Dove sono finiti i quiz di cultura generale?
I programmi televisivi a premi più popolari si basano ormai sulla fortuna o sull'istinto, apprezzati per come sanno intrattenere un pubblico trasversale
Che non ci siano più i quiz televisivi di una volta è una cosa che si sente dire periodicamente all’interno dei ricorrenti discorsi sull’abbassamento del livello culturale della televisione italiana. Pochi giorni fa, parlando in un’intervista di come sono cambiati i quiz, Gerry Scotti – storico presentatore di Chi vuol essere milionario? e conduttore della nuova edizione della Ruota della fortuna – ha detto che, a giudicare dal livello dei programmi di oggi, sembriamo diventati mediamente più ignoranti. Nel 2020 il critico televisivo Aldo Grasso, aveva addirittura definito quello dei quiz «un genere che appartiene all’archeologia televisiva».
Ci sono alcune ragioni se si è diffusa questa percezione: prima fra tutte che Chi vuol essere milionario?, considerato forse l’esempio di quiz per eccellenza, è stato interrotto nel 2020, anche se si parla di farlo tornare a breve. A questo si combina che uno dei programmi a premi più di successo degli ultimi anni è Affari tuoi, il cosiddetto “gioco dei pacchi” di Rai 1, in cui i concorrenti possono fare scelte basate quasi unicamente sul caso. Il programma è peraltro stato accusato di avvicinare gli spettatori con il gioco d’azzardo, e di far passare come razionale un approccio basato esclusivamente sul pensiero magico. Di mezzo però ci sono molti format più ibridi, con contenuti effettivamente diversi da quelli dei quiz di una volta, ma non necessariamente meno “culturali”.
Nella storia della televisione – italiana ma non solo – i programmi televisivi a premi si sono sempre divisi in quiz show, quelli con le domande come per esempio L’Eredità e Reazione a catena, e game show, quelli a cui con un po’ di fortuna può vincere chiunque, come appunto Affari tuoi, o Soliti ignoti. Nella maggior parte dei casi questi programmi vanno in onda nella fascia oraria che va dalle 18 alle 21 circa, nel preserale, prima del telegiornale, o nella cosiddetta access prime time, dopo il telegiornale e prima dell’inizio della prima serata. In questo momento della giornata le persone rientrano a casa dopo il lavoro e accendono la televisione, ma la seguono con un’attenzione limitata o altalenante perché nel frattempo sono impegnate a cucinare e mangiare. I giochi che vanno in onda in questo orario sono quindi pensati per essere comprensibili cominciando a vederli da qualsiasi momento, e perché piacciano un po’ a tutti, dai bambini agli anziani.
In Italia questa fascia oraria è una delle più viste e richieste dagli inserzionisti e i canali che propongono quiz e giochi sono quelli col maggior share. Su Rai 1 L’Eredità e Affari tuoi prendono solitamente dal 24 al 26 per cento di share (tra i 2 milioni e mezzo e i 5 milioni e mezzo di spettatori), con picchi che arrivano al 30 per cento: vuol dire a grandi linee che sono guardati da una persona su quattro tra quelle che hanno la tv accesa in quel momento.
La nuova edizione di La ruota della fortuna, iniziata il 6 maggio, sta avendo uno share tra il 19 e il 21 per cento (tra i 2 e i 3 milioni di spettatori circa). Come scriveva la giornalista televisiva Francesca D’Angelo sulla Stampa l’anno scorso: «oggi, nelle fasce tv pubblicitariamente pregiate spopolano i quiz e i game show. D’altronde piacciono a tutti, sia alle reti che al pubblico, perché sono trasmissioni fidelizzanti, costano poco, attraggono alti investimenti, vantano una sorta di immunità al trash e diffondono pure cultura nell’etere».
Da quando esiste la televisione ci sono sempre stati sia i quiz che i game show, e c’è sempre stato dibattito su quanto culturali ed educativi fossero e dovessero essere questi programmi. «Ciclicamente c’è sempre qualcuno che torna a dire che “finalmente il tal quiz premia di nuovo la cultura!”: è successo con Lascia o raddoppia? negli anni Cinquanta, poi con Rischiatutto quindici anni dopo e poi con Chi vuol essere milionario? dalla fine degli anni Novanta», spiega Luca Barra, docente di Storia della televisione all’Università di Bologna e coordinatore editoriale della testata Link – Idee per la tv. «Allo stesso tempo però, in quegli anni c’è stato il primo successo di Affari tuoi. Varie dimensioni sono sempre convissute: cultura alta e cultura pop, domande e prove fisiche, fortuna e bravura».
È vero comunque che nella programmazione prevalgono di volta in volta certe tendenze: come dice il nome La ruota della fortuna, ispirato all’omonimo gioco televisivo diventato famoso grazie a Mike Bongiorno e interrotto nei primi anni Duemila, mischia sfide basate sulla bravura con elementi di pura fortuna. E lo stesso fa anche il nuovo programma Tris per vincere condotto da Nicola Savino su TV8, che è una rivisitazione del Gioco dei 9 andato in onda negli anni Novanta.
