“Canguro”, “ghigliottina” e altri strumenti che il governo ha per approvare la riforma costituzionale
Sono procedure che spesso generano polemiche, ma a cui la maggioranza ricorre abitualmente per aggirare l'ostruzionismo delle opposizioni
Mercoledì sono iniziate le votazioni nell’aula del Senato sul disegno di legge costituzionale presentato dal governo. La riforma, che prevede tra l’altro l’istituzione del premierato, cioè dell’elezione diretta del presidente del Consiglio e il rafforzamento dei suoi poteri, è stata discussa ed esaminata dalla commissione competente, quella per gli Affari costituzionali, tra la fine di novembre e la fine di aprile. L’obiettivo iniziale del governo era di approvare in prima lettura al Senato la riforma prima delle elezioni europee dell’8 e del 9 giugno.
Sarebbe stato comunque un atto simbolico, a scopo elettorale, dal momento che questa non sarebbe che la prima votazione: per i disegni di legge che modificano la Costituzione c’è bisogno di quattro successive approvazioni nelle due camere. Tuttavia il grande clamore che la riforma ha suscitato tra i partiti e tra gli esperti di diritto, unito ai ripensamenti del governo su alcuni aspetti del disegno di legge, ha fatto sì che anche l’approvazione in prima lettura in tempi utili per le europee sia ormai improbabile. Il 30 maggio, infatti, il Senato sospenderà i suoi lavori come da prassi, per consentire a tutti i partiti di impegnarsi nell’ultima settimana di campagna elettorale. I partiti di opposizione hanno inoltre presentato circa 3.000 emendamenti. Per dilatare i tempi sono intervenuti spiegando e illustrando ogni singola proposta di modifica, sebbene sia pressoché impossibile che abbiano i numeri per approvarli.
È un tipico esempio di ostruzionismo parlamentare. Per arginarlo, la maggioranza sta valutando di ricorrere a strumenti che le permettano di stringere i tempi, per esempio imponendo una durata massima alle discussioni in aula e cassando gli emendamenti più strumentali o quelli che tra loro si assomigliano. E così, negli ultimi giorni, il presidente del Senato Ignazio La Russa ha applicato alcune procedure utilizzate spesso, ma sempre un po’ controverse: il “canguro” e la “ghigliottina”, secondo i termini con cui li si indica nel gergo parlamentare.
Canguro e ghigliottina sono i due strumenti più efficaci. Col primo la maggioranza riesce a cassare in maniera agevole un gran numero di emendamenti delle opposizioni; col secondo, invece, stabilisce una durata massima della discussione su un certo provvedimento, oltre la quale il dibattito dell’aula viene interrotto e si procede al voto. Giovedì pomeriggio, durante una conferenza dei capigruppo, cioè la riunione coi presidenti dei gruppi parlamentari, La Russa ha annunciato che il tempo verrà contingentato, e che l’esame del disegno di legge costituzionale dovrà di fatto concludersi entro il 18 giugno.
– Leggi anche: Trovare una legge elettorale adatta al “premierato” sarà complicato per il governo
Mercoledì c’era stato già un primo accenno di procedure accelerate, raccontato dal capogruppo del Partito Democratico Francesco Boccia. «Con quattro voti, sono stati cangurati 35 emendamenti», ha detto, facendo riferimento allo strumento con cui tipicamente la maggioranza condensa le votazioni sugli emendamenti: il canguro, appunto. In verità non è previsto esplicitamente dal regolamento del Senato, che l’ha invece mutuato dalla Camera. Per una di quelle frequenti bizzarrie connesse alle procedure parlamentari, però, solo il Senato lo può utilizzare durante la discussione delle riforme costituzionali.
