Che fatica, contenere la disinformazione su Telegram
Soprattutto in Europa, dove le campagne russe sono frequenti: l'app ha ancora troppo pochi utenti per dover rispettare le severe regole della Commissione Europea
Da qualche anno diversi governi europei e le principali istituzioni dell’Unione Europea si interrogano su quale sia il modo più efficace per ridurre o quantomeno contenere il problema delle moltissime campagne di disinformazione diffuse e promosse da gruppi filorussi, spesso con la complicità del governo autoritario della Russia di Vladimir Putin. A marzo, in previsione delle elezioni europee di inizio giugno, la Commissione Europea aveva pubblicato delle direttive in proposito per le principali piattaforme digitali attive nell’Unione sulla base del Digital Services Act (DSA), la legge europea sulla sicurezza e la trasparenza dei servizi digitali, in vigore da agosto del 2023.
Le misure previste dal DSA mirano a ridurre i potenziali rischi di diffusione di notizie false che possano influenzare il voto: le piattaforme devono indicare chiaramente se un certo contenuto sta promuovendo un messaggio elettorale, o se è falso, introdurre stringenti regole e standard di moderazione, e collaborare con le autorità europee per ridurre i rischi della disinformazione nel caso in cui governi stranieri, principalmente la Russia e la Cina, cerchino di interferire con la campagna elettorale. Il mancato rispetto di queste regole da parte di un’azienda potrebbe portare all’emissione di sanzioni fino al 6 per cento del suo fatturato annuale.
Tuttavia, le direttive del DSA non sono applicabili a uno dei principali strumenti utilizzati nella diffusione di notizie false online: cioè l’app di messaggistica Telegram, che ha sede negli Emirati Arabi Uniti e al momento stando alle informazioni disponibili ha 41 milioni di utenti mensili attivi nell’Unione Europea. Quindi non rientra in quelle che il DSA considera “grandi piattaforme”, cioè quelle da 45 milioni di utenti attivi in su.
Sono ovviamente delle “grandi piattaforme” Google, X, Instagram, Facebook e TikTok: per loro il DSA prevede regole più stringenti sulla trasparenza e la moderazione dei contenuti, differenti dalle piattaforme più piccole (che molto spesso hanno un’influenza minore sul dibattito pubblico e che a volte non hanno i mezzi per rispettare norme così severe). Telegram però si trova in una specie di zona grigia: è una piattaforma estremamente influente con milioni di utenti attivi, ma appena sotto la soglia stabilita dalle norme europee. Anche per queste ragioni viene sfruttata per operazioni strutturali di disinformazione.
Le operazioni più recenti e riconducibili a gruppi russi o filorussi seguono più o meno tutte lo stesso modus operandi, che la ong DisinfoLab soprannominò già nel 2022 Doppelgänger. È una parola che in tedesco significa “sosia” e indica anche il nome del “gemello malvagio” in molte leggende germaniche: in sostanza prevede la creazione di siti di notizie online molto simili nella grafica a quelli di giornali molto conosciuti, come per esempio Le Monde, che è il giornale più letto in Francia, o Al Jazeera. Poi però gli articoli pubblicati contengono notizie completamente false, e hanno il chiaro obiettivo di disorientare e destabilizzare l’opinione pubblica europea su temi molto sensibili e divisivi dal punto di vista politico, in modo da spingere le persone che leggono queste notizie a perdere fiducia nelle istituzioni democratiche (e così, magari, subire il fascino del governo autoritario al potere in Russia ormai da più di vent’anni).
Anche il dominio del sito è molto simile (per esempio, invece di lemonde.fr potrebbe essere lemonde.ltd): questa tecnica, chiamata typosquatting, consiste nel dirigere utenti che per sbaglio commettono un errore nella battitura dell’indirizzo web verso siti che sembrano quelli ricercati e che invece non lo sono. I domini scelti sono spesso a basso costo e ospitati da server russi, cosa che rende difficile per le agenzie europee bloccarli. In Italia qualche anno fa circolavano moltissime notizie false, a volte anche esplicitamente filorusse, pubblicate da un sito chiamato ilfattoquotidaino.it: un “gemello cattivo” del sito del Fatto Quotidiano. Non è chiaro se quell’operazione fosse o meno legata a gruppi filorussi: oggi il sito non esiste più.