«È quasi come se si tornasse a quei giochi semileggeri della seconda metà degli anni Ottanta, in cui la dimensione delle domande è più rilassata e viene dato spazio al varietà», dice Barra. «In questo momento di pausa di Chi vuol esser milionario? manca effettivamente un quiz “alto”: giochi come L’Eredità e Reazione a catena hanno tra i vari ingredienti una dimensione di conoscenza e cultura generale, ma è vero che di quiz purissimi in generale c’è poca richiesta e sono meno presenti sulla scena televisiva rispetto a tutte le altre sfumature intermedie».
Allo stesso tempo Affari tuoi si è affermato all’estremo opposto. Qui i concorrenti non hanno domande a cui rispondere e non devono dare prova di bravura di nessun tipo, se non magari qualche nozione di calcolo delle probabilità (cosa che comunque non viene mai citata o incoraggiata). Nella scelta tra i pacchi (che contengono somme di denaro più o meno consistenti) i concorrenti argomentano citando i propri “numeri fortunati”, l’istinto, gli approcci alla vita e alla fortuna. «Affari tuoi però è a suo modo un’eccezione», dice Barra, «perché dubito che sia solo la dimensione di gioco la ragione del suo successo: sia rispetto a quando lo conduceva Paolo Bonolis che per il successo di Amadeus, a fare la fortuna del programma è quasi solo la capacità del conduttore di creare una narrazione, veicolare la tensione e coinvolgere gli spettatori».
Da alcuni mesi si dice che su Canale 5 potrebbe tornare Chi vuol essere milionario?: inizialmente sembrava che dovesse essere condotto dal cantante e influencer Fedez, mentre le ultime indiscrezioni dicono che lo condurrà il suo presentatore storico, Gerry Scotti, e che potrebbe cominciare alla fine del 2024. «Chissà», dice Barra «il Milionario col suo format a “scalata fissa” rischia di non inserirsi bene nelle dinamiche di questo periodo: è molto più monotono rispetto ad altri giochi più modulari, anche se è vero che nelle ultime edizioni Gerry Scotti l’aveva italianizzato dedicando più spazio alle chiacchiere coi concorrenti e rendendolo meno “pulito”, perché questa era la necessità».
– Leggi anche: Il successo di “Reazione a catena”
L’altra cosa che è effettivamente cambiata è l’approccio degli autori che scrivono i quiz, che sono ora molto più attenti a ideare domande che coinvolgano il pubblico e che, se anche meno difficili, sono per questo forse più culturalmente stimolanti di una volta. Due tra i quiz che ebbero più successo nella televisione italiana, Rischiatutto e Lascia o raddoppia, avevano come concorrenti persone che si presentavano come esperti di argomenti molto specifici: il piacere dello spettatore in quel caso non era dato dalla partecipazione al gioco, perché le domande erano solo per esperti, ma dal piacere di assistere alla prova di bravura del concorrente.
Questo tipo di giochi oggi non esiste più: «la tendenza ora è quella di scrivere i quiz per far giocare il concorrente in studio ma anche quello da casa», racconta Armando Vertorano, autore televisivo attualmente all’Eredità. «Quando facciamo la riunione del team di autori la prima cosa che ci chiediamo è sempre se gli spettatori da casa proverebbero a rispondere. Questo non significa che le domande siano più facili, anche perché essendoci in palio dei soldi non possono esserlo, e anzi possono essere anche difficilissime, ma l’argomento deve sempre essere qualcosa di comprensibile e accessibile a tutti».
Secondo Vertorano, «va bene per esempio una domanda anche difficilissima su Manzoni, che tutti hanno studiato a scuola, mentre non va bene una domanda sul libro di Antonio Moresco Canti del caos, perché ai molti che non lo conoscono non dà alcun appiglio da cui partire. E vale per qualsiasi quiz su qualsiasi rete televisiva: non si trova una domanda a cui non possiamo provare a rispondere sia io che mia nonna da casa».
Questo discorso vale anche per quei giochi a quiz che si allontanano dal format delle domande basate su conoscenze nozionistiche. Intervistato sul successo di Reazione a catena, programma di Rai 1 che negli ultimi anni ha avuto enorme successo anche tra gli spettatori più giovani, l’autore Tonino Quinti spiegava che tra i motivi di questo successo così trasversale c’è probabilmente il fatto che si basa su giochi di parole per cui non serve una cultura nozionistica, e a cui non ci sono risposte giuste o sbagliate in assoluto, ma che sono comunque stimolanti da un punto di vista intellettuale. Secondo lui questo permette al programma di raggiungere un numero di persone più ampio di quello dei più tradizionali quiz televisivi, e di suscitare una grossa partecipazione anche da casa.