La Camera prevede l’uso del canguro al comma 8 dell’articolo 85 del suo regolamento, il quale dice che se ci sono tanti emendamenti tra loro simili che variano per piccoli aspetti lessicali o formali, o che propongono analoghe modifiche ma magari con cifre e date diverse, il presidente può mettere in votazione quello che più si discosta dal testo originario del provvedimento in discussione, e considerare «assorbiti» gli altri. È uno strumento pensato apposta per snellire le procedure di voto e disinnescare le tattiche dilatorie: a volte infatti i partiti presentano emendamenti strumentali o provocatori, altre volte ne producono una gran mole con minime variazioni, col solo obiettivo di tirarla in lungo e complicare la vita al governo.
Il canguro è stato usato varie volte negli anni, proprio per contrastare le pratiche ostruzionistiche. E sebbene nel regolamento il termine canguro non compaia mai, questo nome si affermò da subito nel gergo parlamentare italiano, ricalcato su quello della Camera dei Comuni britannica, che fin dall’inizio del Novecento adotta un’analoga procedura chiamata kangaroo closure per via del fatto che lo speaker della Camera salta gli emendamenti durante la discussione.
Il Senato italiano, che non ha invece un regolamento che contempli esplicitamente l’uso del canguro, ne ha adottato l’uso dal luglio del 1996, quando il presidente Nicola Mancino lo mutuò dalla Camera come una sorta di implicita integrazione al comma 4 dell’articolo 102 del regolamento, secondo cui «il presidente ha facoltà di modificare l’ordine delle votazioni quando lo reputi opportuno ai fini dell’economia o della chiarezza delle votazioni stesse». Questa decisione creò col tempo dibattiti e controversie: anche perché nel settembre del 1997 la Camera modificò il suo regolamento specificando che il canguro non può essere applicato alla discussione dei progetti di legge costituzionali. Cosa che invece al Senato hanno continuato a fare: nel 2002 e nel 2004, per esempio, quando il presidente Marcello Pera lo applicò alla riforma costituzionale che assegnava maggiori poteri alle regioni e che, tra le altre cose, introduceva il premierato. Una riforma che non entrò mai in vigore, bocciata dal referendum nel 2006.
Ma a rendere famigerato il canguro fu soprattutto il voto al Senato della riforma costituzionale voluta dal governo di Matteo Renzi nel 2014.
Il 28 luglio la riforma, che tra l’altro prevedeva l’abolizione del bicameralismo paritario, iniziò il suo percorso in aula, e il governo fissò come termine ultimo per il voto finale l’8 agosto. Le opposizioni fecero subito ostruzionismo. Il leghista Roberto Calderoli, uno dei più profondi conoscitori di tattiche e stratagemmi procedurali del Senato e oggi ministro per gli Affari regionali, produsse letteralmente decine di milioni di emendamenti grazie a un software che li moltiplicava cambiando semplicemente dettagli delle frasi. La gran parte degli emendamenti dell’opposizione, compreso il mucchio di Calderoli, fu agilmente cassata. Restavano però oltre 8mila emendamenti da votare nel giro di una decina di ore. Il governo calcolò che nelle circa 80 ore di discussione prevista, si sarebbe dovuto procedere al ritmo di oltre un emendamento al minuto.
Fu così che il presidente del Senato Pietro Grasso, d’intesa col governo e col presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricorse al canguro: con una sola votazione decaddero 1.438 emendamenti. Ne nacque una polemica, innescata peraltro da un senatore del PD, Felice Casson, contrario alla riforma costituzionale. Grasso dovette giustificare la sua decisione davanti alla Giunta per il regolamento, ribadendo le sue ragioni. Alla fine, pur tra molte polemiche, grazie al canguro il Senato riuscì ad approvare in prima lettura la riforma costituzionale, l’8 agosto. «Il suo, presidente, è stato un canguro col jet nel sedere», disse Calderoli rivolgendosi a Grasso.
