I “passion project” sono film rischiosi
Quando attori o registi si infilano in progetti molto personali e ambiziosi le cose possono andare storte, facendogli perdere un sacco di soldi
All’ultima edizione del festival di Cannes è stato presentato anche Horizon: An American Saga, un western diretto e interpretato da Kevin Costner, diviso in due parti, a cui ne seguiranno altre due. Come Megalopolis di Francis Ford Coppola, visto a sua volta in anteprima a Cannes, Horizon è uno di quei film che talvolta vengono definiti con una connotazione un po’ dispregiativa “passion project”, o “vanity project”. Cioè quei lavori a cui attori o registi tengono moltissimo e che vogliono realizzare per mostrare le loro doti e le loro ambizioni, tanto da dedicarcisi anche per decenni o autofinanziarli, ma che in qualche caso sono stati accolti molto tiepidamente dal pubblico o, peggio ancora, sono risultati grossi flop.
Costner, che nel 1991 vinse gli Oscar per miglior film e miglior regia per Balla coi lupi, aveva in mente di girare Horizon fin dalla fine degli anni Ottanta, quando era già uno degli attori del momento grazie a Gli intoccabili e Senza via di scampo. È una storia ambientata nel periodo della Guerra civile americana (1861-65) con Sienna Miller, Sam Worthington e lo stesso Costner, che interpreta il suo protagonista, Hayes Ellison; nel film debutta anche suo figlio, che ha 15 anni e si chiama come il personaggio interpretato dal padre, ideato ancora prima che lui nascesse.
Durante una recente conferenza stampa, Costner ha detto che pur di fare i suoi film è disposto ad accettare il rischio di perdere le sue quattro case di proprietà, e che per finanziare i film seguenti della saga ha «bussato a ogni barca di Cannes». In Italia il primo film uscirà ad agosto, ma finora chi lo ha visto in anteprima non sembra averlo amato particolarmente.
La critica cinematografica di Time Stephanie Zacharek lo ha definito «più un tributo ai grandi western, che un grande western di per sé», mentre per il critico Nicholas Barber, che ne ha scritto su BBC Culture, è «un disastro incoerente e così lungo da lasciare intorpiditi», a cui mancano una trama, una struttura e una caratterizzazione credibile dei personaggi. Per Richard Lawson di Vanity Fair, «se non altro compie una prodezza sbalorditiva: fa cioè chiedere se forse eravamo stati un po’ troppo duri con L’uomo del giorno dopo», il film post-apocalittico di Costner del 1997 che l’autorevole critico Roger Ebert aveva ritenuto tra le altre cose «sciocco» e «pretenzioso».
Finora sono state molto nette – alcune entusiaste, ma molte altre negative – anche le recensioni di Megalopolis, il 26esimo film di Coppola, uno dei registi più importanti di sempre, che aveva cominciato a pensarlo e scriverlo negli anni Ottanta ma finora non era riuscito a realizzarlo per la difficoltà di trovare finanziamenti. Alla fine i 120 milioni di dollari del budget del film li ha investiti lui stesso, anche grazie alla vendita di parte della sua azienda vinicola in California.
Megalopolis è ambientato in una New York devastata da una catastrofe, dove si scontrano la prospettiva progressista di un estroso architetto interpretato da Adam Driver, che ha in mente un piano avveniristico per rilanciare la città, e quella più conservatrice del suo sindaco (Giancarlo Esposito). È un chiaro omaggio a Metropolis di Fritz Lang, che qualcuno ha descritto come una specie di testamento artistico di Coppola, ma che per qualcun altro è confuso, privo di idee ed eccessivo.
Ci sono però stati molti altri film in cui attori e registi hanno investito grosse quantità di tempo, energie e denaro, per poi non ottenere i risultati sperati, finendo in certi casi per essere addirittura presi in giro. Le ragioni sono sempre diverse, ma molti di questi progetti sono accomunati proprio dal fatto che seguono logiche diverse da quelle che regolano normalmente la produzione di un film: non tutti – a volte nemmeno i migliori registi – sanno gestire l’assenza di vincoli e paletti imposti dalle case di produzione, che si tratti di questioni di forma, di contenuto o, più spesso, di soldi.
