Forse le emoji sono molto più vecchie di quanto pensiamo

Un programmatore ne ha scoperte all’interno di computer messi in vendita anni prima del 1999, data a cui convenzionalmente si fanno risalire le prime

Alcune delle emoji disponibili sull'agenda elettronica Sharp PI-4000, del 1994 (Matt Sephton)
Alcune delle emoji disponibili sull'agenda elettronica Sharp PI-4000, del 1994 (Matt Sephton)
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Da anni viene dato per assodato che le emoji – le piccole icone che raffigurano oggetti, animali o faccine, incorporate ormai in gran parte dei sistemi operativi in uso – siano state introdotte per la prima volta da un gruppo di grafici di una società di telefonia giapponese nel 1999. È un fatto citato da enciclopedie autorevoli come Treccani, da libri dedicati al tema come The secret lives of emoji di Matt Alt e pure da vari articoli pubblicati in passato sul Post.

Di recente, però, il programmatore statunitense Matt Sephton, appassionato sia di emoji che di retrocomputing (ovvero l’atto di recuperare e far funzionare di nuovo computer di vecchie generazioni), ha pubblicato un lungo post in cui racconta di aver trovato simboli in tutto e per tutto assimilabili alle emoji all’interno di computer, palmari e agende digitali messi in vendita molto prima del 1999. A seconda di dove si preferisce tracciare il confine tra ciò che può essere definito emoji o meno, scrive Sephton, le prime emoji potrebbero risalire infatti addirittura al 1959.

La parola emoji deriva dal giapponese (絵文字) ed è composta da due parole che significano “immagine” (e) e “lettera” (moji). Non va confusa con la parola emoticon, a cui viene spesso associata e che è formata dalle parole inglesi “emozione” (emotion) e “icona” (icon). L’invenzione delle emoticon – la riproduzione di espressioni facciali tramite la combinazione di caratteri testuali – è spesso attribuita a Scott Fahlman, un informatico della Carnegie Mellon University in Pennsylvania. Nel 1982, dopo aver notato che sulle prime bacheche online dell’università era facile non cogliere il sarcasmo, per evitare che si creassero malintesi Fahlman suggerì a colleghi e colleghe di aggiungere alle frasi un “:-)” o “:-(” per esplicitare il tono del messaggio.

La storia delle emoji è molto diversa, e proviene dal Giappone. Secondo la ricostruzione più diffusa, nel 1999 l’operatore telefonico giapponese NTT DOCOMO mise a disposizione dei propri clienti 176 icone (di 12×12 pixel) disegnate dal gruppo di grafici guidato da Shigetaka Kurita. Le emoji di NTT DOCOMO furono subito un successo in Giappone e furono adottate in breve anche dalle altre compagnie telefoniche. Soltanto anni più tardi cominciarono a diffondersi nel resto del mondo, soprattutto grazie all’introduzione delle prime emoji sui dispositivi iOS di Apple nel 2008. Oggi esistono più di 1800 emoji approvate dal consorzio Unicode, l’organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di mantenere un sistema comune standard per la scrittura dei caratteri sui sistemi informatici.

Il set di emoji di NTT DOCOMO nel 1999

Secondo la piccola ricerca personale di Sephton, che ha coinvolto nel corso di varie settimane altri amanti della tecnologia vintage giapponese, nel paese prima del 1999 erano però esistiti vari altri computer che mettevano a disposizione degli utenti delle emoji, anche se magari non le chiamavano proprio così.

«Durante una ricerca personale sui software vintage per disegnare in Giappone, mi sono imbattuto in alcuni dispositivi che integravano funzioni che permettevano di fare degli schizzi a mano libera o di scriversi alcuni promemoria», ha raccontato il programmatore. «Quindi ne ho comprati un paio per vedere se facevano qualcosa di divertente o interessante. Stiamo parlando di dispositivi che venivano usati prima della diffusione di Internet (…) e quindi è difficile trovarne di funzionanti, ma è comunque possibile farlo con un po’ di fortuna».

Il primo dispositivo acquistato da Sephton è stata un’agenda digitale (una sorta di computer palmare) risalente al 1994, lo Sharp PI-4000, simile ai Newton MessagePad messi in vendita da Apple nello stesso periodo. Lo Sharp PI-4000 conteneva una funzione che permetteva all’utente di scriversi delle note, come fanno oggi molti smartphone: al suo interno, Sephton ci ha trovato delle icone prestabilite fatte apposta per essere inserite all’interno di una linea di testo, in modo del tutto simile a come faremmo oggi con le emoji. Alcune erano peraltro anche un po’ più complesse, da un punto di vista grafico, rispetto a quelle disegnate dal gruppo di Kurita nel 1999.

Una foto delle emoji disponibili su Sharp PI-4000, fatta da Sephton

A partire da questa scoperta, Sephton ha cominciato a cercare altri casi di vecchi computer giapponesi in cui fosse possibile includere simboli e icone raffiguranti specifici oggetti, faccine o animali all’interno di un testo più ampio. E ha fatto delle scoperte ancora più interessanti: i palmari NEC PI-ET1, Panasonic FW-U1S50 e Sharp WD-A521 messi in vendita nel 1990, per esempio, contenevano già simboli simili a quelli poi presenti sul dispositivo Sharp del 1994, così come il PA-8500, del 1988.

Ancora prima, in un set di caratteri creato nel 1959 per agevolare le comunicazioni tra i giornali giapponesi era stato incluso il simbolo di una palla da baseball, non troppo diversa dall’emoji che usiamo oggi per lo stesso oggetto. Un libro di tipografia giapponese del 1965 includeva il simbolo di una luna piena con una faccina sorridente mentre nei tardi anni Settanta vari set di caratteri installati nei computer fissi giapponesi includevano simboli che rappresentavano dischi volanti, automobili, serpenti, faccine sorridenti.

Le emoji disponibili sul dispositivo NEC PI-ET1 (1990)

Verso la metà degli anni Novanta in Giappone cominciarono a diffondersi i primi modelli di telefoni cellulari mobili, con cui telefonare e mandare messaggi: la teoria di Sephton è che si parli molto delle emoji di NTT DOCOMO perché siamo abituati a pensare alle emoji soltanto nel contesto del telefoni e oggi degli smartphone, escludendo quindi simboli molto simili presenti su dispositivi di tipo diverso.

«Cosa significa tutto questo? Prima di tutto che la storia delle emoji non è definita quanto pensassimo. Potete decidere voi quale pensate che sia la prima emoji “vera e propria”, dipende dalla vostra definizione personale», scrive il programmatore. «Personalmente, definisco la data di inizio degli emoji come il momento in cui i set di questi simboli sono apparsi per la prima volta con l’intenzione di usarli nella composizione di un testo. Non penso che la cronologia dovrebbe iniziare dai telefoni cellulari: mi sembra una decisione un po’ arbitraria che ignora gran parte della storia. È come dire che la musica ha cominciato a esistere solo dal momento in cui è stato possibile registrarla e ascoltarla senza la presenza dei musicisti stessi».

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