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  • Mercoledì 29 maggio 2024

Si vota in Sudafrica, il partito che fu di Mandela rischia di perdere la maggioranza assoluta

L'African National Congress potrebbe non governare da solo per la prima volta dalla fine dell'apartheid, pagando scandali e crisi che vanno avanti da tempo

Volontari dell'African National Congress (AP Photo/Jerome Delay)
Volontari dell'African National Congress (AP Photo/Jerome Delay)
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Negli ultimi trent’anni, cioè da dopo la fine dell’apartheid, in cui la società era ufficialmente e formalmente segregata su base etnica, la politica del Sudafrica è stata dominata dall’African National Congress (ANC), il partito che fu di Nelson Mandela. Dal 1994 e in sei diverse elezioni, l’ANC non ha solamente sempre vinto, ma ha anche sempre ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, che gli ha permesso di governare da solo. Mercoledì si vota per rinnovare i 400 seggi del parlamento e probabilmente per la prima volta il partito non supererà il 50 per cento dei voti (viene dato a poco più del 40 per cento): per governare dovrà cercare un’alleanza con un’altra forza politica.

Sarà un momento importante nella storia politica del Sudafrica, anche perché è possibile che l’ANC, il cui presidente oggi è Cyril Ramaphosa, dovrà cercare il sostegno di un partito di medie dimensioni. Il suo potere decisionale, e il suo margine di manovra una volta al governo, saranno quindi limitati dalla volontà di un altro partito, che più sarà grande e rilevante e più potrà condizionare le politiche nazionali.

Il malcontento della popolazione sudafricana nei confronti dell’ANC è molto aumentato negli ultimi anni, a causa delle grosse difficoltà che il partito ha avuto su vari temi: dalla gestione della criminalità agli scandali di corruzione, dall’economia alla fornitura dei servizi di base ai cittadini. Dopo aver goduto a lungo di un sostegno diffuso frutto del suo ruolo centrale nel superamento del regime di segregazione razziale, nelle ultime elezioni del 2019 l’ANC vinse con il 57,5 per cento dei voti, confermando un calo costante iniziato dopo il 2004, quando ottenne il suo risultato migliore (76 per cento).

Un manifesto elettorale dell’ex presidente Jacob Zuma (AP Photo/Emilio Morenatti)

Il Sudafrica è un paese dalle grandissime diseguaglianze sociali ed economiche, in cui oltre un terzo della popolazione è senza lavoro: la pandemia da coronavirus ha peggiorato una situazione già critica, e l’economia si è contratta, aumentando di 2 milioni la quota di persone sotto la soglia di povertà (su 62 milioni complessivi).

Le vecchie centrali elettriche a carbone non sono sufficienti a rispondere a una crescente domanda di elettricità e ci sono frequenti blackout, lo stato di strade e infrastrutture è pessimo e in continuo peggioramento. Circa il 40 per cento dell’acqua potabile si perde prima di arrivare a destinazione lungo le rete idrica, mentre la crisi della società nazionale di trasporti Transnet, che controlla treni merci e porti, sta limitando anche le esportazioni di materie prime.

Ogni giorno oltre 80 persone muoiono per crimini violenti e il numero di omicidi rispetto alla popolazione è cinque volte superiore alla media mondiale: alcune parti del paese e soprattutto delle grandi città sono controllate da bande criminali.

A questi problemi si aggiungono frequenti casi di corruzione: meno di due anni fa lo stesso presidente Ramaphosa evitò per pochi voti di finire sotto impeachment per uno scandalo legato alla sua azienda agricola: era accusato di non aver denunciato un furto di denaro di provenienza dubbia.

Tutti questi fattori hanno portato il sostegno per l’ANC nei sondaggi a scendere fino al 40 per cento: nelle ultime settimane sembra essere leggermente risalito, grazie all’approvazione di alcune misure popolari volute da Ramaphosa, come la proposta di un reddito di cittadinanza e una legge per una assicurazione sanitaria nazionale per tutti, su cui però non sono stati forniti molti dettagli, né indicazioni sulle coperture economiche. I sondaggisti indicano che circa un terzo degli elettori sarebbe ancora indeciso. Gli elettori possono scegliere tra 70 partiti, più alcuni candidati che si presentano come indipendenti.

In Sudafrica il presidente non è eletto direttamente dai cittadini, ma dai 400 parlamentari, a loro volta scelti con un metodo proporzionale puro. Nelle precedenti sei elezioni, in cui l’ANC aveva sempre ottenuto la maggioranza assoluta, era stato eletto presidente il leader del partito. In questa occasione molto dipenderà da quanto il risultato dell’ANC sarà lontano dal 50 per cento dei voti: un calo molto consistente potrebbe mettere in discussione la stessa leadership di Ramaphosa.

Più probabilmente il presidente otterrà un nuovo mandato, ma dovrà fare alcune concessioni, compreso qualche ruolo nel governo a uno dei partiti “minori”. Sarebbero più semplici con partiti più piccoli e dal sostegno molto locale, come l’Inkatha Freedom Party, che rappresenta le istanze del gruppo etnico zulu, o il partito musulmano Al Jama-ah.

Saranno invece necessarie trattative più complesse per trovare l’appoggio di forze politiche più popolari, come l’Alleanza Democratica di John Steenhuisen, di ispirazione liberista e sostenuta soprattutto dalla minoranza dei bianchi, o il movimento populista di sinistra Economic Freedom Fighters. Il primo secondo i sondaggi dovrebbe prendere circa il 18 per cento dei voti, il secondo l’11 per cento.

Julius Malema, leader dell’Economic Freedom Fighters (AP Photo/Themba Hadebe)

L’Economic Freedom Fighters è guidato da Julius Malema, in passato leader della sezione giovanile dell’ANC, diventato noto per le posizioni estreme contro i bianchi. Fu espulso nel 2011 dal partito per incitamento all’odio, fu coinvolto anche in vari scandali di corruzione e accusato di minacce ai giornalisti. Alle elezioni del 2019 il movimento da lui fondato nel 2012 superò il 10 per cento, e lo scorso anno Malema fu tra chi chiese le dimissioni di Ramaphosa. Un’alleanza fra le due formazioni, anche se possibile, non darebbe grandi certezze di stabilità alla politica nazionale.

Meno probabile è ipotizzare un accordo con l’altra formazione rivale dell’ANC, il uMkhonto weSizwe (“lancia della nazione”, abbreviato in MK), un partito di recente fondazione che prende il nome da quello del braccio armato dell’ANC, quando il movimento di liberazione combatteva contro il regime dell’apartheid.

MK è guidato dall’82enne ex presidente del Sudafrica Jacob Zuma, espulso a gennaio proprio dall’ANC: un mese prima Zuma aveva criticato a sorpresa il suo partito, accusandolo di aver perso la necessaria radicalità, e aveva annunciato il sostegno all’MK. Alla base della rottura ci sarebbe soprattutto una forte rivalità personale proprio con Ramaphosa. Zuma non potrà essere eletto in parlamento, ma il suo nome resterà sulle schede elettorali: lo ha deciso la Corte costituzionale del Sudafrica a causa di una vecchia condanna a 15 mesi di prigione. Nel programma dell’MK ci sono la nazionalizzazione di miniere e banche, l’aumento del potere dei leader tribali e l’università gratuita per tutti.

(AP Photo/Themba Hadebe)

Le alleanze dovranno essere comunque quasi immediate: la Costituzione sudafricana prevede infatti che il parlamento debba riunirsi per eleggere il presidente entro 14 giorni dai risultati definitivi delle elezioni, che dovrebbero arrivare domenica.

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