Il più anziano jazzista ancora in attività
Marshall Allen, storico sassofonista della Sun Ra Arkestra, è nato prima di John Coltrane e Miles Davis: ma a cento anni non vuole saperne di smettere di suonare
di Giuseppe Luca Scaffidi
Lo scorso 20 aprile il sassofonista statunitense Marshall Allen ha tenuto un concerto di un paio d’ore al Solar Myth, uno storico locale di musica jazz di Philadelphia. Tenere il palco per un tempo così lungo, peraltro suonando uno strumento fisicamente impegnativo come il sassofono, sarebbe un compito impegnativo anche per musicisti giovani e in salute.
Allen però è nato il 25 maggio del 1924, esattamente cent’anni fa. È più anziano di jazzisti morti da decenni e che appartengono a ere che percepiamo remote, come John Coltrane, Miles Davis, Eric Dolphy e Chet Baker, solo per citarne alcuni. Nonostante abbia un secolo di vita continua a suonare stabilmente in giro per gli Stati Uniti, a fumare regolarmente e a ospitare appassionati e giornalisti incuriositi dalla sua straordinaria longevità nel suo appartamento al 5626 Morton Street, a Philadelphia, pieno zeppo di memorabilia provenienti dai suoi 80 anni di attività.
Anche se cominciò a guadagnarsi da vivere con la musica già da giovanissimo, Allen è ricordato soprattutto per le cose che ha fatto dagli anni Cinquanta in poi, dopo l’inizio della sua lunga militanza nell’Arkestra, l’orchestra di Sun Ra, uno dei musicisti più leggendari del jazz moderno, famoso per le sue sperimentazioni musicali sofisticate e uniche nel panorama musicale di quegli anni e per le sue teorie sull’origine del cosmo e sull’emancipazione delle persone nere.
Il percorso musicale di Allen, però, cominciò ben prima dell’incontro con Ra. Nacque il 25 maggio del 1924 a Louisville, in Kentucky, e iniziò ad appassionarsi agli strumenti a fiato a dieci anni, prendendo alcune lezioni di clarinetto. Sviluppò precocemente un gran senso della melodia, accompagnato da un’approssimativa conoscenza della teoria musicale e dell’armonia: all’inizio suonava principalmente a orecchio, imparando dalle band e dalle orchestre scolastiche con le quali pian piano cominciò a collaborare.
Durante la Seconda guerra mondiale fu mandato a Parigi come soldato dell’esercito statunitense, suonando il sassofono contralto e il clarinetto nella banda della 92esima divisione di fanteria, conosciuta come Buffalo Soldiers. Durante il suo soggiorno in Francia, Allen suonò con molti dei jazzisti di fama mondiale che passavano da Parigi per le loro tournée, come Coleman Hawkins, Art Simmons, James Moody e Duke Ellington. Acquisì la fama di un turnista affidabile e dalla grande velocità di pensiero, che sapeva adattarsi alle esigenze di chi lo assumeva.
Quando nel 1949 fu congedato dall’esercito, non tornò immediatamente negli Stati Uniti: rimase a Parigi per iscriversi al conservatorio e perfezionare le sue basi teoriche, focalizzandosi sul clarinetto. Tornò in patria nel 1951, trasferendosi a Chicago per assistere sua madre.
Per un giovane sassofonista in cerca di lavoro, Chicago era la città perfetta in cui trasferirsi, una di quelle in cui succedevano davvero le cose nuove nel jazz. Nei successivi sei anni collaborò con alcuni gruppi locali, perfezionando la sua tecnica e lasciandosi ispirare dal lavoro di alcuni giovani jazzisti che, in quegli anni, stavano provando a liberarsi dalle rigide partiture che dovevano seguire pedissequamente quando suonavano nelle big band, e dalle limitate possibilità consentite dagli spazi dedicati agli assoli, durante i quali i virtuosismi e le invenzioni erano sempre subordinati a far ballare la gente.