La totale libertà creativa, insomma, può rendere possibili capolavori che altrimenti non sarebbero mai esistiti, se avessero dovuto sottostare alle pure logiche di mercato. Ma a volte può anche finire per creare più confusione che altro, quando l’idea alla base del film non è abbastanza forte, o la professionalità dei coinvolti abbastanza ferrea.
Sean Penn – Il tuo ultimo sguardo
Sean Penn è noto per aver recitato in film come 21 grammi, Mi chiamo Sam, Mystic River, Carlito’s Way e Milk, ma è molto apprezzato anche come regista, dal debutto di Lupo solitario nel 1991 al successo di Into the Wild nel 2007. È inoltre impegnato da tempo nel campo umanitario, motivo che tra le altre cose lo ha portato in più occasioni in Ucraina durante la guerra.
Il tuo ultimo sguardo è un film del 2016 con Charlize Theron e Javier Bardem, che interpretano rispettivamente la direttrice di una ong e un medico che si innamorano durante una missione in una Liberia tormentata dalla guerra civile. È un progetto che Penn voleva realizzare da tempo assieme a Robin Wright, la sua ex moglie, ma che non era mai riuscito a fare per problemi di fondi. Nella sua idea il film doveva affrontare temi come il colonialismo e la brutalità delle guerre, ma è stato descritto come il peggiore film di quell’edizione del festival di Cannes, insulso e ridicolo sia per la regia, sia per la banalizzazione della guerra nel paese africano, raccontata attraverso la storia d’amore tra due personaggi bianchi.
Sul sito di cinema IMDb (Internet Movie Database) ha un voto di 5/10, mentre su Rotten Tomatoes, il sito che aggrega recensioni in lingua inglese e le sintetizza in una percentuale che esprime quante di queste siano positive, ha un voto bassissimo, l’8 per cento. La percentuale di gradimento del pubblico è del 34%.
Roger Christian, Battaglia per la Terra – Una saga dell’anno 3000
È un film del 2000 con Forest Whitaker e John Travolta, che voleva a tutti i costi fare un adattamento dell’omonimo libro di fantascienza dello scrittore statunitense L. Ron Hubbard, noto per aver fondato la chiesa di Scientology, di cui Travolta è uno dei seguaci più noti e in vista assieme a Tom Cruise. Le negoziazioni per produrlo erano cominciate negli anni Novanta ma, come ha sintetizzato il sito Cracked, ci vollero anni perché il film uscisse, visto che nessuna società di produzione voleva avvicinarcisi.
Battaglia per la Terra ha una trama bizzarra, piena di alieni malvagi, e anche al di là del legame con il controverso culto religioso è fatto male secondo la maggioranza delle recensioni. Diversi critici, tra cui Richard Schickel di Time e Tony Black di Cultural Conversation, lo definirono «il film peggiore che si ricordi». Per Peter Bradshaw del Guardian fu una sciagura «per ciò che era rimasto della reputazione di Travolta»: almeno fino a Gotti, il film del 2018 in cui interpreta un gangster della mafia italiana a New York, a sua volta demolito dalla critica. Su IMDb ha 2,5/10; su Rotten Tomatoes il 3% della critica e il 12% del pubblico.
Guy Ritchie, Travolti dal destino
Se il titolo di questo film vi ricorda quello di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto è perché è un remake del film di culto del 1974 di Lina Wertmüller con Mariangela Melato e Giancarlo Giannini: solo che questa volta i protagonisti sono Adriano Giannini, il figlio di quest’ultimo, e Madonna.
Negli anni Novanta la celebre popstar si era fatta notare anche al cinema per i suoi ruoli in Ragazze vincenti ed Evita, e contava di fare lo stesso nel 2002 con il remake del classico di Wertmüller, che fece dirigere dal suo allora compagno, Ritchie. Il risultato tuttavia fu così scadente che ai successivi Razzie Awards, l’evento in cui vengono scelti i film peggiori della stagione precedente, Travolti dal destino ottenne i “premi” come peggior film, peggiore attrice, peggior regista, peggior coppia e peggior remake o sequel. Su IMDb ha un voto di 3,6; su Rotten Tomatoes il 6% della critica e il 28% del pubblico.
