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  • Mercoledì 29 maggio 2024

Le ragazze stanno peggio

Nei servizi di assistenza psichiatrica le adolescenti sono aumentate dopo la pandemia, superando i ragazzi e stimolando alcune riflessioni sulle differenze di genere nella salute mentale

(Anthony Devlin/Getty Images)
(Anthony Devlin/Getty Images)
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Negli anni successivi alla pandemia chi lavora nei servizi che si occupano di salute mentale degli adolescenti ha segnalato un aumento del numero di casi gravi. È un fenomeno di cui si parla da tempo e che era stato in parte previsto: l’ansia dei contagi, i lockdown ripetuti e l’isolamento sociale prolungato hanno infatti avuto un effetto traumatico sulle persone che in quegli anni stavano vivendo il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, cioè il momento in cui si definisce la propria identità e si intessono le prime relazioni sociali in autonomia.

All’interno di questo fenomeno c’è un aspetto che è stato però forse meno notato e discusso, è cioè che il numero di ragazze adolescenti che manifestano disagi gravi a livello psichiatrico – soprattutto disturbi alimentari, comportamenti autolesionistici e tendenze suicidarie – è aumentato più di quello dei ragazzi. È una cosa che è stata notata da chi lavora nel settore e recentemente confermata da alcuni dati: non è facile spiegarla, ma ci sono diversi fattori che possono aver contribuito e che stanno portando a importanti riflessioni sull’impatto delle differenze di genere, soprattutto a livello culturale, sulla salute mentale.

In Italia non esiste un monitoraggio nazionale degli accessi ai servizi della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (che per brevità da qui in poi chiameremo NPIA), cioè la branca della medicina che si occupa dello sviluppo neuropsichico di tutte le persone dalla nascita fino ai 18 anni. L’aumento dei casi femminili, che era stato notato da alcuni specialisti negli anni dopo la pandemia, è emerso in modo molto evidente da un rapporto uscito a maggio che analizza tutti gli accessi ai servizi di NPIA in Lombardia dal 2015 al 2022. Tutti i grafici mostrano un crollo degli accessi a questi servizi nel 2020, per via delle chiusure dovute alle restrizioni, ed è interessante vedere come sono cambiati i numeri tra prima e dopo.

Il report tiene conto degli accessi a diversi servizi (da quelli ambulatoriali al pronto soccorso, dai ricoveri alle prescrizioni di farmaci) e dice che «l’andamento della prevalenza in base al genere evidenzia cambiamenti marcati tra epoca pre e post-pandemica in tutti i flussi analizzati, con un’inversione tra genere maschile e femminile». Non si può dire se lo stesso fenomeno sia confermato anche in altre regioni e a livello nazionale, ma la Lombardia è una regione abbastanza rappresentativa perché è una di quelle in cui le risposte ai minorenni con disturbi mentali sono tra le più estese e strutturate in Italia.

Per esempio tra i minori a cui è stata fatta una prescrizione di psicofarmaci, l’inversione nella prevalenza di genere è particolarmente evidente: nel 2015 i ragazzi erano circa 7 su mille e le ragazze circa 6 su mille, mentre nel 2022 i ragazzi sono diventati 9,48 su mille e le ragazze 10,92 su mille. I numeri degli accessi al pronto soccorso per disturbi psichiatrici invece mostrano che tra il 2015 e il 2020 maschi e femmine erano quasi pari, ma poi le femmine sono aumentate di più, arrivando nel 2022 a 9,71 su mille (contro 8,86 su mille dei maschi).

Il dato forse più impressionante è quello che riguarda i minorenni che hanno avuto almeno un ricovero in ospedale per motivi di salute mentale. Fino al 2019 i maschi erano leggermente più delle femmine (1,55 su mille contro 1,4 su mille): dopo la pandemia il rapporto non si è solo invertito, ma il dato femminile ha superato molto quello maschile (più di 2 su mille contro 1,4 su mille). Anche per quanto riguarda l’accesso a strutture residenziali in cui i giovani pazienti vengono ospitati per scopi terapeutici, ragazzi e ragazze sono rimasti più o meno pari fino al 2021, ma nel 2022 c’è stato un grosso scarto: le ragazze sono diventate 316 (da 85 nel 2015), mentre i ragazzi 215 (da 110 nel 2015). Le ragazze non hanno invece superato i ragazzi nel numero di accessi ai servizi ambulatoriali, ma il divario è diminuito.

La questione di genere che emerge da questi dati è abbastanza in linea con un fenomeno che era già stato osservato, e cioè l’aumento, dopo la pandemia, dei ricoveri per disturbi del comportamento alimentare, condotte autolesionistiche e tendenze suicidarie: sono tutte cose che derivano solitamente da disturbi dell’umore e depressione, che colpiscono tipicamente più le donne degli uomini. «Le femmine soffrono di più? Chiedono più aiuto?», si chiede Elisa Fazzi, presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza: «trovare delle risposte a queste domande non è per niente facile».

