La morte di Raisi non cambierà l’Iran
Il presidente iraniano era il secondo in comando dopo la Guida Suprema, ed era poco carismatico: dopo l'incidente in elicottero nessuno si aspetta grossi scossoni al regime
A due giorni dall’incidente in elicottero in cui sono morti tra gli altri il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, la leadership dell’Iran sta cercando di trasmettere tranquillità e continuità: la Guida suprema Ali Khamenei, la principale autorità politica e religiosa del paese, il giorno stesso dell’incidente ha scritto su Twitter che «la nazione non deve essere ansiosa e preoccupata perché l’amministrazione del paese non sarà minimamente turbata». Il giorno successivo aveva nominato i sostituti ad interim dei due leader e, come vuole la Costituzione iraniana, ha fatto indire nuove elezioni, che si terranno il 28 giugno.
Effettivamente, benché il presidente Ebrahim Raisi fosse una delle figure più note del regime iraniano, e la più attiva all’estero e sui media, gli analisti concordano sul fatto che la sua morte non dovrebbe provocare grossi sconvolgimenti nel sistema iraniano, dove la carica del presidente è sottoposta a quella della Guida Suprema, che ha l’ultima parola su tutte le decisioni più importanti, a partire da quelle sulla sicurezza e sulla politica estera. Raisi, peraltro, era un presidente particolarmente obbediente alla volontà di Khamenei: l’Economist, in maniera un po’ sprezzante, l’ha definito un «leader di facciata».
Anche per questo, nessuno si aspetta che la morte di Raisi porterà a grossi cambiamenti nella politica del paese, e soprattutto nelle strategie militari e nella politica estera. «In quanto presidente, Raisi non era il politico più importante dell’Iran», ha detto al Wall Street Journal Dina Esfandiary, analista del centro studi International Crisis Group. «Non mi aspetto un cambiamento di direzione nella politica estera dell’Iran», ha detto al Guardian Sanam Vakil del centro studi Chatham House.
Semplificando molto, nel sistema iraniano il presidente è il secondo in comando, dopo la Guida Suprema. Alla Guida Suprema spettano le decisioni strategiche per il paese, come quelle sulla politica estera, sulla sicurezza, sulle forze armate. Il governo, guidato dal presidente, ha certamente ampi poteri, ma non prende le decisioni più importanti, ed è sempre sottomesso al potere della Guida Suprema, che di fatto può annullarne le decisioni e ha il potere di licenziare in ogni momento il presidente e qualsiasi ministro, senza bisogno di un voto del parlamento.
In Iran quella della Guida Suprema è una carica a vita, che è nominata dall’Assemblea degli esperti. Nella storia dell’Iran ci sono state soltanto due Guide Supreme: Ruhollah Khomeini, il leader della rivoluzione del 1979, e Khamenei. Il presidente è invece il principale rappresentante eletto del paese, scelto ogni quattro anni con elezioni a suffragio universale, che tuttavia non sono libere e sono fortemente influenzate dal regime.
Ovviamente quello dell’Iran è un sistema molto articolato, in cui coesistono numerosi organi decisionali e vari centri di potere. Se prendiamo ad esempio la sicurezza nazionale, è vero che l’ultima parola spetta alla Guida Suprema, ma le decisioni sono prese in maniera collegiale all’interno del Consiglio supremo della sicurezza nazionale (un organo di cui è membro anche il presidente), e sono influenzate anche dall’esterno, per esempio dalla leadership delle Guardie Rivoluzionarie, la principale forza militare del paese.
In questo contesto, nella storia dell’Iran ci sono stati presidenti particolarmente carismatici e abili che sono stati in grado di accumulare molto potere, di liberarsi di parte della tutela della Guida Suprema e di imprimere una direzione alla politica generale dell’Iran, anche grazie alla legittimazione popolare ottenuta dal voto. Tra il 1997 e il 2005 il riformista Mohammad Khatami cercò di rendere l’Iran un paese almeno in parte più aperto, mentre tra il 2013 e il 2021 Hassan Rouhani concluse uno storico accordo sul nucleare con gli Stati Uniti (che però fu annullato di fatto da Donald Trump).
Ebrahim Raisi non era uno di questi presidenti. Al contrario, è sempre stato estremamente fedele a Khamenei, per varie ragioni. Anzitutto perché mancava di carisma personale e di appoggio popolare: la sua ascesa al potere e la sua elezione a presidente erano state pilotate dalla Guida Suprema, e non erano derivate da un genuino movimento di sostegno popolare. In secondo luogo perché, secondo gli analisti, Khamenei stava coltivando Raisi come suo potenziale successore alla carica di Guida Suprema: Ali Khamenei ha 85 anni e noti problemi di salute, e da tempo Raisi era visto come il principale candidato a sostituirlo.
Le elezioni per eleggere un nuovo presidente si terranno a fine giugno, e ancora non ci sono candidati favoriti. Benché sia praticamente certo che il voto sarà fortemente influenzato dalla leadership del paese, sarà comunque un momento delicato: il regime viene da un anno e mezzo di ampie proteste, ed è estremamente impopolare. L’Iran è inoltre coinvolto nella guerra attualmente in corso nella Striscia di Gaza, che contribuisce all’instabilità di tutta la regione: anche se Raisi non era un presidente particolarmente influente, la sua sostituzione sarà comunque molto complicata.