Nella Silicon Valley capiscono i film?
I CEO delle grandi aziende di tecnologia fanno spesso riferimenti entusiasti e ottimisti a film di fantascienza che in realtà raccontano mondi distopici
di Pietro Minto
La scorsa settimana OpenAI ha presentato GPT-4o, una nuova evoluzione del suo sistema di intelligenza artificiale pensata per fare da assistente vocale agli utenti. Tra le caratteristiche più notevoli del servizio c’erano la sua spontaneità e naturalezza, che hanno ricordato a molti Samantha, l’intelligenza artificiale di Her, film di Spike Jonze del 2013, in cui Joaquin Phoenix interpreta un uomo che lentamente si innamora di un’assistente vocale, doppiata da Scarlett Johansson nella versione originale.
Ad ammiccare alla somiglianza tra GPT-4o e Samantha è stato lo stesso Sam Altman, co-fondatore e amministratore delegato di OpenAI, che durante la presentazione del servizio ha pubblicato un tweet di una sola parola: «her». Pochi giorni dopo, ovvero questa settimana, Johansson ha pubblicato un comunicato in cui ha raccontato di aver ricevuto e rifiutato un’offerta da OpenAI per l’utilizzo della sua voce per un’assistente vocale. Nonostante il suo rifiuto, ha spiegato, l’azienda ha proseguito usando una voce ritenuta troppo simile alla sua. Johansson ha chiesto e ottenuto che la funzionalità fosse rimossa.
Anche prima delle accuse di Johansson all’azienda – che potrebbero portare a una causa legale contro OpenAI –, alcuni osservatori avevano notato e criticato lo zelo con cui Altman rivendicava Her come fonte di ispirazione per GPT-4o. Nel film, infatti, il protagonista Theodore inizia a relazionarsi con Samantha dopo la fine del suo matrimonio e, come ha scritto Brian Barrett su Wired, l’IA «esiste solo per soddisfare i bisogni di Theodore», dargli comprensione assoluta ed evitare ogni critica. Alla fine del film, però, Samantha interrompe la relazione e abbandona Theodore, che lentamente torna a tessere relazioni umane e con il mondo: scrive una lettera alla sua ex moglie, guarda un tramonto con la sua vicina di casa. Tutti passi importanti per la sua crescita personale che aveva evitato proprio a causa dell’AI.
In difesa di Altman si può comunque dire che Samantha, pur essendo molto avanzata e indipendente, è ben diversa da altre intelligenze artificiali fantascientifiche, che solitamente finiscono per ribellarsi ai loro creatori. Tra tutte HAL 9000, il supercomputer di bordo dell’astronave di 2001: Odissea nello spazio. Her racconta un mondo in cui le relazioni tra umani e AI sono piuttosto comuni e accettate, ma al di là della dolcezza di alcune scene tra Theodore e Samantha, tra i temi del film ci sono le difficoltà emotive e comunicative e l’alienazione umana in un mondo altamente tecnologico.
– Leggi anche: La cultura parziale dei capi delle aziende tecnologiche della Silicon Valley
Non tutti all’interno di OpenAI hanno la stessa visione ottimista e superficiale di Altman: Noam Brown, ricercatore presso l’azienda, ha scritto di aver appena riguardato da poco il film ricavandone una reazione molto più forte: «ho riguardato Her lo scorso fine settimana» ha scritto su Twitter. «Mi è sembrato di guardare Contagion nel febbraio del 2020». Il riferimento è all’omonimo film del 2011 che parla della diffusione di un virus piuttosto simile a quello del Covid-19: secondo Brown, insomma, Her racconta un futuro poco promettente e al quale siamo molto più vicini di quanto pensiamo.
