Benetton non sarà più gestita dai Benetton

Come annunciato, Luciano Benetton si è dimesso da presidente dell'azienda, e nel nuovo consiglio di amministrazione che sarà presentato a giugno non ci sarà più alcun membro della famiglia

Luciano Benetton davanti al negozio del marchio ad Amburgo, nel 2000 (Ansa)
Luciano Benetton davanti al negozio del marchio ad Amburgo, nel 2000 (Ansa)

Nel consiglio di amministrazione di martedì dell’azienda di abbigliamento Benetton Group, più conosciuta semplicemente come Benetton, è stato approvato il bilancio del 2023, che ha segnalato una perdita operativa (dunque legata solo al business dell’azienda) di 113 milioni di euro, e una perdita complessiva di 230 milioni di euro. Che ci sarebbe stata una perdita significativa lo aveva già annunciato sabato il cofondatore e presidente del gruppo Benetton, Luciano Benetton, in un’intervista molto commentata data al Corriere della Sera, in cui accusava l’attuale dirigenza di essere responsabile dei problemi di un’azienda che un tempo andava bene. Senza farne mai il nome Benetton aveva molto criticato l’attuale amministratore delegato, Massimo Renon, di cui nella riunione di ieri è stata annunciata la sostituzione con Claudio Sforza, un importante manager che ha lavorato in varie aziende pubbliche e private, come Poste, Wind e l’ex Ilva.

Nell’intervista Benetton aveva anche annunciato di volersi dimettere da presidente dell’azienda, cosa che poi effettivamente ha fatto nel consiglio di amministrazione di martedì: era stato presidente del gruppo fino al 2012 e aveva poi lasciato per un periodo, riprendendo l’incarico nel 2018. Era rimasto l’unico membro della famiglia ad avere una posizione di vertice nell’azienda, insieme ad altri che erano nel consiglio di amministrazione. Nel nuovo consiglio di amministrazione, che sarà presentato a metà giugno all’assemblea degli azionisti, salvo sorprese non ci sarà più alcun membro della famiglia, solo manager esterni: è un fatto piuttosto eccezionale per un’azienda italiana storica come Benetton, diventata famosa nel mondo anche per il fatto che è sempre stata un’azienda di famiglia.

La famiglia Benetton avrà comunque un ruolo nel futuro della società, anche se non nella gestione diretta. I Benetton sono infatti proprietari di Edizione, la holding che comprende tutte le società della famiglia, compresa Benetton Group, ma che si occupa di molte altre attività oltre all’abbigliamento: le aziende della moda sono solo una quota marginale di quelle del gruppo, e valgono solo il 2 per cento del totale delle aziende controllate da Edizione. La holding, secondo quanto riferiscono giornali e agenzie di stampa, starebbe già lavorando a un piano per garantire all’azienda i fondi necessari per gestire la grave crisi in cui si trova. Da Benetton Group dipendono 6mila posti di lavoro in tutto il mondo, di cui più di mille solo in Italia.

La crisi di Benetton in ogni caso ha un’origine strutturale ed è nota da tempo. Oltre ad aver risentito di tutte le vicende che hanno colpito tutte le aziende italiane negli ultimi anni – dalla crisi economica del 2008, alla pandemia e alle guerre in Ucraina e a Gaza, che hanno limitato molto gli affari – Benetton non si è mai saputa adeguare a un mercato della moda che ultimamente è molto cambiato.

L’azienda ha fondato gran parte del suo successo nell’essere un marchio di fast fashion, che dunque vendeva prodotti accessibili per il consumo di massa, prima ancora che questa definizione esistesse (Benetton cominciò a lavorare nel settore negli anni Cinquanta), ma non ha mai davvero retto la concorrenza con altre grosse società del settore, come Inditex, società proprietaria di Zara che ormai domina il mercato italiano della fast fashion, e H&M. In undici anni il suo fatturato, quindi le sue vendite, si è dimezzato: nel 2012 valeva 2 miliardi di euro, mentre nel bilancio appena approvato era pari a poco più di un miliardo.

Benetton ha anche risentito della crisi reputazionale che ha colpito la famiglia a seguito del crollo nel 2018 del viadotto Polcevera a Genova, anche noto come Ponte Morandi: Edizione controllava tra le altre cose Autostrade per l’Italia, la società che si occupava della gestione e della manutenzione del ponte (che nel 2022 è stata poi venduta a Cassa Depositi e Prestiti), ed era anche membro del consiglio di amministrazione dell’azienda. Fin da subito erano emerse criticità nella manutenzione del ponte, e sono state rilasciate alcune testimonianze secondo cui i problemi nella struttura erano noti ad alcuni membri della famiglia e del management di Edizione.

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