Cosa vuol dire essere un atleta della Squadra Olimpica Rifugiati
Il lottatore Iman Mahdavi fuggì dall'Iran nel 2020 e da allora vive e si allena in Italia: quest'estate sarà alle Olimpiadi di Parigi nella selezione che rappresenta i rifugiati nel mondo
di Gianluca Cedolin
Alle Olimpiadi di Parigi 2024 parteciperà per la terza volta la Squadra Olimpica Rifugiati. Sarà composta da atlete e atleti riconosciuti dall’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati, persone che per qualche ragione sono state costrette a scappare dal loro paese per evitare persecuzioni, e che hanno trovato un posto sicuro in un altro. A Parigi saranno in trentasei, 23 uomini e 13 donne, e saranno considerati come una delle tante nazioni partecipanti, con una loro bandiera e la possibilità di competere per il medagliere. La sigla della squadra sarà EOR, dal francese Équipe Olympique des Réfugiés.
Due di questi atleti hanno ottenuto lo status di rifugiati in Italia: Hadi Tiranvalipour, che fa taekwondo e si allena a Roma, e Iman Mahdavi, che gareggerà nella lotta libera e si allena a Pioltello, nell’hinterland milanese. Entrambi provengono dall’Iran, che con quattordici atleti è il paese d’origine più rappresentato nella squadra dei rifugiati. Gli altri paesi più presenti sono la Siria e l’Afghanistan, che avranno cinque atleti a testa (in tutto i paesi di origine rappresentati sono undici, da tre continenti diversi: Asia, Africa e America).
Iman Mahdavi ha 29 anni ed è nato in una provincia del nord dell’Iran affacciata sul mar Caspio. In Iran la lotta è uno degli sport più popolari e praticati: le atlete e gli atleti iraniani hanno vinto quarantasette medaglie olimpiche nella lotta libera e nella lotta greco-romana. Il padre di Mahdavi era un lottatore e per questo anche lui cominciò a praticare questo sport, con ottimi risultati, visto che vinse tre medaglie d’oro e quattro d’argento ai campionati iraniani.
Nel 2020 Mahdavi decise di andarsene dal paese: «Mi piace essere una persona libera, ma in Iran questa non è una cosa possibile», racconta, riferendosi alla repressione attuata dal regime autoritario e teocratico che da anni guida l’Iran. Mahdavi non pratica la religione islamica, e già questa fu una cosa sufficiente a renderlo una persona sgradita alle autorità. Per non rischiare di mettere in pericolo la sua famiglia, lasciò quindi il paese, arrivando a piedi fino in Turchia assieme ad altre persone. Da qui riuscì a prendere un aereo che lo portò in Italia. Sua madre e i suoi fratelli sono ancora in Iran e non possono muoversi da lì: non li vede da quattro anni.
«Quando sono arrivato ero confuso, stressato. Non sapevo la lingua, non conoscevo nessuno. Ero solo, senza famiglia e senza amici. La mia unica speranza era questo sport». Si stabilì inizialmente a Gallarate (in provincia di Varese) e cominciò ad allenarsi da solo, per strada, fino a che non trovò sui social network Edoardo Bigliani, un ragazzo del Lotta Club Seggiano di Pioltello. Mahdavi gli scrisse e Bigliani lo invitò in palestra.
La lotta è uno sport con origini antichissime, che faceva parte già dei Giochi Olimpici antichi, quelli che si tennero nella città di Olimpia, in Grecia, per oltre un millennio, dal 776 avanti Cristo fino al 369 dopo Cristo. Lo sport moderno oggi si divide in due discipline, la lotta greco-romana e la lotta libera. Entrambi gli stili si svolgono su un’area circolare, sopra un tappeto chiamato materassina. Gli incontri durano sei minuti, divisi in due tempi.
Per vincere, bisogna “schienare” l’avversario, cioè atterrarlo e fargli toccare terra con la schiena, oppure ottenere più punti di lui: i punti vengono assegnati dai giudici per determinate mosse di attacco o di difesa come prese, ponti e rovesciamenti. Nella lotta greco-romana i lottatori possono usare solo le braccia e attaccare l’avversario solamente sopra la vita. La lotta libera invece, quella praticata da Mahdavi, ha molte meno restrizioni: si usano anche le gambe e si possono prendere gli avversari anche sotto la vita.
«Iman ha delle doti fisiche eccezionali. La resistenza, la capacità muscolare, la velocità che esprime sono tutte fuori dal comune: sicuramente riuscirebbe bene in molti altri sport», dice Giuseppe Gammarota, che è il presidente del Lotta Club Seggiano e una delle persone che sono state fondamentali per l’inserimento di Mahdavi. Giuseppe e altre persone del club, come il suo allenatore Victor Cazacu, lo aiutarono a ottenere i documenti, a comprarsi le cose necessarie per lottare e per vivere, a trovare lavoro come buttafuori in una discoteca di Milano e a stabilirsi a Pioltello, un comune di circa 36mila abitanti nella periferia est di Milano.
