La grossa causa contro Live Nation negli Stati Uniti
È stata presentata dal dipartimento di Giustizia e dai procuratori generali di 30 stati, che hanno accusato la società di aver stabilito un sostanziale monopolio nel settore dei concerti e degli eventi dal vivo
Giovedì il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e i procuratori generali di 30 stati americani hanno citato in giudizio presso il tribunale federale di Manhattan (New York) la multinazionale dell’intrattenimento dal vivo Live Nation Entertainment, accusata di aver violato le regole della concorrenza e di aver provocato un aumento generalizzato dei prezzi dei biglietti dei concerti.
Secondo l’accusa Live Nation Entertainment avrebbe imposto una situazione di sostanziale monopolio nel settore degli eventi dal vivo, obbligando gli operatori che ospitano i concerti a firmare contratti di esclusiva con una delle sue controllate, la società di vendita online di biglietti Ticketmaster, che impediscono di utilizzare altri servizi di biglietteria migliori o più economici, escludendo così dal mercato tutte le aziende concorrenti.
In sostanza l’accusa sostiene che i gestori di palazzetti e locali utilizzino Ticketmaster perché temono che, se rifiutassero di farlo, Live Nation Entertainment potrebbe smettere di organizzare spettacoli nelle loro sedi. Inoltre, sempre secondo l’accusa, la società avrebbe sfruttato la sua posizione di dominio per imporre prezzi sempre più alti per i biglietti dei concerti. Il dipartimento di Giustizia sostiene anche che Live Nation Entertainment abbia concordato una strategia comune con un’altra società di gestione di palazzetti, la Oak View Group, per evitare di farsi concorrenza.
La causa segue un’indagine che il dipartimento di Giustizia aveva aperto nel 2022, dopo il caso della disastrosa vendita di biglietti per il tour di Taylor Swift, una delle più famose cantanti pop al mondo. In quell’occasione la vendita dei biglietti per il tour era stata affidata in esclusiva a Ticketmaster, che però non era riuscita a gestire l’enorme quantità di richieste nella fase della prevendita riservata e aveva dovuto cancellare la prevendita aperta a tutti, lasciando migliaia di fan senza biglietti.
Live Nation Entertainment nacque nel 2010, in seguito alla fusione tra Live Nation, società organizzatrice di eventi, e Ticketmaster, la più grande società di vendita di biglietti online al mondo. Ai tempi della fusione il governo degli Stati Uniti era intervenuto chiedendo e ottenendo che Live Nation Entertainment rispettasse una serie di condizioni che avrebbero dovuto scongiurare il rischio di un monopolio nell’industria musicale. Dopo un’indagine del dipartimento di Giustizia nel 2019, questo accordo decennale era stato rinnovato per altri cinque anni, nonostante fosse stato accertato che non tutte le condizioni erano state rispettate.
Unire due tipi di servizi così essenziali per l’industria musicale ha consentito alla società di dominare il settore: oltre a essere un promoter, cioè una società che organizza concretamente concerti coprendone anche i costi in anticipo, Live Nation Entertainment possiede più di 250 teatri, palazzetti e sale da concerto in tutto il mondo (altri li amministra solamente), vende i biglietti attraverso Ticketmaster e tra le sue divisioni c’è un’agenzia di rappresentanza per artisti che lavora, tra gli altri, per Madonna. In pratica si occupa di tutte le cose che bisogna fare perché ci siano tour e concerti, anche se non per ogni concerto con cui ha a che fare: per molti è solo promoter.
Da una quindicina d’anni politici e consumatori accusano Live Nation Entertainment di aver stabilito una posizione monopolistica, per via del suo esteso controllo sul settore degli eventi e della vendita di biglietti. Le critiche si sono intensificate negli ultimi tempi, perché Ticketmaster ha iniziato a proporre prezzi sempre più alti per i biglietti.
Un caso ampiamente discusso e commentato era stato quello legato al tour negli stadi di Bruce Springsteen del 2023. In quell’occasione i biglietti – che erano venduti da Ticketmaster e che avevano un prezzo di partenza attorno ai 200 dollari – avevano raggiunto cifre spropositate, in alcuni casi superiori ai 5mila dollari, per via del cosiddetto “dynamic pricing”, un algoritmo che regola il prezzo di un prodotto in vendita online sulla base di quanto le persone (anche una piccola parte) sono disposte a pagare per averlo.