Negli anni Cinquanta musicisti come Miles Davis e John Coltrane cambiarono il modo in cui si susseguivano gli accordi, sciogliendo pian piano le maglie armoniche che ormai stavano strette ai musicisti, e riuscendo così a crearsi sempre più libertà creative nelle improvvisazioni. Poi arrivò Ornette Coleman, che introdusse un approccio ancora più estremo: invece che cambiare le progressioni di accordi, cercò di liberarsene del tutto eliminando il pianoforte, lo strumento che tradizionalmente costituiva l’ossatura armonica del jazz, accompagnando con gli accordi le improvvisazioni dei fiati.
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Allen prese spunto da queste intuizioni e diventò uno dei protagonisti di quella rivoluzione, che di lì a qualche anno sarebbe diventata una delle più importanti avanguardie musicali dello scorso secolo: il free jazz, caratterizzato dalla ricerca di una libertà totale a livello armonico e ritmico, dall’ampio spazio riservato alle parti soliste e dal rigetto degli schematismi con cui si era soliti pensare la musica in quegli anni. Cominciò a suonare il sassofono nell’Arkestra nel 1958, dopo essere rimasto folgorato dall’ascolto di un demo di Ra in un negozio di dischi.
Nei suoi primi anni di carriera Ra, che nacque il 22 maggio del 1914 con il nome di Herman Poole Blount, fu un pianista jazz piuttosto classico. Come tutti gli aspiranti jazzisti del tempo all’inizio suonava lo swing, una musica che faceva ballare e divertire la gente e che dava lavoro a centinaia di musicisti negli Stati Uniti, quasi esclusivamente afroamericani, che arrivavano solitamente da contesti poveri e disagiati e smaniavano per trovare posto in un gruppo e girare gli Stati Uniti.
Verso la metà degli anni Quaranta la carriera di Ra ebbe un balzo: fu prima il pianista della band di Fletcher Henderson, poi per un breve periodo fondò un trio con due dei jazzisti più importanti del tempo, Coleman Hawkins e Stuff Smith. Le cose cambiarono nel 1952, quando cominciò ad appassionarsi alla fantascienza e ai libri dei primi intellettuali del movimento afroamericano per i diritti civili.
Da quel momento in poi la sua concezione di musica cambiò radicalmente: fondò una sua personale big band, l’Arkestra, formata da decine di musicisti, cambiò il suo nome in Sun Ra e cominciò a suonare una musica molto contaminata, che definiva cosmic jazz e che mescolava al suo interno tantissime cose: boogie woogie, bebop, musica classica e musica tradizionale africana.
L’Arkestra era una big band con un assetto diversissimo da tutte le altre: solitamente queste formazioni erano composte da una decina di musicisti suddivisi in una sezione ritmica e una di fiati. Il gruppo di Ra si distingueva invece per alcune eccentricità, come la presenza di due contrabbassi che suonavano parti diverse e, a partire dal 1969, quando iniziò quella che i critici musicali descrivono come la “fase 2” della band, l’utilizzo massiccio di sintetizzatori.
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All’anarchia compositiva e performativa del free jazz e alla fascinazione per i suoni elettronici, l’Arkestra affiancò alcuni concetti cari a Ra, che negli anni successivi avrebbero influenzato generazioni di pensatori afroamericani e che oggi vengono considerati importantissimi per lo sviluppo della corrente filosofica che, a partire dagli anni Novanta, è stata definita “afrofuturismo”.
Lo stesso Allen ha parlato in più occasioni di quanto le teorie di Ra fossero avveniristiche per i tempi, anche se all’epoca furono prese poco sul serio per via delle sue molte stravaganze. Per esempio, sosteneva di essere stato rapito dagli alieni e di aver ricevuto da loro il mandato di portare in salvo le persone nere, facendole trasferire nello spazio per liberarle dalla schiavitù a cui a suo dire erano soggetti sulla Terra.
La sua filosofia era fondata sul concetto di Black Knowledge Society, termine che indicava la necessità delle persone nere di imparare a utilizzare al meglio le nuove tecnologie create dalle persone bianche per utilizzarle a proprio vantaggio: in questo modo avrebbero potuto emanciparsi e progredire in maniera indipendente dal punto di vista scientifico e tecnico.
