Cos’è questo decreto “salva-casa”
Lo ha voluto il ministro Matteo Salvini, e consentirà di sanare piccole irregolarità edilizie delle case
Venerdì il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge presentato dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini e chiamato “salva-casa”. È un provvedimento a cui Salvini lavorava da tempo, e che aveva pensato di promuovere già a inizio aprile, quando però le perplessità espresse dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani lo indussero a rinviarne la presentazione, limitando la portata delle misure inizialmente pensata.
Il decreto introduce delle semplificazioni normative, eliminando la necessità di ottenere autorizzazioni per alcuni piccoli interventi di edilizia o semplificando le procedure per ottenere le certificazioni in caso di cambio di destinazione d’uso degli immobili. Vengono inoltre estesi i limiti di tolleranza, cioè le difformità nella realizzazione rispetto ai progetti originari; si consente anche di mantenere le strutture esterne installate durante la pandemia da coronavirus, come per esempio i dehors dei locali, se è possibile dimostrare che servono a garantire il rispetto delle norme sanitarie.
I partiti di opposizione hanno criticato questo provvedimento descrivendolo come un condono: seppure il principio è effettivamente quello di una sanatoria degli abusi, il decreto riguarda in effetti solo casi di piccola entità. Il decreto-legge ha anche una evidente funzione elettorale, essendo stato approvato a pochi giorni dalle elezioni europee dell’8 e del 9 giugno. In ogni caso, per i dettagli specifici bisognerà attendere la pubblicazione del decreto, finora conosciuto solo attraverso delle bozze non definitive e alcune schede sintetiche pubblicate dal ministero dei Trasporti.
Una delle misure più rilevanti del provvedimento è quella che include tra i lavori di edilizia libera – cioè quelli che possono essere fatti senza specifiche autorizzazioni a costruire o titoli abitativi – anche le vetrate panoramiche amovibili con cui vengono chiusi i porticati all’interno dell’edificio e tende, pergole o gazebo semi-stabili con cui spesso si chiudono le verande, anche nel caso in cui le strutture siano addossate o annesse agli immobili, purché non siano chiuse in maniera definitiva ma dotate per esempio di vetrate mobili o richiudibili, e purché non abbiano un impatto visivo troppo notevole.
Il decreto amplia inoltre i limiti entro i quali le difformità edilizie non vengono considerate degli abusi. Finora queste tolleranze costruttive avevano soglie molto basse, pari al 2 per cento della superficie per tutti gli immobili: se la difformità rispetto al progetto consegnato al Comune riguardava, cioè, più del 2 per cento della superficie dell’immobile, andavano sanate. Ora queste soglie vengono alzate, ma solo per le difformità già esistenti. Il limite del 2 per cento varrà per le case con oltre 500 metri quadrati di superficie utile; salirà al 3 per cento per quelle tra 300 e 500 metri quadrati; al 4 per cento per quelle tra 300 e 100 metri quadrati e al 5 per centro per le case di meno di 100 metri quadrati.
Vengono estese anche le cosiddette tolleranze esecutive, quelle che riguardano irregolarità nella disposizione degli spazi interni, delle porte e delle finestre; la collocazione difforme rispetto al progetto di impianti interni, di finiture di piccola entità, la mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali e gli errori progettuali corretti in cantiere, cioè nella fase di costruzione dell’immobile.
Per quanto riguarda le procedure di accertamento di conformità, il decreto supera il principio della cosiddetta “doppia conformità”. Per sanare le piccole irregolarità edilizie al momento bisogna presentare al Comune dove si trova l’immobile documenti che attestano il rispetto della normativa edilizia e urbanistica in vigore sia al momento della realizzazione della struttura sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Il decreto semplifica il processo, e stabilisce che possono essere sanati gli interventi che sono conformi alle norme urbanistiche attualmente in vigore (quelle che stabiliscono se e in quali aree si può costruire) e che erano coerenti con le norme edilizie (quelle che riguardano il modo con cui si costruisce) all’epoca della realizzazione dell’immobile.
Viene inoltre introdotto il principio del silenzio assenso. A differenza di come funzionano le normative attuali, per cui l’autorizzazione si considera negata finché non viene rilasciata dagli uffici pubblici preposti, d’ora in avanti le richieste di sanatoria di piccole difformità vengono considerate accolte se il Comune o le altre amministrazioni coinvolte non negano l’autorizzazione entro 30 o 45 giorni (a seconda del tipo di richiesta avanzata). Per gli immobili sottoposti a vincoli paesaggistici le autorità avranno invece ulteriori 180 giorni per rispondere.
Inoltre vengono semplificate significativamente le procedure per ottenere il cambio di destinazione d’uso di un immobile. Ogni immobile infatti è classificato, secondo le leggi, a seconda dell’uso che se ne fa e non può essere utilizzato in altro modo: ci sono immobili residenziali, cioè le case; quelli industriali per le attività artigianali e manifatturiere; quelli turistici, come alberghi o ostelli e simili; quelli commerciali, e così via. Rispetto alle norme finora in vigore, grazie al decreto-legge approvato sarà sempre possibile modificare la destinazione d’uso, trasformando per esempio le case private in strutture ricettive. Sarà necessario presentare la SCIA, cioè la Segnalazione certificata di inizio attività, quella con cui le imprese segnalano al Comune l’avvio, il cambiamento o la cessazione di un’attività produttiva.