I problemi di Damien Hirst con le date
Per la seconda volta nel giro di qualche mese il Guardian ha accusato il famoso e controverso artista inglese di aver falsificato la datazione di alcune sue opere
Secondo un’inchiesta del Guardian almeno mille opere del famoso e controverso artista inglese Damien Hirst vendute nel 2021 nell’ambito del discusso progetto “The Currency” non sarebbero state dipinte nel 2016, come dichiarato, ma solo in un secondo momento e con l’aiuto di altre persone. Quel progetto fu un grande esperimento che coinvolse diecimila opere simili, ma non uguali, che potevano essere acquistate fisicamente oppure come NFT, i certificati di autenticità digitale usati per garantire la proprietà di qualcosa.
Migliaia di compratori potrebbero insomma aver comprato un’opera «originale» di Hirst di una collezione «fatta nel 2016», però prodotta anni dopo e in massa: un’accusa sostenuta da cinque fonti vicine all’artista sentite dal Guardian, e che potrebbe comportare possibili guai per la reputazione dell’artista, uno dei più noti e quotati al mondo, famoso anche per il suo approccio furbo, provocatorio e ambiguo nei confronti del mercato dell’arte. Soltanto a marzo, sempre il Guardian aveva svelato in un’inchiesta che alcune sculture di Hirst, parte di una popolare serie di animali conservati in formaldeide, erano state datate agli anni Novanta anche se risalivano al 2017.
Le 10mila opere di “The Currency” (“la valuta”) sono realizzate su fogli di 20×30 centimetri e hanno un unico tema comune: i pois, che l’artista 58enne utilizza in varie forme da più di trent’anni. Pur seguendo una serie di semplici regole su forme e colori sono tutte diverse: l’autenticità di ognuna è certificata da un’immagine olografica di Hirst, una sua firma, un titolo scritto a matita, un numero di serie e un microdot, cioè un testo o un’immagine ridotta moltissimo per poter essere individuata solo da chi ne conosce l’esistenza.
Il progetto aveva l’obiettivo di esplorare il valore dell’arte e la sua sostenibilità commerciale, in un periodo in cui gli NFT erano diventati di moda, e al tempo stesso si stava diffondendo la consapevolezza che a volte potessero valere anche più di un’opera fisica. Prevedeva che 10mila NFT relativi ad altrettante opere venissero venduti per duemila dollari l’uno a chi si registrava su un apposito sito. Ogni proprietario poi poteva decidere se tenere l’NFT o se avere l’opera fisica a cui quell’NFT era associato: nel primo caso la relativa opera sarebbe stata distrutta.
Hirst aveva detto in diverse occasioni di aver realizzato le opere della serie nel 2016, quando non sapeva ancora cosa fossero gli NFT, e come sosteneva anche Heni, il loro rivenditore autorizzato. Lo stesso anno è indicato sul retro delle tavole.
Cinque persone coinvolte nella loro creazione tuttavia hanno detto al Guardian che molte tavole di “The Currency” furono prodotte tra il 2018 e il 2019 con l’aiuto di decine di artisti assunti dalla società di Hirst, la Science Ltd, e realizzate in due studi, uno a Londra e uno nel Gloucestershire, a sud di Birmingham. In base alle loro ricostruzioni, in quel periodo sarebbero state fatte almeno mille opere della serie, che però potrebbero essere molte di più. Dei video visti dal Guardian che sembrano risalire al 2019 o a un periodo successivo mostrano centinaia di tavole appoggiate su lunghi tavoli mentre gli artisti ci dipingono sopra i pois, per poi metterle da parte per l’asciugatura.
Gli avvocati di Hirst e della sua società, contattati dal Guardian, non hanno chiarito come mai le opere sarebbero state realizzate dopo il 2016, ma non lo hanno nemmeno negato. Hanno sostenuto che in un progetto di arte concettuale come questo sia una «pratica diffusa» indicare la data in cui è stato concepito, in questo caso 2016 appunto, e hanno anche negato che Hirst ne avesse parlato in termini ingannevoli. Secondo gli avvocati insomma la data di un’opera «non corrisponde necessariamente alla data in cui un certo oggetto del progetto è stato fatto fisicamente».
A oggi quindi non è chiaro come mai Hirst avrebbe datato le proprie opere al 2016, ma una delle ipotesi fatte dal Guardian è che ne volesse fare molte di più di quelle che aveva previsto all’inizio – poche centinaia – perché il progetto fosse economicamente sostenibile. Solo due su diecimila sono effettivamente datate 2018 e 2021: per gli avvocati è un errore legato a successive modifiche del loro titolo.
Gli avvocati di Hirst avevano fornito spiegazioni simili già a marzo, quando sempre il Guardian aveva rivelato che alcune sue famose sculture datate agli anni Novanta ed esposte in vari musei a New York, Hong Kong, Monaco e Londra in realtà erano state fatte nel 2017. Si trattava di parte della serie di animali conservati in formaldeide, che aveva ottenuto un vasto successo. Secondo gli avvocati, a volte Hirst usa metodi differenti per datare i suoi lavori e, come tutti gli artisti, ha «il pieno diritto» di farlo in maniera incoerente.
Hirst è uno degli artisti più popolari, controversi e ricchi del mondo, noto per l’approccio provocatore all’arte e alle sue convenzioni, e ha spesso sfruttato l’ambiguità e la falsificazione come mezzo di espressione. Una sua mostra del 2017 allestita a Venezia, per esempio, si chiamava Treasures from the Wreck of the Unbelievable ed esponeva vari manufatti di sua realizzazione presentati come reperti ritrovati nel relitto di una presunta nave dell’antica Grecia. A corredo della mostra era stata organizzata una finta campagna stampa che aveva documentato le operazioni di recupero dal relitto, che in realtà non era mai esistito (la falsificazione era comunque evidente, e quindi non ingannevole).
Hirst è un artista molto prolifico e per questo le sue opere hanno saturato il mercato, facendone scendere moltissimo il valore per gli standard del mondo dell’arte. Per avere un’idea, si possono considerare due opere molto simili: Lullaby Spring fu venduta nel 2007 per 19,2 milioni di dollari, mentre Lullaby Winter fu venduta nel 2015 per 4,6 milioni di dollari. Le opere di “The Currency”, invece, erano rivolte a un pubblico più ampio, nell’ambito di una trovata che legava l’arte contemporanea al settore delle criptovalute.
Dopo un anno dall’acquisto, e dopo la crisi sia delle criptovalute che degli NFT, 5.149 proprietari delle diecimila opere avevano deciso di chiedere le opere fisiche, mentre i restanti 4.851 avevano tenuto gli NFT, che erano comunque liberi di rivendere. Lo stesso Hirst, che aveva tenuto mille tavole per sé, aveva scelto gli NFT, a suo dire dopo molta indecisione: tutte le opere associate a questi certificati digitali sono poi state bruciate nell’ottobre del 2022 durante un evento nella sua galleria di Newport Street a Londra.
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