Il canguro fu poi nuovamente al centro delle polemiche politiche nel febbraio del 2016. Quando il PD, per aggirare l’ostruzionismo delle opposizioni sul disegno di legge Cirinnà che introduceva le unioni civili, pensò di ricorrere a una forma ancora più controversa di canguro, nota come “supercanguro”. L’idea era di presentare e approvare un unico emendamento che serve a ottenere gli stessi effetti del canguro, ma con una procedura diversa. L’emendamento avrebbe modificato in gran parte il disegno di legge, ma riproponendo un testo sostanzialmente identico, con modifiche minime. In questo modo, la legge sarebbe risultata quasi completamente riscritta (anche se solo formalmente: gli articoli in realtà sono uguali a prima) e quindi tutti gli emendamenti successivi, che modificavano la legge originale, sarebbero decaduti automaticamente perché formalmente non c’era più una legge “originale” da modificare.
L’emendamento, che era stato elaborato dal senatore del PD Andrea Marcucci, allora molto vicino a Renzi, alla fine non venne utilizzato: il presidente Grasso ritenne quella pratica inapplicabile. Alla fine il Senato approvò il disegno di legge tramite il ricorso al voto di fiducia: cioè il governo subordinò la propria sopravvivenza all’approvazione del provvedimento. Se il Senato lo avesse bocciato, il governo sarebbe decaduto.
In ogni caso, stavolta il canguro potrebbe non garantire alla maggioranza di destra un’approvazione agile della riforma costituzionale. I collaboratori di La Russa hanno stimato che, pur applicandolo, sopravviverebbero comunque più di mille dei circa 3.000 emendamenti presentati dalle opposizioni. Per questo il presidente del Senato ha deciso di ricorrere alla cosiddetta “ghigliottina”. Con questo strumento viene indicato in anticipo un termine per l’esame del provvedimento e, arrivati a quel momento, se la discussione e il voto degli emendamenti non sono conclusi, si interrompe tutto e si procede al voto del testo originario. La ghigliottina è stata introdotta al Senato (articolo 78, comma 5 del regolamento) per garantire che i decreti-legge vengano convertiti in legge in tempo utile, quindi entro sessanta giorni dalla loro approvazione da parte del governo. Ma si usa comunemente anche per altri provvedimenti, che nel giudizio della presidenza del Senato devono essere approvati entro una certa data.
Al contrario di quel che è successo col canguro, in questo caso è stata la Camera a mutuare un istituto non previsto dal suo regolamento. Lo fece Laura Boldrini nel gennaio del 2014, per assicurare la conversione in legge in tempi utili del decreto-legge cosiddetto IMU-Bankitalia: quello che, tra l’altro, aboliva la seconda rata dell’IMU, la tassa sulla casa. Se non fosse stato approvato il provvedimento, il decreto sarebbe decaduto e molte persone avrebbero rischiato di dover pagare la rata, oppure attendere nell’incertezza un eventuale nuovo decreto-legge del governo. Boldrini ricorse alla ghigliottina, provocando furibonde proteste del Movimento 5 Stelle. Più di recente, la ghigliottina è stata applicata nel dicembre del 2022 anche dal presidente Lorenzo Fontana per garantire l’approvazione del decreto sui “raduni pericolosi” (i rave): era il primo decreto-legge emanato dal governo di Giorgia Meloni, e rischiava di non essere approvato in tempo.
La ghigliottina viene spesso impropriamente confusa con la “tagliola”, che è invece una procedura prevista dal solo regolamento del Senato (articolo 96), in base alla quale la discussione di un intero provvedimento può essere accantonata per almeno sei mesi. In pratica, prima che l’aula inizi a esaminare i vari articoli di un disegno di legge, un senatore può chiedere che non si proceda affatto all’esame del provvedimento: se l’aula approva questa proposta, il disegno di legge decade. Successe per esempio nell’ottobre del 2021 col disegno di legge Zan contro l’omotransfobia: in quel caso Calderoli e La Russa chiesero appunto di non procedere all’esame del provvedimento, e la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati acconsentì a che si votasse a scrutinio segreto. Approfittando dell’anonimato, vari esponenti del PD, del gruppo Misto e di partiti centristi votarono a favore della tagliola sul ddl, che così di fatto venne accantonato.