È scaduto il mandato di Volodymyr Zelensky
Rimarrà comunque presidente dell'Ucraina perché la guerra e la legge marziale rendono impossibili nuove elezioni, ma ci sono alcune incertezze
di Davide Maria De Luca
Lunedì è ufficialmente scaduto il mandato da presidente di Volodymyr Zelensky, cinque anni dopo il suo insediamento alla Bankova, il palazzo presidenziale ucraino, avvenuto il 20 maggio 2019. Zelensky rimarrà tuttavia in carica: nell’Ucraina invasa non ci saranno elezioni, vietate dalla legge marziale e rese logisticamente quasi impossibili dalle condizioni di guerra. La costituzione del paese e la legge che regola lo stato di guerra consentono che l’incarico del presidente venga automaticamente prorogato.
La questione è tuttavia politicamente molto delicata e Zelensky da oggi è, se non più debole, di certo più vulnerabile alle critiche. Una parte dell’opposizione ucraina, per ora marginale, contesta la legittimità della sua permanenza alla presidenza. Inoltre, lo stato di guerra costringe il presidente e il governo a imporre crescenti sacrifici difficili da chiedere per un esecutivo che è ancora molto benvoluto nei sondaggi, ma che da lunedì non avrà più, almeno formalmente, il mandato del voto popolare.
Il governo russo è impegnato ad approfittare della situazione e a cercare di allargare queste possibili divisioni nella società ucraina. Venerdì il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che dopo la scadenza del mandato presidenziale diventerà difficile trattare con Zelensky, poiché qualsiasi successore potrà rinnegare eventuali accordi sostenendo che siano stati firmati da un leader illegittimo.
Qui è necessario fare una parentesi e spiegare la questione tecnico-legale intorno alle elezioni in periodo di guerra. Il divieto di tenere elezioni è contenuto in una legge ordinaria, quella che disciplina la legge marziale, promulgata dal parlamento in caso di guerra o altra emergenza nazionale (e votata dal parlamento ucraino il 24 febbraio 2022, primo giorno dell’invasione russa). La legge marziale è una legge ordinaria.
La costituzione sul punto è invece un po’ più ambigua. Non contiene nessuna disposizione sulla sospensione delle elezioni, ma all’articolo 83 afferma che, in caso di emergenza, i poteri del parlamento vengono prorogati fino alla riunione del primo parlamento che si riesce a rieleggere. Sulla possibilità di prorogare i poteri del presidente, invece, la costituzione non fornisce elementi. Viene anzi specificato che la durata del mandato è di cinque anni e che il presidente rimane in carica fino all’insediamento del suo successore.
Questa formulazione dà margine ai critici di Zelensky di sostenere che, dopo cinque anni, il presidente dovrebbe cedere il suo incarico al secondo in linea di successione. I suoi sostenitori – la maggioranza – leggono invece il testo come un implicito riconoscimento del fatto che il mandato può estendersi oltre i cinque anni.
Tutti questi aspetti erano soprattutto teorici fino a quando lo scorso agosto non si è cominciato a parlare della possibilità di tenere effettivamente nuove elezioni, nonostante lo stato di guerra. I primi a tirare fuori l’argomento sono stati alcuni alleati di Zelensky, come il presidente della Camera, Ruslan Stefanchuk. Lo stesso Zelensky, in un’intervista alla fine di agosto, aveva dichiarato che se gli ucraini avessero voluto, sarebbe stato possibile organizzare nuove elezioni.
In quei giorni, secondo le indiscrezioni dei media ucraini, l’obiettivo dei sostenitori di Zelensky era di organizzare un voto mentre il gradimento del presidente era alle stelle e con l’opposizione priva di un candidato, assicurandosi così una rapida vittoria. Ma le difficoltà di organizzare un voto in tempo di guerra erano enormi come ha riconosciuto anche Zelensky.
Almeno sei milioni di ucraini si trovano fuori dal paese e molti altri risiedono nei territori occupati dalla Russia, dove votare è, ovviamente, impossibile. C’è poi la questione dei militari impegnati al fronte, almeno 300 mila, e i problemi di sicurezza. È quasi impossibile proteggere i luoghi del voto dai bombardamenti e garantire lo svolgimento ordinato delle operazioni di voto con allarmi aerei che possono bloccare l’intero paese per ore o addirittura giorni.
Nonostante le oggettive difficoltà, il dibattito è durato fino all’autunno, con dichiarazioni a volte contrastanti da parte del presidente. Varie forze si sono confrontate in questi mesi, ricordando i rari precedenti nella storia di casi simili. Il Regno Unito sospese le elezioni durante la Seconda guerra mondiale, e gli Stati Uniti nel 1864 votarono nel mezzo della Guerra civile.
I contrari al voto, però, sono sempre stati più numerosi. Tranne figure marginali, l’opposizione si è sempre schierata contro un’elezione in tempo di guerra, sia per via delle difficoltà organizzative che di tattica politica. Contrarie erano anche la maggioranza delle ong e della società civile. In autunno, una serie di sondaggi hanno mostrato che gran parte della popolazione, con punte fino all’80 per cento, è contraria al voto. Da allora, della possibilità di votare si è sostanzialmente smesso di parlare, ma la questione non è affatto chiusa. Il problema della legittimità di Zelensky inizia proprio ora.
Figure di opposizione come l’ex presidente della Camera Dmytro Razumkov sostengono che da oggi Zelensky è privo di un mandato legale e se le elezioni sono impossibili, dovrebbe passare la carica all’attuale presidente della Camera. Questa posizione è al momento marginale, ma potrebbe raccogliere maggiori consensi soprattutto se il gradimento di Zelensky, sceso dall’80 per cento dell’inizio della guerra fino all’attuale 50, dovesse calare ancora.
Tutti questi fattori rischiano di indebolire la posizione di Zelensky e di catalizzare le energie dei suoi avversari interni ed esterni proprio in un momento in cui il governo deve prendere decisioni impopolari e ha bisogno di un sostegno ampio e trasversale.
Con la guerra sempre più sulla difensiva e gli attacchi contro le infrastrutture ucraine che costringono alla popolazione civile a sacrifici sempre più ingenti (il prossimo inverno quasi sicuramente torneranno blackout e interruzioni del riscaldamento), un presidente che non ha la legittimazione del voto popolare rischia di esporsi alle critiche quando approva radicali misure di mobilitazione militare, come quelle adottate con molta prudenza nelle ultime settimane, o di mobilitazione economica, come potrebbe essere costretto a fare in futuro.