Chi sta controllando Kim Jong Un?
Più nessuno: da maggio il gruppo dell'ONU che doveva verificare il rispetto delle sanzioni non funziona più per decisione della Russia, ed è un'opportunità per i programmi nucleari e missilistici del regime nordcoreano
Da tre settimane si sono interrotti i controlli sull’applicazione delle sanzioni internazionali imposte dall’ONU alla Corea del Nord. Il 30 aprile è infatti scaduto il mandato del gruppo di otto esperti nominati dalle Nazioni Unite che indagava su possibili violazioni delle sanzioni da parte del regime di Kim Jong Un, che da molti anni ormai sta portando avanti un discusso programma nucleare e missilistico ritenuto una minaccia soprattutto dai paesi vicini. Il mancato rinnovo è stato causato dal veto espresso nel Consiglio di Sicurezza dalla Russia, probabilmente per le crescenti tensioni fra paesi occidentali, Russia e Cina.
Le sanzioni dell’ONU furono introdotte per la prima volta nel 2006 dopo il primo test nucleare condotto dalla Corea del Nord. Tre anni dopo, nel 2009, fu istituito il primo gruppo di esperti incaricati di svolgere indagini su eventuali violazioni: individuare cioè sia paesi o enti privati che collaboravano con il regime, sia i modi trovati dalla Corea del Nord per aggirare le sanzioni. È la prima volta da allora che non c’è un organo dell’ONU a svolgere questo compito.
Il veto della Russia è stato sufficiente a bloccare il rinnovo del mandato del comitato. La Russia è infatti uno dei cinque paesi che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e che hanno il potere di veto (gli altri sono Stati Uniti, Cina, Francia e Regno Unito): possono quindi bloccare qualsiasi decisione presa dal Consiglio, l’organo più importante delle Nazioni Unite, indebolendo l’efficacia della sua azione.
A loro volta le sanzioni sono tra i pochi strumenti che la comunità internazionale ha saputo trovare per fare pressione su un altro governo: per esempio per tentare di fermare una guerra, bloccare un programma di sviluppo di armi vietate, imporre il rispetto dei diritti umani, o danneggiare una élite politica ed economica che si è resa responsabile di atti riconosciuti come illegali nel diritto internazionale. L’efficacia delle sanzioni è dibattuta e diminuisce quando non tutti i paesi collaborano per sostenerle: accade per la Corea del Nord, ma anche per la Russia.
Dal 2006, in seguito a ripetuti test nucleari e al rifiuto di abbandonare il programma militare nucleare, la Corea del Nord fu colpita praticamente da tutti i tipi di sanzioni esistenti, diventando uno dei regimi più sanzionati al mondo. Fra le altre cose fu approvato un embargo sulla vendita di armi, petrolio e gas naturale, il paese fu espulso dal sistema finanziario internazionale e fu approvato il divieto di esportare diversi materiali, tra cui carbone e ferro, nonché manodopera all’estero.
Negli ultimi anni Russia e Cina hanno criticato sempre più apertamente le sanzioni. Da settant’anni la Cina sostiene, più o meno apertamente e direttamente, il regime di Kim Jong Un, con aiuti e favorendo il commercio fra i due paesi. La relazione ha vissuto fasi di raffreddamento, ma pare oggi tornata piuttosto solida.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il conseguente nuovo status all’interno della comunità internazionale del regime di Vladimir Putin (oggetto a sua volta di sanzioni) ha riavvicinato i due paesi.
A settembre il leader nordcoreano aveva compiuto uno dei suoi rari viaggi all’estero andando proprio in Russia a incontrare Putin. Dopo quell’incontro vari media internazionali e lo stesso gruppo di controllo dell’ONU avevano denunciato una specifica collaborazione fra Russia e Corea del Nord: cioè quella per cui il regime nordcoreano avrebbe fornito a quello russo missili balistici e munizioni di artiglieria in cambio di petrolio e beni di prima necessità.
Eric Penton-Voak, che è stato coordinatore del gruppo di esperti ONU tra il 2021 e il 2023, ha detto al Financial Times che la crescita delle interazioni economiche e militari con la Corea del Nord avrebbe convinto la Russia della necessità di eliminare i controlli delle Nazioni Unite. Anche la Cina negli ultimi mesi ha mostrato più volte insofferenza per le ingerenze occidentali causate dai controlli sui commerci nordcoreani vicino ai propri confini: all’inizio di maggio un jet cinese ha lanciato razzi in direzione di un elicottero australiano, sostenendo che l’operazione di monitoraggio delle sanzioni fosse in realtà un pretesto per spiare le attività militari navali cinesi.
I paesi occidentali stanno valutando le possibili alternative per aggirare il veto russo e ristabilire i controlli sulle sanzioni. La prima opzione prevede di ridefinire un nuovo mandato per un gruppo di controllo non più nel Consiglio di Sicurezza, ma in sede di Assemblea Generale, dove non esiste diritto di veto. Questa soluzione prevede però di definire nuovi standard legali e di budget e di far passare la misura con un voto non scontato: molti paesi legati economicamente alla Russia e soprattutto alla Cina potrebbero non volersi schierare in modo netto.
L’altra opzione è istituire un gruppo di controllo esterno all’ONU: potrebbe essere ugualmente ben finanziato e competente, ma perderebbe gran parte della sua autorità e del suo status di ente indipendente, riducendone l’efficacia.