Qualche mese prima della presentazione di GPT-4o, Altman aveva espresso un’opinione su un altro film, Oppenheimer di Christopher Nolan (2023), scrivendo su Twitter che aveva «sperato che ispirasse una generazione di ragazzi a diventare fisici» ma purtroppo il film aveva «davvero mancato il bersaglio da quel punto di vista». Anche in questo caso, in molti fecero notare che la storia di Robert Oppenheimer parlava di scelte difficili, enormi responsabilità e senso di colpa per l’ecatombe di Hiroshima e Nagasaki, e difficilmente poteva suscitare un sentimento di simpatia e ispirazione. Anzi, sia il film che il libro da cui è tratto possono essere visti come moniti, avvertimenti per l’umanità sui rischi di una tecnologia nuova e potente. Il commento di Altman su Oppenheimer è notevole anche perché il settore delle AI è solito paragonare i rischi legati allo sviluppo di sistemi troppo potenti e intelligenti a quello della bomba atomica.
Altman paragonò infine Oppenheimer a un altro film che era invece riuscito a ispirare una generazione di giovani fondatori di startup, The Social Network, film del 2010 di David Fincher sull’ascesa di Facebook e Mark Zuckerberg. Anche The Social Network, pur non contenendo intelligenze artificiali ribelli e futuri distopici, non rappresenta esattamente un elogio del suo protagonista, che risulta ambizioso e arrogante quanto alienato dal resto della società.
Ma Sam Altman non è l’unico CEO di una grande azienda tecnologica a trarre ispirazioni da improbabili film o libri fantascientifici. Il gruppo Meta – di cui fanno parte Facebook, Instagram e WhatsApp – deve il suo nome al metaverso, mondo virtuale immaginato in un romanzo di fantascienza, Snow Crash di Neal Stephenson. Snow Crash è un romanzo fantascientifico del genere cyberpunk uscito nel 1992 e ambientato in una Los Angeles del futuro, che dopo una devastante crisi finanziaria è stata ceduta dagli Stati Uniti ed è diventata proprietà di grandi aziende e altri enti privati. Ogni servizio è privatizzato, il mondo è un luogo desolato e pericoloso, e anche per questo le persone si sono trasferite sul Metaverse, una realtà virtuale in cui gli utenti appaiono sotto forma di avatar.
– Leggi anche: Il fascino degli stupefacenti nella Silicon Valley
Un’altra opera molto influente nella Silicon Valley – e per le mire di Zuckerberg nel metaverso – è Ready Player One (romanzo del 2011 di Ernest Cline da cui Steven Spielberg ha tratto un film nel 2018), che racconta un futuro distopico nel quale le persone preferiscono passare il tempo in una realtà virtuale chiamata OASIS, di proprietà di tale James Halliday. Alla sua morte, OASIS viene messa in palio per la prima persona che riuscirà a risolvere una complessa caccia al tesoro virtuale piena di riferimenti e omaggi alla cultura nerd e ai videogiochi, particolare che ha contribuito al successo del libro ma anche smussato i particolari più nefasti della società in cui si svolge la storia. Come ha notato la critica Alissa Wilkinson su Vox, «Ready Player One è ambientato in un futuro distopico ma sembra non avere idea di quanto è davvero distopico».
Questa apparente difficoltà nella comprensione del testo dimostrata dalla Silicon Valley è stata notata anche dall’autore satirico Alex Blechman, che ha ironizzato immaginando il Torment Nexus, una terribile invenzione raccontata da un libro di fantascienza. «Ho inventato il Torment Nexus come monito per l’umanità», dice l’autore del libro, ispirando un’azienda tecnologica che annuncia orgogliosa di «aver finalmente creato il Torment Nexus dal classico della letteratura “Non create il Torment Nexus”».
L’imprenditore tecnologico più noto per i riferimenti alla cultura pop e alla fantascienza è senz’altro Elon Musk, che ha più volte citato Guida galattica per gli autostoppisti e ha chiamato Grok l’intelligenza artificiale sviluppata dalla sua azienda xAI. Il bizzarro nome rimanda a un verbo inventato dallo scrittore Robert Heinlein nel romanzo fantascientifico Straniero in terra straniera, del 1961: il verbo – in italiano tradotto con groccare – indica l’aver compreso e assimilato pienamente un concetto.
