Che fine hanno fatto i collari cervicali
Se ne vedono molti meno in giro: c'entrano l'evoluzione di alcuni approcci medici e le cose che abbiamo scoperto sulla loro utilità
Dopo essere stati molto utilizzati nei decenni passati, da qualche tempo è più raro vedere in giro i collari cervicali indossati da persone con qualche problema al collo. La progressiva sparizione riguarda soprattutto i collari morbidi e in misura minore quelli rigidi, utilizzati per lo più per immobilizzare in condizioni di emergenza le persone che hanno subìto gravi traumi, per esempio in seguito a un incidente stradale. Con il declino dei collari ortopedici c’entrano i progressi nei sistemi di sicurezza delle automobili, ma ancora di più un sensibile cambiamento negli approcci medici e nelle terapie per chi ha problemi cervicali.
I collari cervicali per come li intendiamo oggi furono perfezionati e adottati dagli ortopedici a partire dalla seconda metà del secolo scorso, in seguito alla progressiva diffusione delle automobili e di conseguenza all’aumento degli incidenti stradali. Molte persone coinvolte nei tamponamenti segnalavano per esempio di avere dolore al collo, che spesso durava per settimane ed era accompagnato da altri problemi come mal di testa e capogiri. I sintomi variavano molto da persona a persona e non erano sempre diagnosticabili facilmente, quindi il problema assunse un nome alquanto generico e distante da una precisa definizione medica: “colpo di frusta”.
Il colpo di frusta si verifica quando in seguito a una rapida decelerazione, dovuta per esempio a un tamponamento, il corpo viene spinto in avanti dall’urto, mentre il cranio rimane indietro per inerzia causando uno stiramento del collo, salvo poi essere proiettato violentemente in avanti poco dopo. Più è violenta la decelerazione, più è probabile che subiscano forti sollecitazioni le strutture che fanno parte del collo e che sorreggono la testa come le vertebre, i muscoli e i legamenti. Nella maggior parte dei casi, il contraccolpo causa qualche contrattura muscolare non molto diversa da quella che si può rimediare agli arti con un movimento scorretto, mentre nei casi più gravi si può anche verificare una frattura delle vertebre cervicali che richiede maggiori attenzioni e cautele.
In linea di massima, un colpo di frusta è quasi sempre reversibile in pochi giorni e sono rari i casi di danni permanenti, con forme croniche che devono essere affrontate con terapie del dolore. Naturalmente il colpo di frusta esisteva ben prima dell’avvento delle automobili, un problema simile era stato riscontrato nel caso degli incidenti ferroviari ai primi tempi della diffusione del treno, ma è diventato un evento traumatico molto noto in seguito alla motorizzazione delle società. Così noto da essere sfruttato da alcuni per millantare qualche problema di salute e rimediare rimborsi dalle assicurazioni o indennità dai servizi di assistenza sociale.
L’esagerazione degli effetti di un colpo di frusta era sfruttata soprattutto in passato quando era difficile diagnosticare in modo oggettivo gli eventuali danni causati dal trauma, semplicemente perché non c’erano strumenti diagnostici adeguati. Una radiografia poteva mostrare la lesione di una vertebra, certo, ma non c’erano molte possibilità di osservare altri tipi di lesioni per esempio ai muscoli e alle altre strutture del corpo. Le cose sarebbero cambiate almeno in parte con l’avvento della risonanza magnetica negli anni Ottanta, che permette di osservare più nel dettaglio i tessuti interni, ma per diverso tempo i medici si basarono soprattutto sui sintomi che riferivano i loro pazienti, prescrivendo loro l’utilizzo di un collare morbido per qualche tempo, ritenendo che limitando i movimenti del collo si potesse avere un migliore recupero.
C’erano più incidenti stradali rispetto a oggi e minori dotazioni per ridurre i rischi – come cinture di sicurezza, poggiatesta, airbag e sistemi di assorbimento degli urti – di conseguenza non era raro notare per strada qualcuno con un collare. In paesi come gli Stati Uniti, dove erano frequenti le cause legali e le richieste di rimborsi alle assicurazioni, il collare era diventato per alcuni uno stigma: la prova visibile del tentativo di ottenere qualche soldo esagerando le conseguenze di un temporaneo problema di salute, ammesso esistesse davvero.
