A Biden non è piaciuta la decisione della Corte penale internazionale su Netanyahu
Ha definito «oltraggiosa» la richiesta di un mandato di arresto per il primo ministro israeliano, e respinto qualsiasi equivalenza fra Israele e Hamas
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha criticato molto la decisione del procuratore capo della Corte penale internazionale (ICC), il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, di avere chiesto alla Corte di emettere un mandato di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, oltre che per alcuni leader di Hamas, il gruppo radicale palestinese che governa la Striscia di Gaza in maniera autoritaria dal 2007, responsabile dell’attacco del 7 ottobre in territorio israeliano.
In un comunicato stampa Biden ha definito «oltraggiosa» la decisione del procuratore capo, che comunque deve essere convalidata dalla Corte. «A prescindere da cosa possa insinuare questo procuratore, non esiste nessuna equivalenza – nessuna – fra Israele e Hamas», ha aggiunto Biden.
Nel suo comunicato Biden ha parlato di Israele, ma la richiesta del procuratore capo della Corte indica invece responsabilità molto più specifiche di due leader politici: Netanyahu e il ministro della Difesa in carica, Yoav Gallant. Entrambi sono accusati di «aver provocato lo sterminio, aver usato la fame come metodo di guerra, compreso il rifiuto delle forniture di aiuti umanitari e aver deliberatamente preso di mira i civili durante un conflitto». Queste azioni sarebbero state commesse nell’ambito dell’invasione della Striscia di Gaza compiuta da Israele dopo il 7 ottobre, durante la quale sono morte finora almeno 36mila persone.
Ormai da mesi Israele bombarda e attacca quotidianamente la Striscia di Gaza, colpendo anche migliaia di civili e persone in condizione di estrema vulnerabilità. La situazione umanitaria nella Striscia è disastrosa, e gli aiuti internazionali coprono solo una frazione dei bisogni degli abitanti. Israele è stata accusata di avere compiuto atti di genocidio contro i palestinesi che abitano nella Striscia, e diversi giuristi ritengono che la questione non sia completamente infondata: nel diritto internazionale, comunque, il crimine di genocidio ha caratteristiche specifiche e stringenti ed è molto difficile provarlo in un tribunale internazionale.
Nel difendere Netanyahu e Gallant, Biden ha adottato posizioni più in linea con la tradizionale dottrina statunitense in politica estera, che prevede un fortissimo sostegno economico, politico e militare a Israele e ai suoi governi. Nelle ultime settimane invece Biden si era contraddistinto per avere criticato molto duramente Netanyahu e il suo governo sulla gestione della guerra nella Striscia. Nei primi giorni di maggio per la prima volta dall’inizio della guerra Biden aveva minacciato di interrompere la fornitura di armi a Israele, una dichiarazione con pochissimi precedenti nelle relazioni fra i due paesi.
La Corte impiegherà quasi sicuramente diversi mesi per decidere se emettere o meno un mandato di arresto per Netanyahu e i leader di Hamas: quando nel 2023 la Corte emise un mandato di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin, la decisione richiese circa un mese, ma in altri casi il processo è stato molto più lungo. Finora la Corte ha accettato tutte le richieste di arresto presentate dal procuratore generale: ne ha rifiutata soltanto una, legata a un presunto criminale di guerra congolese, ma poi l’ha accettata quando il caso è stato ripresentato poco dopo.