Alcune cose su come il disagio mentale si manifesta in modo diverso tra ragazze e ragazzi però sono state osservate. «In generale viene da dire che le ragazze chiedono aiuto e manifestano le proprie sofferenze più facilmente, mentre i ragazzi tendono a negare o a esternare il loro disagio con comportamenti più aggressivi o di ricerca dello sballo», spiega Fazzi. «Sicuramente durante la pandemia e nel periodo appena dopo, risse e altri comportamenti aggressivi erano limitati dalle restrizioni e dal coprifuoco. L’abbiamo notato anche in ospedale: c’erano ragazze, ma i ragazzi erano pochissimi».

Fazzi fa notare come i ragazzi tendano a vivere eventuali sofferenze in modo più solitario delle ragazze, che sono invece più trasparenti e suscitano forse anche più senso di protezione nella famiglia, che è quindi più portata ad attivarsi per farle curare. Una manifestazione di disagio che da alcuni anni si è diffusa soprattutto tra i ragazzi è quella dei cosiddetti hikikomori, che prevede una forma quasi totale di ritiro sociale e che si è diffusa negli ultimi anni. In un episodio del podcast del Post Sigmund, Matteo Lancini, presidente della fondazione Minotauro di Milano, che si occupa di psicoterapia per adolescenti e giovani adulti, ha parlato del comportamento degli hikikomori come della versione maschile dei disturbi alimentari, che come dicevamo riguardano invece più spesso le ragazze. Non è da escludere quindi che c’entri anche il fatto che i sintomi di malessere nelle ragazze siano più evidenti e percepiti come più urgenti rispetto a quelli dei ragazzi.

Per quanto riguarda i disturbi alimentari poi il lockdown ha avuto in molti casi un effetto estremamente dannoso. «Erano giorni in cui si parlava solo di cibo, si mangiava sempre tutti insieme a casa (l’unica attività fuori di casa era fare la spesa, in casa si cucinava per passare il tempo, ndr): per le ragazze con problemi legati all’alimentazione è stato devastante», dice Fazzi.

Un’altra cosa che viene citata nel rapporto e confermata da Fazzi è che negli ultimi anni si è diffusa una maggiore consapevolezza rispetto a come certe condizioni neurologiche, come i disturbi dell’attenzione e l’autismo ad alto funzionamento (cioè quello che comporta una difficoltà nella comunicazione e nella relazione, ma non un ritardo cognitivo o di linguaggio), si manifestano in modo diverso nei maschi e nelle femmine. Per lungo tempo si è pensato che fossero semplicemente condizioni più presenti nei primi che nelle seconde, ma recentemente si è cominciato a ipotizzare che le femmine fossero solo meno diagnosticate. Questo dipende sia dal fatto che culturalmente le bambine sono più spinte ad adattarsi e a comportarsi in modo socialmente accettabile, e quindi a camuffare le proprie difficoltà, sia dal fatto che la maggior parte degli studi scientifici sul tema si è concentrata su pazienti di genere maschile, rendendo più difficile diagnosticare le pazienti femmine.

«Dei disturbi dell’attenzione e dello spettro autistico la letteratura ha sempre detto che sono più frequenti nei maschi, ma ora cominciamo a scoprire che ragazze che arrivano da noi con anoressia o depressione, se vai a cercare bene, magari hanno disturbi nelle relazioni e nella comunicazione, che sono più celate e mitigate dal ruolo sociale della bambina, mentre nel maschio sono più clamorosi», spiega Fazzi. «È una nuova frontiera delle diagnosi: ora vediamo disturbi che prima non sarebbero mai arrivati all’osservazione degli specialisti».

Questo si lega, più in generale, al fatto che la convinzione secondo cui i disturbi mentali comincerebbero a manifestarsi durante l’adolescenza sta cominciando a essere messa in discussione. Vale sicuramente ancora per alcune patologie, come la schizofrenia, ma gli specialisti sono sempre più convinti del fatto che la maggior parte dei disturbi che si manifestano in adolescenza derivi da problemi di altro tipo già presenti durante l’infanzia ma «malcelati o poco individuati».

Riprendendo i disturbi di cui abbiamo parlato fin qui: non è raro che a ragazze che arrivano in ospedale con disturbi del comportamento alimentare o depressione vengano diagnosticate forme di autismo o disturbo dell’attenzione rimaste latenti per tutta l’infanzia e sfociate in forme di sofferenza gravi una volta raggiunta l’età in cui le difficoltà di comunicazione e relazione diventano più evidenti e limitanti. In questo senso una diagnosi tempestiva può essere di enorme aiuto e sollievo a bambine e ragazze, che riescono a dare un nome e una spiegazione alle proprie difficoltà, e in alcuni casi serve a prevenire conseguenze gravi come disturbi alimentari e comportamenti autolesionistici.

Infine, Fazzi fa notare come «molte pazienti sono figlie di seconda o terza generazione di famiglie straniere, che più dei fratelli maschi vivono un conflitto educativo e culturale con i genitori, che porta a volte sofferenze gravi». Con la pandemia, la convivenza forzata e l’assenza di sfoghi, in molti casi questo malessere è arrivato a un punto di esasperazione. Spiega Fazzi che «ci sono ragazze che rompono con la famiglia ma poi la vita per loro diventa molto difficile, vengono accolte in case famiglia o in istituti dove però le prospettive e possibilità sono ridotte», con gravi effetti sulla loro salute mentale.

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.