Il sistema sanitario basato sulle assicurazioni aveva favorito il fenomeno, ma questo non era esclusivo degli Stati Uniti e ancora oggi ha una certa importanza in alcuni paesi compreso il nostro. Secondo uno studio pubblicato nel 2008, in Italia gli infortuni di piccola entità alla cervicale segnalati sono il 66 per cento del totale degli infortuni, il dato più alto dopo il Regno Unito (76 per cento) e prima della Norvegia (53 per cento). L’incidenza di danni derivanti dal colpo di frusta indicati come permanenti, ma spesso difficili da verificare, è molto alta in Italia e secondo diverse analisi fuori scala, rispetto ai dati scientifici dal punto di vista epidemiologico. Fare analisi e confronti accurati tra paesi diversi non è però semplice, perché cambiano le modalità di diagnosi e di segnalazione degli infortuni e questo potrebbe giustificare almeno in parte le marcate differenze segnalate nelle ricerche.
Al di là degli aspetti assicurativi, negli ultimi anni c’è stato un progressivo abbandono del collare cervicale da parte di ortopedici e altri specialisti. Salvo casi particolari, l’orientamento è di non farlo più indossare ai pazienti perché può ritardare il recupero da un colpo di frusta invece di favorirlo. Inizialmente si pensava che il collare potesse offrire un sostegno alla testa, riducendo il carico per vertebre e muscoli della zona cervicale, mentre oggi si ritiene che siano soprattutto utili fisioterapia, ginnastica dolce, massaggi e all’occorrenza l’impiego di farmaci antinfiammatori.
Una revisione sistematica e una meta-analisi, cioè una ricerca che ha analizzato la letteratura scientifica a disposizione, pubblicata nel 2021 ha rilevato una prevalenza nella pratica medica di un approccio attivo nella riabilitazione, rispetto alla sola immobilizzazione, segnalando comunque la necessità di condurre ulteriori studi e approfondimenti. Una ricerca condotta una decina di anni prima aveva concluso che l’impiego del collare morbido è «nella migliore delle ipotesi inefficace» nel trattare il colpo di frusta, specificando che nello scenario peggiore i pazienti avessero un maggior rischio di non dedicarsi alle attività di recupero che prevedono di fare esercizi con il collo.
Il cambio di approccio rifletteva quello più generale sull’importanza di ridurre la permanenza a letto dei pazienti, una pratica molto in uso negli ospedali, per favorire il loro recupero e ridurre il rischio di sviluppare altri problemi di salute dovuti al restare fermi a lungo. Era per esempio diventato evidente che i pazienti con mal di schiena traevano maggiori benefici dal muoversi, con tempi di recupero minori, rispetto a chi trascorreva più di due giorni a letto come veniva spesso consigliato in precedenza.
Il collare cervicale nella versione rigida continua invece a essere utilizzato nella medicina di urgenza, per esempio per immobilizzare le persone sopravvissute a un incidente stradale quando c’è il dubbio di un eventuale danno alla colonna vertebrale. È un uso con scopi diversi rispetto al collare morbido e negli ultimi anni si è iniziato a discutere una revisione del suo impiego, anche in questo caso in seguito a studi e analisi sull’efficacia del sistema.
Il neurochirurgo norvegese Terje Sundstrøm è tra i più convinti sostenitori della necessità di rivedere protocolli e pratiche di utilizzo del collarino rigido. Una decina di anni fa pubblicò insieme ad altri colleghi un’analisi nella quale segnalava come in media venga immobilizzato il collo di 50 pazienti per ogni paziente che ha effettivamente una lesione spinale. Secondo lo studio, il collare rigido rende più difficoltosa la respirazione dei pazienti e contribuisce a creare maggiore agitazione, perché il suo impiego induce a pensare di avere subìto un danno grave, anche se magari non è quello il caso. In alcuni casi il collare rigido può rivelarsi scomodo o non essere applicato nel migliore dei modi, cosa che porta i pazienti a fare proprio i movimenti che il collare dovrebbe prevenire.
In alcuni paesi le linee guida per l’uso dei collari rigidi negli scenari di emergenza sono state riviste, ma il loro impiego è comunque ancora diffuso. Gli incidenti che portano a lesioni spinali cervicali sono relativamente rari, di conseguenza è difficile condurre studi approfonditi e disporre di dati a sufficienza per trarre qualche conclusione. La tendenza è quindi quella di applicare maggiori cautele, proseguendo con un approccio conservativo che prevede l’impiego dei collari rigidi, più di quanto avvenga per quelli morbidi usati sempre meno spesso e per meno tempo, al punto da non farsi notare più in giro come una volta.