha detto che sarebbe stata una panacea per tutti i problemi di assistenza umanitaria che ancora esistono a Gaza», ha detto ieri il portavoce della sicurezza nazionale statunitense John Kirby: «Sapevamo che sarebbe stata dura. E si è dimostrata dura».
I gruppi umanitari hanno avuto reazioni contrastanti rispetto al progetto del molo: l’hanno accolto favorevolmente sottolineando però come potesse rappresentare una distrazione rispetto all’obiettivo prioritario, e cioè fare pressione su Israele per aprire più varchi di frontiera che, secondo le Nazioni Unite, restano il modo più efficiente per portare aiuti umanitari nella Striscia. Ora la maggior parte degli aiuti entra attraverso due varchi nel sud di Gaza, uno dall’Egitto, a Rafah, e uno da Israele, a Kerem Shalom: sono comunque limitati e insufficienti anche a causa dell’ostruzionismo israeliano.