Nel saggio Appropriating the Master’s Tools: Sun Ra, the Black Panthers, and Black Consciousness, 1952-1973, il ricercatore statunitense Daniel Kreiss ricorda come Sun Ra perseguisse questo principio anche nella vita di tutti i giorni, distribuendo volantini fuori dalle università di Chicago per invogliare le persone nere a studiare materie scientifiche e dedicando al tema un apposito corso, intitolato The Black Man in the Cosmos. Anche il suo interesse spropositato per i sintetizzatori, che iniziò a utilizzare nelle sue composizioni quando questi dispositivi avevano una storia ancora recentissima, si inseriva proprio in questa visione.
Al di là degli ideali utopistici, Ra era famoso anche per essere molto severo con i suoi musicisti: nel suo periodo iniziale con l’Arkestra, Allen dovette cambiare il suo modo di suonare, rinunciando alla libertà d’improvvisazione per adeguarsi alle sue rigide direttive. Ra era notoriamente un maniaco del controllo, al punto che, quando la critica cominciò a definire il suo stile free music, se ne lamentò, sotttolineando come tutte le sue composizioni fossero scritte con una grande attenzione per ogni dettaglio.
Per esempio, capitava spesso che Ra assegnasse ad Allen delle parti di sassofono complicatissime da suonare e che poi cambiasse idea all’ultimo secondo, vanificando settimane di studio. In una recente intervista al Guardian, Allen ha descritto Ra come una persona parecchio esigente, che raramente si complimentava per il lavoro svolto: «ci sono voluti parecchi anni per capire cosa volesse esattamente, quindi ho imparato così: nel modo più duro, lavoro, lavoro, lavoro. Un uomo non può imparare senza disciplina».
Parallelamente alla collaborazione con Ra, a partire dagli anni Sessanta suonò moltissimo con il batterista nigeriano Babatunde Olatunji, sviluppando un interesse fortissimo per la musica yoruba e imparando a suonare strumenti che pochissimi musicisti statunitensi del tempo erano in grado di padroneggiare, come per esempio la kora, uno strumento a corde tradizionale dell’Africa occidentale.
Nel 1993, subito dopo la morte di Ra e del suo immediato successore John Gilmore, Allen è diventato il leader dell’Arkestra, ruolo che ricopre tuttora. Dopo averne assunto la guida, Allen si è sforzato di trovare dei metodi per introdurre dei suoni nuovi nella già sofisticatissima musica dell’Arkestra. L’estro di Ra nei vent’anni precedenti si era espresso soprattutto nell’utilizzo del Minimoog, il primo synth portatile e venduto a un prezzo relativamente accessibile della storia, che conferiva alla band il suo tipico suono elettronico e “spaziale”.
Per mantenere quelle atmosfere Allen decise di focalizzarsi sullo studio di un altro strumento elettronico: l’EWI (Electronic Wind Instrument), una specie di flauto con interfaccia MIDI in cui il segnale è controllato, anziché dai tasti bianchi e neri tipo organo o pianoforte, da un’ancia e da “chiavi”, come quelle di strumenti a fiato come il sassofono.
Nel 1999 fu pubblicato A Song for the Sun, il primo disco pubblicato dall’Arkestra dopo la morte di Ra, in cui Allen si dimostrò un compositore capacissimo e in grado di dare continuità all’eredità del suo predecessore. Oltre a formarsi nello studio di altri strumenti come l’oboe e l’ottavino, negli ultimi trent’anni Marshall ha reclutato nell’Arkestra una nuova generazione di musicisti di straordinario talento, come il chitarrista Dave Hotep, il sassofonista tenore James Stewart e il batterista Wayne Smith Jr.
Allen continua a vivere nel palazzo di Philadelphia in cui l’Arkestra si trasferì negli anni Settanta, condividendo gli spazi con gli altri membri della band. Anche se per via dell’età ha dovuto interrompere le tournée internazionali, continua a suonare negli Stati Uniti e nei principali locali della città: il prossimo concerto sarà il 13 giugno, a Philadelphia.