Questa pratica viene applicata anche ai siti istituzionali: nel giugno del 2023 era accaduto con il sito del ministero francese dell’Europa e degli Affari esteri. Visivamente la pagina assomigliava molto a quella del ministero, ma conteneva un’informazione totalmente falsa: l’introduzione di una tassa dell’1,5 per cento su ogni transazione monetaria, approvata per finanziare il sostegno militare all’Ucraina.
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Gli articoli non rimangono su questi siti, ma vengono poi diffusi sui social network, in particolare su Facebook e Telegram, attraverso migliaia di account di piccole e medie dimensioni che in teoria le piattaforme dovrebbero individuare e chiudere abbastanza facilmente. Cosa che però di fatto non accade, specialmente con Telegram. Daniel Milo, ex direttore del Centro per il contrasto delle minacce ibride al ministero dell’Interno slovacco, ha detto a Bloomberg che «Telegram è popolare tra vari attori filorussi e individui che diffondono disinformazione da molto tempo, perché non c’è quasi nessuna moderazione dei contenuti. Le regole di Telegram a questo proposito sono molto, molto permissive».
Secondo un recente rapporto interno dell’Unione Europea visionato da Bloomberg, i temi principali della recente campagna di disinformazione sono cinque: la guerra della Russia in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, l’immigrazione, il cambiamento climatico e le prossime elezioni del Parlamento europeo. Le notizie pubblicate però seguono anche attentamente quelle di cronaca: subito dopo l’attentato al primo ministro slovacco e filorusso Robert Fico, per esempio, un canale Telegram con quasi 50mila iscritti aveva condiviso un falso articolo del giornale britannico Daily Telegraph che affermava che l’attacco fosse stato compiuto da forze filo-ucraine, cosa non vera.
La prima ministra estone Kaja Kallas ha detto che Telegram sta avendo un ruolo sempre più centrale in queste campagne e che le richieste da parte del suo governo di intervenire e bloccare questi account spesso non vengono ascoltate. A queste accuse l’azienda ha risposto che «gli appelli alla violenza […] sono esplicitamente vietati su Telegram».
Spesso però i contenuti di disinformazione non rientrano in questa definizione e non violano quindi i termini di servizio: gli unici contenuti che al momento li violano sono gli incitamenti alla violenza, spam e truffe varie, e «contenuti pornografici illegali», di cui tuttavia la piattaforma è piena.
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In tutto questo il fondatore di Telegram, il 39enne russo Pavel Durov, non sembra vicino alla Russia, anzi. Dal 2014 vive in esilio, e ha raccontato che un anno prima si era rifiutato di consegnare i dati ucraini di un altro social network che gestiva, VK, a un’agenzia di intelligence russa.
Al momento la Commissione Europea non può imporre a Telegram regole più stringenti. Alcuni sostengono che gli utenti siano in realtà più di 41 milioni e che l’azienda menta sui suoi numeri solo per sfuggire alle norme europee: il numero di utenti totali comunque è superiore ai 900 milioni, una cifra diffusa da Telegram stesso a marzo. In assenza di dati certi, alcuni auspicano che la Commissione apra una inchiesta indipendente sul reale numero di utenti attivi.
In ogni caso, il fatto che la Commissione possa imporre regole più severe alle grandi piattaforme non sta portando a grandi risultati: secondo un rapporto interno il numero di articoli riguardanti i cinque temi principali già citati e provenienti da fonti non verificate che si trovavano sulle piattaforme a fine maggio era raddoppiato rispetto a quello di inizio gennaio. Nonostante Telegram abbia un ruolo importante in questa proliferazione, le campagne di disinformazione continuano a essere presenti anche sulle altre piattaforme come X e Facebook.