Lo strano percorso delle norme sulla sicurezza approvate dal governo a novembre
Il disegno di legge è ancora fermo alla Camera, benché la maggioranza abbia provato più volte a usarlo per scopi elettorali
Lo scorso 16 novembre il Consiglio dei ministri approvò un disegno di legge che conteneva importanti norme sulla pubblica sicurezza, promosso dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi insieme ai colleghi di Giustizia e Difesa, Carlo Nordio e Guido Crosetto. Il provvedimento, che faceva parte insieme ad altri due analoghi disegni di legge di quello che venne chiamato “pacchetto sicurezza” e che di questo pacchetto era la componente più importante, era stato presentato con clamore dal governo e dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Dopo oltre sei mesi, il provvedimento è ancora fermo alla Camera, dove non ha di fatto iniziato il suo esame se non per alcuni aspetti molto preliminari.
Orgogliosa dell’importante “pacchetto sicurezza” approvato oggi in Consiglio dei Ministri.
Tra le iniziative più rilevanti:
✅ Più tutele per le Forze dell’Ordine.
✅ Contrasto alle occupazioni abusive con procedure “lampo” per la liberazione degli immobili e l’introduzione di… pic.twitter.com/NTAHGKdfDq— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) November 16, 2023
Non è una cosa così rara. Capita spesso che dei disegni di legge, anche se proposti dal governo, abbiano poi un percorso accidentato durante il loro esame in parlamento: a differenza di quanto succede per i decreti-legge, che devono essere convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro approvazione da parte del Consiglio dei ministri, i disegni di legge non hanno alcuna scadenza da rispettare. Questo disegno di legge sulla sicurezza si compone di norme elaborate da tre diversi ministeri, e all’inizio ci fu difficoltà nel coordinare i lavori dei diversi uffici legislativi per definire nel dettaglio il testo.
Vi erano state inserite del resto molte misure, piuttosto eterogenee: dal contrasto al terrorismo internazionale alla modifica delle norme sui beni sequestrati alle mafie; dalla sicurezza urbana, con l’aumento delle pene per chi occupa abusivamente degli immobili, alla tutela del personale delle forze di polizia e dei vigili del fuoco; oltre, poi, a una serie di interventi sull’ordinamento penitenziario. Il disegno di legge prevede inoltre l’introduzione di nuovi reati: blocco stradale e rivolta nelle carceri. Agli agenti di pubblica sicurezza viene inoltre riconosciuto il diritto di portare con sé qualsiasi tipo di pistola in loro possesso, non solo quella d’ordinanza, quando sono in borghese e fuori servizio. Inoltre, viene consentita la detenzione in carceri speciali con misure di custodia attenuate delle donne incinte o con figli di meno di un anno (una misura pensata soprattutto per le donne di etnia rom).
Sebbene fosse stato approvato e presentato alla stampa a metà novembre, il disegno di legge ha poi necessitato di varie settimane di lavoro dei tecnici dei tre ministeri coinvolti perché venisse definito in tutti i suoi aspetti. E così è stato inviato alla Camera solo il 22 gennaio del 2024, oltre due mesi più tardi. Ci sono poi volute quasi altre tre settimane perché, il 9 febbraio, venisse assegnato alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia, competenti in materia e presiedute rispettivamente da Nazario Pagano di Forza Italia e da Ciro Maschio di Fratelli d’Italia. Nonostante in quei giorni il ministro dell’Interno avesse sollecitato informalmente le due commissioni a procedere velocemente, queste si sono riunite solo due volte, il 27 e 28 febbraio, per fissare entro il 29 febbraio il termine per decidere come fare le audizioni: significa che i partiti dovevano presentare la lista di esperti della materia e associazioni di categoria interessate, che potessero fornire pareri e giudizi sul provvedimento.
Questa solerzia da parte del ministero dell’Interno e dei partiti di maggioranza era stata interpretata dalle opposizioni come una mossa elettorale: la destra aveva appena perso le elezioni in Sardegna, il 25 febbraio, e il 10 marzo erano previste le regionali abruzzesi, che a quel punto si caricavano di un importante valore politico anche nazionale. Per questo la maggioranza aveva mostrato interesse ad accelerare l’approvazione di un provvedimento su un tema caro all’elettorato della destra, e cioè appunto la sicurezza.
In realtà non se ne fece niente. Il provvedimento venne accantonato dalla maggioranza, e venne escluso dal calendario dei lavori delle due commissioni per volere dei due presidenti. Nel frattempo la commissione Affari costituzionali è stata impegnata a discutere e approvare due provvedimenti molto complessi e delicati: il disegno di legge sull’autonomia differenziata voluto dalla Lega e il disegno di legge sulla cybersicurezza, a cui tiene particolarmente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.
Tuttavia il 7 maggio, durante la conferenza dei capigruppo – la riunione di tutti i presidenti dei gruppi parlamentari – il governo ha chiesto nuovamente di fare in modo che il provvedimento venisse esaminato e approvato in tempi rapidi dalle commissioni Giustizia e Affari costituzionali, così da poter essere discusso in aula già nel mese di maggio.
L’insistenza del governo, e in particolare di Fratelli d’Italia, ha portato così il 16 maggio i presidenti delle due commissioni a riprendere i lavori sul disegno di legge sulla sicurezza a partire dal giorno dopo: il piano prevedeva un programma piuttosto intenso, con sedute anche nel weekend, anticipando il termine della presentazione degli emendamenti di due giorni rispetto all’accordo precedentemente raggiunto tra i vari gruppi. I partiti di opposizione, dunque, dovevano presentare le loro proposte di modifica del testo non più entro il 23 maggio, ma entro il 21. Contestualmente, molti dei tecnici che erano stati individuati per le audizioni avrebbero dovuto rinunciare ai loro interventi, perché non ci sarebbe stato più tempo.
Ancora una volta, l’impressione diffusa tra i parlamentari del centrosinistra era che l’accelerazione voluta dal governo nell’esame del provvedimento avesse finalità elettorali, cioè che fosse funzionale alla campagna di Fratelli d’Italia per le elezioni europee dell’8 e del 9 giugno. A quel punto, il 20 maggio, i capigruppo dei partiti di opposizione hanno scritto una lettera al presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, denunciando che «l’iter di esame del provvedimento seguito sino ad oggi è parso altamente lesivo di alcune fondamentali norme e procedure parlamentari», e chiedendo di «convocare quanto prima» una nuova conferenza dei capigruppo per «riesaminare i tempi di approdo del provvedimento in aula» e consentire «un’adeguata istruttoria nelle commissioni».
Fontana ha accolto questa richiesta, anche dopo un confronto informale tra i suoi collaboratori e quelli del ministro Piantedosi. Durante questo confronto non era emersa alcuna fretta da parte del ministero dell’Interno, che infatti avrebbe avuto difficoltà a dare in tempi ristretti i pareri alle varie centinaia di emendamenti che sarebbero state presentate (il governo deve infatti dire se le varie proposte di modifica a un provvedimento sono accolte con favore oppure no, indirizzando così il voto delle commissioni). E così martedì la conferenza dei capigruppo ha fissato un nuovo calendario: le commissioni Affari costituzionali e Giustizia inizieranno l’esame del provvedimento non prima del 17 giugno.