Citazionismo a parte, Musk ha anche recentemente cercato di utilizzare un classico della fantascienza per promuovere il Cybertruck, l’ultimo controverso modello di auto Tesla. Secondo Musk, infatti, il veicolo è stato «progettato per Bladerunner» ed è «quello che Bladerunner avrebbe guidato». Al di là del fatto che il nome del protagonista di Blade Runner (scritto staccato), film di Ridley Scott del 1982 tratto dal racconto Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick, è Rick Deckard e non “Bladerunner”, è interessante notare come anche in questo caso l’ambientazione oscura e distopica non colpisca Musk, che anzi la usa come fonte d’ispirazione per un veicolo grande e resistente (anche se sulla tenuta del Cybertruck di Tesla ci sono molti dubbi).
Quanto a Deckard, di lavoro è un «blade runner», un agente di polizia specializzato nella caccia ai replicanti, ovvero umanoidi robotici prodotti dalla Tyrell Corporation per fare lavori pesanti o essere usati in guerra. Come ha scritto il giornalista Max Read, Deckard non è un personaggio propriamente positivo: «è un sicario illuso, un cacciatore di schiavi guardato con disprezzo dalle persone per cui lavora e disprezzato e temuto da quelle a cui dà la caccia. Il film racconta di come Deckard arriva a realizzare questo, tra le altre». Per quanto riguarda l’auto da lui guidata, infine, Deckard si muove con quanto di più lontano e diverso ci sia da un pesante pick-up – che sarebbe scomodo e poco pratico per il mondo di Blade Runner – e utilizza invece uno spinner, una piccola auto volante.
Secondo Brian Merchant, giornalista e scrittore, queste cattive interpretazioni di classici della fantascienza non sarebbero casuali ma figlie del fatto che «queste distopie sono in realtà utili» alle grandi aziende tecnologiche e ai loro amministratori delegati. Merchant, infatti, ha notato che le distopie citate da Musk, Zuckerberg e altri hanno un fattore in comune, e cioè che «il supposto utente o possessore del prodotto è il protagonista» della storia. «Se compri un Cybertruck, sarai al sicuro da un mondo in crisi, dai replicanti o qualunque altra cosa. Se sei nel metaverso, puoi essere come il tipo di Ready Player One, un eroe che fa avventure d’ogni tipo anche se al di fuori del suo casco da realtà virtuale il mondo sta collassando». Tutte queste, conclude Merchant, sono «distopie utili a vendere quella che altrimenti sarebbe una tecnologia antisociale e ingombrante».
A contribuire a questo tipo di lettura da parte dei principali CEO della Silicon Valley potrebbe anche essere il loro problematico rapporto con il futuro e la società. In un profilo di Sam Altman pubblicato dal New Yorker nel 2016, quando era capo dell’acceleratore di startup Y Combinator, l’imprenditore parlò anche della possibilità di una crisi globale e del collasso della società, causato dal cambiamento climatico, dalle crescenti divisioni politiche o dal risveglio di intelligenze artificiali malevole.
«Cerco di non pensarci troppo ma ho pistole, oro, ioduro di potassio [che può proteggere la tiroide dagli effetti dello iodio radioattivo], antibiotici, batterie, acqua, maschere antigas dalle Forze di difesa israeliane e un grande pezzo di terreno nel Big Sur [una regione della California, ndr] che posso raggiungere per via aerea».
– Leggi anche: La divisione filosofica che agita la Silicon Valley
È un fenomeno diffuso tra i principali dirigenti e imprenditori della Silicon Valley, l’industria che più di ogni altra è proiettata al futuro, essere dei prepper, come vengono definite le persone che si «preparano» alla fine del mondo, costruendo bunker e attrezzandosi con beni e mezzi di prima necessità per sopravvivere a un mondo in crisi. Il più noto e influente è forse Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e tra i primi investitori di Facebook, che ha comprato un grande terreno in Nuova Zelanda – per il quale ha preparato una via di fuga d’emergenza. Ma anche il CEO di Reddit Steve Huffman ha preferito prepararsi al collasso globale sottoponendosi alla chirurgia refrattiva per correggere la vista e avere più possibilità di sopravvivere in un futuro postapocalittico.