Mahdavi dimostrò da subito di essere un lottatore di alto livello e vinse alcune competizioni nazionali. Con l’ottenimento dello status di rifugiato in Italia, ha potuto iniziare a viaggiare in Europa per partecipare alle competizioni internazionali: nel 2023, come atleta indipendente, ottenne un dodicesimo posto agli Europei e un diciottesimo ai Mondiali, nella categoria 79 chili (a Parigi invece parteciperà nella categoria 74 chili). Soprattutto, il programma del Comitato olimpico internazionale (o Cio) per gli atleti rifugiati gli ha garantito un sostegno economico per allenarsi fino all’estate del 2024 e gli ha permesso di entrare nella Squadra Olimpica Rifugiati. A Parigi, per Mahdavi sarà difficile competere per una medaglia, anche se lui dice di sperarci.
La prima squadra di rifugiati fu creata per le Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016: in quell’occasione parteciparono dieci atleti. Furono ventinove invece a Tokyo, nell’estate del 2021, mentre a Parigi come detto saranno trentasei e parteciperanno a quindici sport diversi. Molti di loro sono sostenuti dalle borse di studio per atleti rifugiati del Cio, mentre il brand sportivo Nike fornirà le divise. La Squadra Olimpica Rifugiati non ha mai vinto una medaglia, ma ha partecipato solo a due edizioni delle Olimpiadi.
La loro selezione, si legge sul sito ufficiale delle Olimpiadi, è avvenuta basandosi su diversi criteri che includono le prestazioni sportive, i paesi di origine e anche la ricerca di un certo equilibrio tra i diversi sport e la rappresentanza di genere. Oltre, ovviamente, allo status di rifugiato. Secondo i dati dell’UNHCR, nel 2023 c’erano oltre 36 milioni di persone a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato in tutto il mondo e oltre 110 milioni di persone costrette ad abbandonare il proprio paese a causa di persecuzioni, guerre, violenze, violazioni dei diritti umani. Per il Cio queste persone alle Olimpiadi sono rappresentate dalla Squadra Olimpica Rifugiati.
I 36 atleti della Squadra Olimpica Rifugiati di Parigi 2024
Iman Mahdavi sarà l’unico atleta di lotta libera e ci sarà anche un lottatore di greco-romana, Jamal Valizadeh, iraniano e rifugiato in Francia. «Saremo orgogliosi di rappresentare la Squadra Olimpica Rifugiati e ci comporteremo come se fossimo un paese: io farò il tifo per i miei compagni e loro faranno il tifo per me», dice Mahdavi, che conosce alcuni degli altri rifugiati olimpici. «Ovviamente ogni atleta vorrebbe partecipare con la bandiera del proprio paese, ma purtroppo questo sogno non mi è stato concesso. Non potendo più tornare in Iran, mi piacerebbe un giorno gareggiare per l’Italia. Quando mi chiedono di dove sono, oggi rispondo refugee Italia».
Nella lotta libera della categoria 74 chili l’Italia ha già un atleta di alto livello, Frank Chamizo (di origini cubane), che nel 2015 vinse l’oro ai Mondiali e nel 2016 il bronzo alle Olimpiadi. Chamizo però non si è qualificato per Parigi 2024, anche a causa di una decisione arbitrale molto controversa subita lo scorso aprile a Baku, in Azerbaijan. In quell’occasione, Chamizo aveva anche detto che avevano provato a corromperlo perché lasciasse vincere un atleta di casa. «Mi sono allenato con Chamizo a volte, lottare contro di lui è difficilissimo, perché è davvero forte: diciamo che Chamizo è al livello dieci, Iman al livello zero. Per me è un modello, e a Baku tutti hanno visto che non ha sbagliato lui, ma gli arbitri». A livello femminile invece l’Italia ha solo un’atleta qualificata nella lotta alle Olimpiadi di Parigi: Aurora Russo, nella categoria 57 chili.
Iman Mahdavi e Frank Chamizo nel 2022
La palestra del Lotta Club Seggiano è quella della scuola Iqbal Masih, che decise di chiudere per il giorno della fine del Ramadan, causando diverse polemiche soprattutto da parte di politici di destra. Pioltello è una cittadina con una composizione molto eterogenea: i residenti provengono da 92 paesi diversi e il 36 per cento degli under 18 è straniero. Forse anche per questo, Mahdavi dice che in Italia ha trovato quasi solo persone accoglienti e rispettose delle altre culture, grazie alle quali si è ambientato in fretta.
Da quando si è saputo che Iman Mahdavi sarà alle Olimpiadi, a Pioltello e al club c’è grande entusiasmo: «Persone che prima venivano ad allenarsi una, due volte al mese, ultimamente vengono tutti i giorni». Col tempo, è diventato lui stesso un punto di riferimento per chi frequenta la palestra: «Sono molto felice che i bambini si interessino allo sport dopo avermi visto», dice. Negli sport meno praticati, come sono in Italia quelli di lotta, avere una figura vicina a cui ispirarsi è fondamentale per attirare nuovi frequentatori e per crescere come movimento.
Alla fine di maggio però Iman Mahdavi partirà per la Moldavia, dove resterà due mesi per allenarsi in un contesto più competitivo. Sarà un periodo di preparazione molto intenso, per arrivare nelle migliori condizioni possibili a Parigi, dove alla fine di luglio inizieranno le Olimpiadi. La finale di lotta libera maschile categoria 74 chili sarà sabato 10 agosto, il penultimo giorno dei Giochi.