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Luc Besson, Valerian e la città dei mille pianeti
Ci sono progetti di questo tipo con cui la critica è stata relativamente clemente, ma che sono stati un fallimento, se si considerano le risorse impiegate per realizzarli. Uno di questi è il film del 2017 di Luc Besson, il regista francese noto per film come Léon, Il quinto elemento e Lucy. Ci recitano tra gli altri Cara Delevingne, Clive Owen e Rihanna, ed è considerato il film indipendente più costoso mai realizzato, con un budget di circa 180 milioni di dollari, finanziati in parte dallo stesso Besson.
Valerian e la città dei mille pianeti è basato sul fumetto francese Valérian et Laureline, è ambientato nel 28esimo secolo e racconta di due agenti del ministero della Difesa dei “territori umani” incaricati di proteggere l’universo da una forza oscura che si è sviluppata ad Alpha, la città dei mille pianeti. Per alcuni critici è atroce, mentre per altri si sforza di essere avveniristico, mentre continua a risultare più ancorato al cinema tradizionale. Nelle parole più diplomatiche di Collider, «non è diventato il blockbuster che doveva essere, e non ha nemmeno attirato il seguito che probabilmente chi lo ha fatto avrebbe sperato». Su IMDb ha comunque un 6,4, mentre su Rotten Tomatoes il 47% della critica e il 53% del pubblico.
Kevin Spacey, Beyond the Sea
Un altro “vanity project” riuscito così così è il film del 2004 sul cantante statunitense degli anni Cinquanta e Sessanta Bobby Darin, scritto, prodotto, diretto e interpretato da Kevin Spacey, che è stato uno degli attori più apprezzati degli anni Novanta e Duemila e negli ultimi anni è un po’ scomparso a causa delle numerose accuse di molestie sessuali che gli sono state rivolte. Il progetto originale di fare un film su Darin risale a un’idea del regista Barry Levinson del 1986: poi Spacey ne acquisì i diritti assieme al figlio di Darin, Dodd.
Secondo alcuni Beyond the Sea è «una delusione», un film mal concepito, nonché eccessivamente autoreferenziale: c’entra anche il fatto che Spacey interpretava Darin quando aveva 20 o 30 anni, anche se allora ne aveva già più di 40, con il risultato che risultava «sbagliato per il ruolo in ogni senso possibile», scrisse Mick LaSalle sul sito di notizie SFGate. Il film fece guadagnare 8,5 milioni di dollari a livello globale contro un budget di circa 25. Spacey non ne diresse altri.
Altri film accolti piuttosto tiepidamente malgrado una gestazione lunga o impegnativa sono stati Toys – Giocattoli, After Earth e appunto L’uomo del giorno dopo.
Il primo è un film del 1992 con Robin Williams diretto proprio da Levinson, noto soprattutto per Rain Man e Good Morning, Vietnam; parla di un generale malvagio che prende il controllo di una fabbrica di giocattoli e Levinson lo aveva scritto nel 1979, ma era così astruso che la 20th Century Fox lo accantonò per diversi anni prima di produrlo. Il secondo, After Earth, invece è del 2013 ed è una storia di fantascienza prodotta da Will Smith, dalla moglie Jada Pinkett Smith e da suo fratello Caleeb Pinkett. Ci hanno recitato sia lo stesso Smith che il figlio Jaden, allora 14enne, ed è considerato un film discutibile, che vuole esaltare in tutti i modi padre e figlio: secondo l’Atlantic «potrebbe essere il primo film del regista M. Night Shyamalan a essere tremendo non per colpa sua».
Quanto a L’uomo del giorno dopo, Costner voleva fare il suo film post-apocalittico basato sull’omonimo romanzo di David Brin, dopo il successo ottenuto nel 1995, due anni prima, con Waterworld, in cui aveva solo recitato: la rivista Time Out lo ha descritto come «una gran noia boriosa – e un celebre flop – che fa desiderare quell’esperienza elettrizzante che era stato» appunto Waterworld.
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